IL DEMANSIONAMENTO COSTITUISCE LESIONE DELLA DIGNITA’ DEL LAVORATORE, TUTELATA DALL’ART. 41 COST. E DALL’ART. 2087 COD. CIV.

 

                  Un dipendente della Manetti & Roberts con qualifica di quadro, è stato per due volte licenziato e in entrambi i casi ha ottenuto dal Pretore di Firenze l’annullamento del licenziamento, con ordine di reintegrazione nel posto di lavoro.

L’azienda, dopo averlo richiamato in servizio, lo ha lasciato privo di mansioni in condizioni di emarginazione dall’attività lavorativa.

Pertanto il lavoratore si è rivolto nuovamente al Pretore chiedendogli, tra l’altro, la condanna dell’azienda al risarcimento del danno professionale per la privazione dell’attività lavorativa subita dopo essere stato richiamato in servizio.

Il Pretore ha ritenuto che l’azienda abbia violato l’art. 41 Cost. Rep., che impone all’iniziativa economica privata di non recare danno alla dignità umana, nonché l’art. 2087 cod. civ. che prescrive al datore di lavoro di rispettare la personalità morale dei dipendenti; conseguentemente ha condannato l’azienda al risarcimento del danno determinandolo, in via equitativa, in misura di lire 37 milioni.

Questa decisione è stata confermata, in grado di appello, dal Tribunale di Firenze, che ha peraltro escluso il diritto del lavoratore ad un ulteriore risarcimento per mancato avanzamento di carriera, in quanto ha ritenuto che sul punto il lavoratore non abbia fornito la prova.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 14443 del 6 novembre 2000, Pres. Trezza, Rel. Mammone) ha rigettato i ricorsi proposti da entrambe le parti contro la sentenza di secondo grado, in quanto ha ritenuto che il Tribunale abbia correttamente motivato la sua decisione. Con riferimento al danno professionale la Corte ha osservato che esso può ravvisarsi sia nella lesione della dignità del lavoratore sia nella perdita di possibilità di avanzamento e che in questo caso i giudici di merito, pur escludendo che sia stata data la prova del pregiudizio di carriera, hanno esattamente ravvisato, nella lesione della personalità del lavoratore, un pregiudizio da risarcirsi in via equitativa.

          Infatti, il demansionamento non solo viola lo specifico divieto di cui all’art. 2103 cod. civ., (che afferma il diritto del lavoratore di svolgere l’attività che gli compete) ma costituisce lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di lavoro, con la conseguenza che il pregiudizio conseguente incide sulla vita professionale e di relazione dell’interessato, con indubbia dimensione patrimoniale, che lo rende suscettibile di risarcimento e di valutazione anche equitativa.  La Corte ha ritenuto quindi che la mortificazione della professionalità del lavoratore possa dar luogo a risarcimento anche se non venga fornita la prova dell’effettiva sussistenza di un danno patrimoniale.