.QUESITO IN ORDINE AI POTERI SANZIONATORI DEGLI ENTI LOCALI.

 

 

CONSIGLIO di STATO

 

Adunanza della Sezione Prima 17 Ottobre 2001

 

N. Sezione 885/2001 La Sezione

 

Oggetto:

Ministero dell’interno.

Quesito in ordine ai poteri sanzionatori degli enti locali.

 

 

Vista la relazione trasmessa con nota 25000/1135/00102847 in data 1 agosto 2001, pervenuta il successivo 28 agosto, con la quale il Ministero dell’interno – Direzione generale dell’Amministrazione civile – Ufficio coordinamento e affari generali ha richiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine al quesito richiamato in oggetto;

 

ESAMINATI gli atti e udito il relatore-estensore Consigliere Antonino Anastasi;

 

RITENUTO in fatto quanto esposto dalla riferente Amministrazione;

 

PREMESSO:

 

Evidenzia l’Amministrazione che in sede applicativa il vigente ordinamento degli enti locali, ora complessivamente disegnato dal T.U. 18 agosto 2000 n. 267, lascia emergere complesse problematiche relative alla imposizione di sanzioni amministrative conseguenti a violazioni dei Regolamenti comunali e provinciali.

 

In particolare, la questione interpretativa sottoposta a questo Consiglio di Stato concerne gli effetti derivanti dalla intervenuta abrogazione, ad opera dell’art. 274 del T.U. n. 267 del 2000, dell’art. 106 del vecchio T.U. 3 marzo 1934 n. 383: tale articolo, che irrogava una sanzione amministrativa dell’importo massimo di lire un milione per le contravvenzioni alle disposizioni dei Regolamenti comunali e provinciali, era concordemente ritenuto la fonte del potere sanzionatorio degli Enti locali.

 

Abrogato l’art. 106, si pone ora il problema di accertare se al presente detto potere sanzionatorio permanga in capo alle Amministrazioni locali, in un contesto ordinamentale in cui, come è noto, da un lato l’art. 23 della Costituzione riserva alla legge ogni imposizione di prestazioni personali patrimoniali e dall’altro l’art. 1 della legge quadro 24 novembre 1981 n. 689 (modifiche al sistema penale) sancisce, in coerenza con il dettato costituzionale, il principio di legalità per l’illecito amministrativo.

 

In presenza del cennato vuoto normativo, l’orientamento della Amministrazione – la quale fa proprie le risultanze del parere espresso sul punto dall’Osservatorio per l’applicazione del nuovo Testo Unico – è nel senso di far rientrare il potere sanzionatorio nell’ambito della autonomia normativa ormai positivamente riconosciuta agli Enti locali.

 

In siffatto contesto l’Amministrazione, sulla scorta di una accurata esegesi delle innovazioni normative che hanno nel tempo ampliato e rafforzato i contenuti dell’autonomia statutaria e regolamentare commessa dal Legislatore primario a Comuni e Province, opina per una lettura adeguatrice della norma introdotta dall’art. 1 della legge n. 689 nonché per una individuazione dei vincoli negativi discendenti dalla riserva di cui all’art. 23 della Costituzione strettamente coordinata col principio positivo di valorizzazione delle autonomie locali derivante dal combinato disposto degli artt. 3 e 128 della Costituzione.

 

In sostanza, l’Amministrazione propende per ritenere che le sanzioni amministrative di cui si discute possano essere autonomamente comminate dai vari Regolamenti, all’uopo modificati: peraltro, non disconoscendo la problematicità delle riferite conclusioni ermeneutiche, chiede al riguardo il parere del Consiglio di Stato.

 

Nel caso di positiva soluzione del quesito principale, l’Amministrazione chiede altresì se l’importo massimo e minimo delle sanzioni comminabili possa essere definito in base alle previsioni di chiusura di cui agli artt. 10 e 11 della legge n. 689.

 

CONSIDERATO:

 

Come nelle premesse riferito, la delicata questione interpretativa sottoposta al Consiglio di Stato concerne gli effetti derivanti dalla intervenuta abrogazione, ad opera dell’art. 274 del T.U. 18 agosto 2000 n.267, dell’art. 106 del vecchio T.U. 3 marzo 1934 n. 383 secondo il quale "Quando la legge non disponga altrimenti, le contravvenzioni alle disposizioni dei regolamenti comunali sono punite con la sanzione amministrativa fino a lire 1.000.000".

 

Come concordemente sin qui ritenuto, l’art. 106 si poneva quale norma primaria autorizzatrice del potere degli Enti locali di irrogare sanzioni amministrative per la violazione di Regolamenti: e ciò ovviamente in via, per così dire, residuale e di chiusura laddove mancasse altra espressa previsione in tal senso nella specifica normativa di settore.

 

Abrogato l’articolo, il problema è quello di accertare se al presente detto potere sanzionatorio permanga in capo alle Amministrazioni locali, in un contesto ordinamentale in cui da un lato l’art. 23 della Costituzione riserva alla legge ogni imposizione di prestazioni personali e patrimoniali e dall’altro l’art. 1 della legge quadro 24 novembre 1981 n. 689 (modifiche al sistema penale) ribadisce, in coerenza con il dettato costituzionale, il principio di legalità e di riserva legislativa alla stregua del quale "Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione."

 

Al riguardo come si è detto, l’orientamento dell’ Amministrazione – la quale fa proprie le risultanze del parere espresso sul punto dall’Osservatorio per l’applicazione del nuovo Testo Unico – è nel senso di far rientrare il potere sanzionatorio nell’ambito della autonomia normativa ormai positivamente riconosciuta agli Enti locali.

 

In tale ottica l’Amministrazione, sulla scorta di una accurata esegesi delle innovazioni normative che hanno nel tempo ampliato e rafforzato i contenuti dell’autonomia statutaria e regolamentare attribuita dal Legislatore primario a Comuni e Province, opina per una lettura adeguatrice della norma introdotta dall’art. 1 della legge n. 689 e correlativamente per una individuazione dei vincoli negativi discendenti dalla riserva di cui all’art. 23 della Costituzione strettamente coordinata col principio positivo di valorizzazione delle autonomie locali derivante dal combinato disposto degli artt. 3 e 128 della Costituzione.

 

Nonostante il suo carattere evidentemente suggestivo, tale impostazione non può essere condivisa dalla Sezione, militando in senso contrario convergenti argomenti di tipo sistematico e testuale.

 

Procedendo innanzi tutto all’esame della questione sotto il profilo dogmatico, deve evidenziarsi che la massima ricevuta (secondo la quale la riserva posta dall’art. 1 legge n. 689 sarebbe relativa) pecca per incompletezza ed è dunque in ultima analisi fuorviante.

 

In effetti, come precisa la Suprema Corte, la riserva di legge in questione è analoga a quella contenuta per l’illecito penale nell’art. 25 della Costituzione ed è quindi, in termini formali, assoluta (Cass. Sez. 1 7.4.1999 n. 3351) o, per meglio dire, generale (Cass. Sez. 1 22.6.1995 n. 7038).

 

Ovviamente, l'efficacia di tale riserva - a differenza della riserva assoluta relativa all'illecito penale - non è di rango costituzionale (in quanto la materia delle sanzioni amministrative sul piano costituzionale è riconducibile all'art. 23 della Costituzione, che stabilisce solo una riserva di legge di natura relativa), bensì opera sul piano della forza di legge ordinaria, con l'effetto che solo con l’intermediazione di una norma di legge che deroghi al suddetto art. 1 è possibile l'introduzione di sanzioni amministrative mediante fonti secondarie (Cass. sez. I, 6-11-1999, n. 12367).

 

Detto in termini più distesi, l’art. 23 della Costituzione preclude che le sanzioni amministrative siano comminate direttamente mediante disposizioni di fonti normative secondarie, ma non esclude, viceversa, che i precetti sufficientemente individuati dalla legge siano eterointegrati da norme regolamentari delegate, in virtù del peculiare tecnicismo della dimensione in cui le fonti secondarie sono destinate ad operare; per parte sua, l’art. 1 legge n. 689 riserva solo alla legge l’introduzione delle sanzioni amministrative ma con ciò detta un precetto generale derogabile da successive norme primarie o compatibile con previgenti norme legislative di carattere speciale.

 

La conclusione è che in difetto di altra norma legislativa l’art. 1 spiega piena efficacia, precludendo la previsione di nuove fattispecie di illecito amministrativo in sede regolamentare.

 

Dal punto di vista dogmatico, dunque, la strada sottilmente indicata dall’Amministrazione non sembra percorribile perché porta ad una alterazione del criterio di gerarchia delle fonti non supportata da alcun riferimento positivo: con riserva di ritornare sul punto, deve osservarsi infatti che il richiamo al principio costituzionale dell’autonomia degli enti locali, se può rilevare in tutta la sua forza allorché si tratti di optare fra diverse interpretazioni della norma primaria tutte in astratto plausibili, è naturalmente inidoneo a fondare ricostruzioni ermeneutiche che si pongano, in definita, contra legem.

 

Del resto, su un piano pragmatico si ricorderà che la giurisprudenza ritiene che de iure condito nemmeno alle Regioni sia consentito derogare (in assenza della norma di legge ) al precetto dell’art. 1 legge n. 689 con fonti regolamentari (Cass. n. 7038/95 citata), pur essendo indubbio l’assoluto e pieno rilievo ordinamentale dell’autonomia regionale.

 

Non contraddicono i rilievi ora esposti le numerose sentenze della Suprema Corte richiamate dall’Amministrazione, secondo le quali "il principio di legalità dell'illecito amministrativo, contenuto nell'art. 1 legge n. 689 del 1981, non ha ragione di operare nel caso di violazione di regolamenti comunali e provinciali, i quali del resto trovano il loro fondamento costituzionale nel riconoscimento delle autonomie locali, affermato negli art. 5 e 128 della Costituzione, con cui deve coordinarsi il principio della riserva di legge, di carattere relativo, previsto dall'art. 23 della Costituzione" (per tutte cfr. Cass. sez. III, 18-2-2000 n. 1865): presupposto fondante (ed espressamente, costantemente ribadito dalla Suprema Corte) della trascritta affermazione era infatti quello della perdurante vigenza dell’art. 106 T.U. n. 383 del 1934, in quanto non abrogato dalla ridetta legge n. 689 ed esplicitamente fatto salvo dall'art. 64, lett. c), legge n. 142 del 1990 (ivi).

 

In altri termini, deve riconoscersi che l’ordinamento vigente valorizza il principio di autonomia degli enti locali consentendo la massima espansione del criterio di etero-integrazione per via regolamentare della norma primaria che commina la sanzione amministrativa, ma postula pur sempre l’esistenza di una fonte legislativa delegante.

 

Fermo quanto sopra, il riferimento alla legge n. 142 del 1990 introduce un altro argomento, di tipo sistematico, che depone anch’esso per l’impraticabilità della tesi fatta propria dall’Amministrazione.

 

In proposito, dopo aver ricordato che come dianzi detto l’art. 64 lett. c) della legge quadro 8.6.1990 n. 142 aveva espressamente mantenuto in vigore l’art. 106 TU, si osserva che la legge 3.8.1999 n. 265, pur aprendo nuovi e più ampi orizzonti all’autonomia statutaria, regolamentare ed organizzativa degli enti locali, è rimasta silente sulla questione ora in rassegna: e ciò sia direttamente (non avendo la citata legge n. 265 abrogato l’art. 106) sia indirettamente, non avendo essa inserito la tematica delle sanzioni amministrative nel catalogo delle competenze statutarie o regolamentari di Comuni e Province.

 

Ne deriva, come del resto non può fare a meno di riconoscere anche l’Amministrazione, che al momento dell’entrata in vigore del nuovo Testo Unico da un lato il potenziamento delle autonomie locali aveva già raggiunto il massimo grado di attuazione e dall’altro che, per quanto riguarda il settore delle sanzioni amministrative, il sistema poggiava pur sempre sull’antico articolo 106, di perdurante vigenza.

 

C’è allora da chiedersi perché mai il Legislatore del 1990 e del 1999 avrebbe dovuto scrupolosamente salvaguardare una disposizione di origine così risalente, se essa fosse stata in buona sostanza così superflua come oggi si cerca di dimostrare.

 

Il vero è dunque, ragionando a contrario, che l’art. 106 svolgeva una funzione ineliminabile in un ordinamento come il nostro strettamente informato al principio di riserva legislativa nell’ambito sanzionatorio e che la sua abrogazione ha effettivamente determinato un vuoto normativo, che va – a giudizio della Sezione – quanto più possibile tempestivamente colmato in sede normativa primaria, per un duplice ordine di ragioni.

 

La prima, ovviamente, attiene alla necessità di non lasciare sguarnite di sanzione le violazioni delle norme regolamentari degli enti locali, che non siano altrimenti assistite da altre disposizioni legislative.

 

La seconda, del tutto opposta, attiene al pericolo che – in estrema ipotesi - le suddette violazioni si trovino ad essere ri-penalizzate in relazione al disposto dell’art. 650 c.p., il quale come è noto sanziona penalmente l’inosservanza dei provvedimenti legalmente dati dall’Autorità.

 

In proposito, per quanto riguarda gli Enti locali, la giurisprudenza penale è sino ad oggi assestata nel senso che la norma di cui all'art. 650 c.p. può ritenersi violata quando non si ottemperi a provvedimenti che il sindaco adotta quale ufficiale di governo, con carattere di contingibilità ed urgenza, al fine di ovviare a fatti gravi, quali pubbliche calamità o gravi epidemie; negli altri casi, quando cioè l'ordine sia dato con richiamo a regolamenti comunali esistenti, la loro violazione non è penalmente punita, ma trova una sanzione amministrativa nell'art. 106 R.d. n. 383/1934 (ad es. Cass. pen. sez. I, 5-5-1998, ric. Molinari).

 

Una volta però venuta meno la previsione della sanzione amministrativa, non potrebbe escludersi a priori l’operatività dell’art. 650 c.p. (non a caso ritenuto norma di estrema chiusura) il che, risultando del tutto contraddittorio con le linee di depenalizzazione che informano l’attuale sistema sanzionatorio, conferma l’assoluta esigenza dell’intervento del Legislatore.

 

P.Q.M.

 

Nelle esposte considerazioni è il parere del Consiglio di Stato.

 

Per estratto dal verbale

 

Il Segretario della Sezione

 

(Licia Grassucci)

 

Visto

 

Il Presidente della Sezione

 

(Paolo Salvatore)