Le imprese sotto i 15 dipendenti

Le imprese con piu' di 15 dipendenti

Il licenziamento collettivo

Il licenziamento in prova

Il licenziamento discriminatorio

Inidoneità al lavoro

Atti e comportamenti estranei al lavoro

Il preavviso

 

 


Le controversie del lavoro in sintesi.

Lo statuto dei lavoratori (L.300/70)


IL LICENZIAMENTO

Nel nostro ordinamento il lavoratore dipendente puo' essere licenziato per:

- giusta causa;

- giustificato motivo.

Il licenziamento per giusta causa:

puo' essere motivato da gravi inadempienze del lavoratore che facciano decadere ogni rapporto fiduciario tra datore di lavoro e dipendente e non possano far proseguire in alcun caso il rapporto: ad esempio, un furto commesso sul luogo di lavoro, danneggiamenti volontari, o aggressioni a colleghi o superiori, rifiuto di trasferirsi in altre sedi o di mutare mansioni (sempre che il lavoratore non dimostri la pretestuosita' del trasferimento o del mutamento di mansioni - vedi ad esempio il caso di un lavoratore adibito a mansioni inferiori - da parte del datore di lavoro, per invogliare il dipendente a licenziarsi), l'assenza ingiustificata dal posto di lavoro.

Il licenziamento per giustificato motivo:

dev'essere causato da esigenze aziendali e puo' richiedere una procedura piu' complessa, anche se pero', sussistendo le motivazioni previste dalla Legge o dai Contratti, risulta essere uno strumento di flessibilita' prezioso per le Imprese che sono in reale difficolta' nel mantenere in forza i lavoratori. Il giustificato motivo puo' essere, ad esempio: la soppressione di un determinato posto di lavoro (l'Impresa deve pero' essere in grado di dimostrare che il lavoratore non possa essere impiegato in altre mansioni), la fine lavori, la fine fase lavorativa o produttiva, intesa come una riduzione di carattere permanente di un ciclo o di un settore di produzione tale che non sia soggetta a fluttuazioni solo temporanee, le quali rientrano invece nei presupposti della Cassa Integrazione Guadagni.

 

 

Il licenziamento effettuato da imprese che occupano meno di 15 dipendenti e' disciplinato dalla Legge 108/90. Il licenziamento deve essere intimato per iscritto, pena la nullita' dello stesso.

Il lavoratore ha comunque diritto a richiedere ed ottenere la motivazione del suo licenziamento. Le motivazioni, se ritenute ingiustificate, possono venire contestate davanti ad un Giudice che valutera' la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo. Non sussistendo agli estremi per il licenziamento, il Giudice puo' ordinare la reintegrazione del lavoratore nel suo posto di lavoro oppure, alternativamente, puo' condannare il datore di lavoro a versare al lavoratore una somma risarcitoria variabile da un minimo di 2,5 ad un massimo di 6 mensilita', a seconda di alcune variabili come le dimensioni dell'Impresa, l'anzianita' di servizio, il comportamento delle parti, ecc.

 

 

Sempre nell'ipotesi di illegittimita' del licenziamento, le imprese che occupino piu' di 15 lavoratori nell'unita' produttiva ove avviene il licenziamento, e comunque abbiano complessivamente alle proprie dipendenze piu' di 60 lavoratori, sono soggette alla disciplina dell'Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori che si riporta qui di seguito:

"18. (Reintegrazione nel posto di lavoro). - Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze puù di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresí ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro."

In caso di licenziamento illegittimino perche' non sussiste la giusta causa o il giustificato motivo o perche' discriminatori o intimato a voce, il Giudice, oltre a reintegrare il dipendente nel suo posto di lavoro, condanna l'Impresa al pagamento della retribuzione che il lavoratore avrebbe percepito dal giorno del licenziamento fino alla data della sua riammissione al lavoro; detta somma non potra' comunque essere inferiore alle cinque mensilita'.

Nel caso in cui per evidenti motivi di incompatibilita', il lavoratore rinunci a rientrare in Azienda, il Giudice puo' condannare il datore di lavoro a versare all'ex dipendente una somma ulteriore pari a quindici mensilita'. Il lavoratore pero' ha il dovere di esercitare esplicitamente detta opzione, pena la decadenza della stessa; infatti il datore di lavoro puo' invitare formalmente il lavoratore a riprendere servizio e, se questi non avesse ottemperato ad esercitare la facolta' di optare per il risarcimento, ne' rientrasse al lavoro, perderebbe senz'altro ogni diritto.

 

 

IL LICENZIAMENTO COLLETTIVO:

nel nostro ordinamento e' previsto anche il licenziamento collettivo, che rientra nelle previsioni della Legge 223/91; esso puo' avvenire in due determinate situazioni:

  1. L'Impresa che ha in hatto sospensioni di lavoratori in Cassa Integrazione Straordinaria, prevede di non poter fare rientrare al lavoro i lavoratori sospesi in quanto non riuscira' a completare il processo di ristrutturazione o risanamento aziendale che ha determinato la sospensione e la messa in CIGS dei lavoratori.

  2. L'Impresa con piu' di 15 dipendenti che intenda operare riduzioni di personale per un numero di lavoratori superiore alle 5 unita' nell'arco di 120 giorni, conseguentemente ad una contrazione dell'attivita' produttiva, alla fine di un ciclo produttivo, cessazione o trasformazione dell'attivita'. In questo caso i lavoratori licenziati possono venire iscritti in liste speciali di disoccupazione, chiamate liste di mobilita' che garantiscono un accesso al lavoro particolarmente agevolato. Non tutte le Imprese pero' possono fruire dello strumento della mobilita', come le imprese edili.

In entrambi i casi, e anche nel caso in cui non si ricorra alla mobilita' ne' alla CIGS, il datore di lavoro e' tenuto ad attivare la prevista procedura di consultazione sindacale. Tale procedura prevede che, prima di effetttuare i licenziamenti, l'Impresa informi le rappresentanze sindacali aziendali e i relativi sindacati di categoria. Seguira' un incontro dove verra' analizzata la situazione Aziendale che ha portato alla riduzione di personale, l'esame di eventuali soluzioni alternative ai licenziamenti, o verra' cercato un accordo, nel senso di tracciare, tra l'altro, i criteri di scelta dei lavoratori, sulla base di fattori vari quali il carico familiare, l'anzianita' di lavoro e anagrafica, le esigenze aziendali, ecc.) In caso di violazione di questa procedura i licenziamenti che verranno effettuati saranno resi inefficaci davanti ad un Giudice del lavoro.

Nel settore edile, data la particolare caratteristica dell'attivita', marcatamente soggetta a fluttuazioni produttive, e' possibile comunque licenziare per riduzione di personale (al di la' dei casi sopra esposti) in occasione della fine di un cantiere: i lavoratori assunti per una determinata unita' produttiva, sempre che nella lettera di assunzione sia stato specificato precisamente il cantiere per il quale il lavoratore e' stato assunto, possono essere licenziati a fine lavoro, o fine fase lavorativa, ove non sia piu' richiesta la prestazione di una determinata qualifica professionale, (ad esempio i minatori al termine delle lavorazioni in galleria). Il licenziamento in questione dev'essere effettuato sempre nelle more della Legge 223/91. Se l'Impresa e' in grado di dimostrare di non avere altri cantieri in attivita' o in fase di prossimo avvio, che possano assorbire i lavoratori licenziandi, puo' sicuramente procedere alla riduzione di personale prevista. Questo anche per quanto riguarda i lavoratori gia' assunti prima di quel determinato cantiere in fase di chiusura, ma che ugualmente non possono essere occupati in altra opera.

 

 

IL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE IN PROVA.

Generalmente i Contratti di lavoro prevedono che il lavoratore possa essere licenziato durante il periodo di prova, senza preavviso alcuno.

Occorre pero' precisare che il licenziamento del lavoratore in prova non e' comunque automatico: infatti occorre che il periodo di prova risulti indicato per iscritto, per esempio nella lettera-contratto consegnata al lavoratore in occasione dell'assunzione, e da esso sottoscritta per accettazione. In genere la durata del periodo di prova e' stabilita dal Contratto di categoria, quindi basta riferirsi ad esso. Occorre pero' consegnare in tempi brevi la lettera di assunzione al lavoratore, con il richiamo al succitato periodo. Occorre inoltre che il lavoratore venga adibito alle mansioni indicate nella lettera di assunzione, viceversa il periodo di prova non potra' valere ai fini della valutazione del lavoratore.

 

 

I LICENZIAMENTI DISCIRMINATORI.

- Licenziamento di lavoratore impegnato sindacalmente.

Un lavoratore non puo' venire licenziato perche' svolge attivita' sindacale all'interne dell'azienda, utilizzando motivi pretestuosi. In caso di licenziamento il dipendente impeganto sindacalmente, puo' impugnarlo, non solo per le vie ordinaire, ma anche per contestare la condotta antisindacale del datore di lavoro: in quest'ultima ipotesi, se si dimostrasse che il lavoratore fosse stato richiamato piu' volte e poi licenziato per mancanze anche lievi, e che comunque non sarebbero state rilevate ad altri lavoratori non impegnati sindacalmente, e' evidente che il licenziamento verrebbe revocato dal Giudice, e con procedura piu' veloce rispetto ad una causa ordinaria, invocando cioe' la repressione della condotta antisindacale (artt.28 e 15 della Legge 300/70 - Statuto dei Lavoratori)

 

- Licenziamento di lavoratore sieropositivo.

Sebbene esistano in merito molte paure e pregiudizi, il licenziamento di un lavoratore sieropositivo a causa della sua condizione di salute, e' sicuramente illegittimo. In realta', la malattia dell'AIDS non si manifesta immediatamente in presenza di sieropositivita' o puo' non manifestarsi affatto.

E' stato dimostrato che non sistono pericoli di trasmissione del virus nei normali rapporti casuali in ambienti di lavoro, sia attrverso la manipolazione di oggetti.

Non puo' essere invocato quindi il licenziamento del lavoratore sieropositivo neanche adducendo motivi di inabilita' al lavoro, in quanto il dipendente puo' eventualmente, insorgendo la malattia, risultare temporaneamente inabile al lavoro e quindi rientrante nelle normali procedure di copertura assistenziale previste dalla Leggi in materia di indennita' di malattia e di conservazione del poto di lavoro. Infatti la malattia si manifesta ciclicamente, pertanto il dipendente, potra' all'occasione riprendere l'attivita' lavorativa, non sussistendo, ripetiamo, nessun pericolo di contagio nei normali rapporti di colleganza sul luogo di lavoro e nei confronti del pubblico.

 

- Licenziamento ideologico.

Ricordiamo che nel nostro ordinamento vige il principio della nullita' del licenziamento per ragioni ideologiche, per motivi politici, religiosi, razziali, sindacali, sessuali, ecc.

Pertanto in linea generale, il lavoratore puo' liberamente nella sua sfera privata sostenere opinioni o principi i quali, anche se casualmente contrastanti con l'orientamento politico, ideologico, religioso del datore di lavoro, non influiscano sulla professionalita' e sulle mansioni del dipendente.

Infatti la possibilita' di infliggere un licenziamento per dette ragioni e' commisurata all'attivita' del subordinato, e non alla natura dell'Azienda datrice di lavoro.

Per esempio, non si puo' licenziare un insegnante di una scuola privata cattolica, anche se questo, nella sua vita privata, risulta aver contratto matrimonio civile, oppure e' divorziato legalmente: cio' e' ininfluente ai fini della valutazione del lavoratore, il quale puo' tranquillamente continuare ad esercitare le sue mansioni (si pensi ad un insegnante di ginnastica o di matematica) senza per questo compromettere la finalita' educativa della scuola cattolica, in quanto le discipline insegnate non comportano di se' nessun insegnamento ideologico.

Questo vale fino al momento in cui il datore di lavoro non dimostri in maniera rigorosa che il dipendente svolga sul posto di lavoro un'attivita' contraria alle finalita' aziendali.

 

 - Licenziamento sulla base dell'aspetto fisico o dell'abbigliamento.

Non troppo paradossalmente, anche in circostanze quali l'aspetto fisico o l'abbigliamento del dipendente, possono verificarsi atti discriminatori da parte del datore di lavoro.

In ogni caso si ricorda che il licenziamento puo' essere effettuato solo in presenza di giusta causa come gravi atti di insubordinazione, furto o frode sul posto di lavoro, violazione degli obblighi contrattuali e disciplinari o di giustificato motivo, come fine dell'attivitta' produttiva, soppressione di una determinata figura lavorativa, ecc.

Di conseguenza l'aspetto fisico del lavoratore o il suo abbigliamento non possono essere elementi validi per sostenere un licenziamento. Il lavoratore puo' essere giudicato solo in base alla sua capacita' lavorativa e non certo in funzione del suo modo di essere o di pensare.

Tuttavia possono ricorrere casi in cui l'aspetto fisico del dipendente (ad esempio l'obesita') possano comportare una incompatibilita' con le funzioni svolte: nella fattispecie un lavoratore obeso potrebbe non essere in grado di trasportare oggetti pesanti e di grandi dimensioni e quindi questo potrebbe fare nascere un ostacolo al suo mantenimento in servizio, in mancanza di mansioni alternative e compatibili da affidargli. In questo caso pero' il licenziamento puo' essere causato, non dal suo aspetto fisico, ma dalla incapacita' di svolgere la mansione. (Vedi anche il paragrafo:"La sopravvenuta inidoneita' alla mansione svolta dal lavoratore".)

 

 

LA SOPRAVVENUTA INIDONEITA' ALLA MANSIONE SVOLTA DAL LAVORATORE.

Generalmente il datore di lavoro puo' licenziare un lavoratore che nel corso del rapporto sia divenuto inidoneo allo svolgimento delle sue mansioni (per ragioni di salute, ambientali, psicologiche, ecc.)

Il licenziamento pero' non puo' essere effettuato senza che il datore di lavoro non dimostri di aver cercato prima di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti o alternative compatibili. Nel caso in cui non esistano nell'ambito aziendali mansioni alternative compatibili con le residue capacita' lavorative del dipendente, il lavoratore puo' essere licenziato.

Tuttavia nella giurisprudenza in materia, esistono casi di lavoratori che, non potendo piu' svolgere le mansioni loro affidate, e non esistendo nell'Azienda compiti equivalenti, sono stati legittimamente adibiti a mansioni anche inferiori. Viene cioe' ad essere derogato il principio per il quale non si possano adibire i lavoratori a mansioni dequalificanti, in nome della piu' preziosa conservazione del posto di lavoro, quale fonte irrinunciabile di sostentamento del lavoratore.

 

 

COMPORTAMENTI O ATTI COMMESSI AL DI FUORI DELL'AMBITO LAVORATIVO.

Reati o altri fatti commessi al di fuori del rapporto di lavoro.

Il lavoratore che commetta sul posto di lavoro atti che rendano incompatibile la prosecuzione anche temporanea del rapporto possono essere licenziati per giusta causa. Nella fattispecie il dipendente che abbia commesso un furto in azienda o una grave insubordinazione verso i superiori, puo' certamente essere licenziato, decadendo ogni vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

Diverso e' l'atteggiamento da tenere nei confronti di quel dipendente che abbia commesso un reato o tenuto comportamenti illegittimi al di fuori del posto di lavoro.

Innanzi tutto occorre considerare l'esistenza o meno di una relazione tra il reato commesso e l'attivita' svolta in Azienda: ad esempio, il cassiere di una banca che abbia commesso una frode o un furto al di fuori dell'atttivita' lavorativa, puo' essere ritenuto comunque non piu' idoneo a svolgere la sua mansione, perche' in qualche modo gli atti commessi anche nella sfera privata possono compromettere il rapporto fiduciario che implica la sua particolare figura lavorativa. Lo stesso dicasi per un magazziniere che sia sorpreso a rubare in un supermercato, oppure l'autista di un'Azienda che guidi la sua auto privata in stato di ebbrezza: anche in questo caso il licenziamento e' giustificato per il venir meno del vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, anche se gli atti sono stati commessi al di fuori del rapporto di lavoro.

Al contrario, se il reato non ha nessuna attinenza con il rapporto di lavoro, esso e' irrilevante ai fini del vincolo fiduciario, perche' la vita extra-lavorativa del dipendente non puo' in alcun modo essere valutata dal datore di lavoro: si puo' essere infatti ottimi operai o diligenti impiegati anche se sia ha la "brutta" abitudine di giocare in una bisca clandestina; il dipendente, infatti, sara' giudicato e condannato per quello che riguarda gli effetti penali degli atti commessi, ma non dovrà certo subire il "giudizio e la condanna" del suo datore di lavoro.

Per quanto riguarda invece l'eventuale condanna a pena detentiva del dipendente, e conseguente sospensione dell'attivita' lavorativa dello stesso, il datore di lavoro puo' in questo caso invocare il licenziamento per mancanza della prestazione lavorativa.

 

 

PREAVVISO.

Il preavviso di licenziamento dev'essere dato sempre per tutti i licenziamenti che non siano per giusta causa (licenziamento in tronco).

Normalmente, durante il periodo di pravviso, la cui durata è stabilita dai Contratti di categoria, il dipendente continua a prestare la sua opera fino alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Il datore di lavoro puo' comunque invitare il lavoratore a non effettuare piu' alcuna prestazione lavorativa durante il periodo di preavviso, ma dovra' corrispondergli un'indennita' pari alla retribuzione che avrebbe percepito se avesse lavorato. Il datore di lavoro comunque non puo' unilateralmente impedire al dipendente di lavorare durante il periodo di preavviso: tale dispensa dev'essere concordata comunque tra le parti. Viceversa, se il lavoratore venisse dispensato dal lavoro contro la sua volonta', potra' comunicare tempestivamente all'Azienda la sua disponibilita' alla prestazione lavorativa, in difetto della quale egli avra' comunque diritto ad ogni spettanza di Legge, alla pari di un periodo ugualmente lavorato.

 

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