"METODO", N. 10/1994

Pier Luigi Maffei
UOMO, NATURA, TERRITORIO, AMBIENTE: UN EQUILIBRIO DA RITROVARE
(Conferenza di Loppiano, 14 dicembre 1993)

Idem sunt actus morales et actus humani
San Tommaso – “Summa Theologiæ”

Diamo inizio alla conferenza sul tema: “Uomo, natura, territorio e ambiente: un equilibrio da ritrovare” con una riflessione, e richiamando alcune definizioni.
La riflessione è tratta dalla Populorum Progressio - 34, e dice: “Padrone delle proprie azioni e giudice del loro valore, l’uomo diventa egli stesso autore del proprio progresso, in conformità con la natura che gli ha dato il suo Creatore e di cui egli assume liberamente le possibilità e le esigenze”.
Le definizioni sono le seguenti:

Uomo: essere appartenente alla specie più evoluta del pianeta terrestre, chiamato a salvaguardare e a trasformare il territorio per bisogni ed esigenze individuali e collettive, che non sempre beneficia delle trasformazioni apportate, subendone anzi, talvolta, negative conseguenze.

Natura: insieme delle cose, degli esseri e dei fenomeni dell’universo che hanno origine ed esistenza indipendentemente dall’opera umana; natura aggredita, quando non distrutta, dall’uomo che non ne sa rispettare i principi escatologici per difetto di etica e di cultura.

Territorio: porzione della terra, risorsa preziosa sulla quale si deve intervenire con grandi attenzioni; bene irriproducibile troppo spesso consumato senza razionalità da uomini all’oscuro delle caratteristiche e dei significati; bene troppo spesso sprecato senza alcuna motivazione logica, senza alcun senso.

Ambiente: da ambiens=che sta intomo, complesso delle situazioni esterne nelle quali si svolge la vita vegetale ed animale con estensione alle condizioni sociali ed cconomiclic oltre che fisiche nelle quali l’uomo vive ed opera.

Uomo, Natura, Territorio, Ambiente: un equilibrio tutto da ripensare partendo da approfondite informazioni, rispettando un ordine logico: prima conoscere, poi intervenire.

L’uomo da sempre interviene a modificare il territorio, e quindi l’ambiente; lo fa fin dai primordi per difendersi da animali e da consimili, per trovare condizioni climatiche più adatte alla sua natura o per svolgere al protetto le proprie attività.
Lo ha fatto originariamente con raziocinio e rispetto delle più ampie esigenze, mentre, man mano che la società si faceva più complessa per presenza umana ed attività, le trasformazioni hanno perso in qualità, fino a non rispettare più le esigenze attuali e future della collettività. Oggi la “paura ecologica” è tale da scuotere poveri e benestanti ed è auspicabile che una più matura coscienza dei problemi possa portare ad una inversione di tendenza, mettendo fine ad un consumismo esasperato, allo spreco, ad insensati sfruttamenti delle risorse terrestri e a manipolazioni senza limiti etici e morali. Basterà ricordare due situazioni: quella di dimensione mondiale costituita dalla distruzione delle foreste dell’Amazzonia e quella a livello nazionale, a noi così vicina, resa più grave per il livello culturale della città che ne è causa: l’inquinamento dell’Arno e del mare derivante dal fatto che Firenze non ad oggi un depuratore dei liquami.
La complessità e la dimensione dei fenomeni odierni richiedono ormai una capacità di decisione basata sulla conoscenza più ampia e completa, frutto di apporti pluridisciplinari stabilendo uno stretto rapporto fra scienza e politica.

Se è vero che il problema tocca tutti, i Cristiani hanno un motivo in più per sentirsi responsabilizzati quando si trovano a coprire ruoli che comportano interventi che possano essere causa di disastri ecologici; alla razionalità si aggiunge infatti per loro un dogma di fede: l’uomo è chiamato a rispondere delle sue azioni a Dio Creatore nel rispetto di tutto il Creato, senza che ciò debba significare però intangibilità del territorio.
Nel messaggio per la Quaresima del 1992, Sua Santità Giovanni Paolo II ebbe infatti a dire: “I beni della Terra sono stupendi! Tanto quelli che ci vengono direttamente dalle mani generose di Dio, quanto quelli che sono frutto dell’opera dell’uomo chiamato a collaborare alla creazione con la sua intelligenza e con il suo lavoro”.
Spinto talvolta dalla ricerca di una esasperata conservazione della configurazione territoriale originaria, ben lungi dal risolvere il problema della salvaguardia della natura, l’ambientalista che di solito non ha una visione politica, vale a dire complessiva, dei problemi, può diventare con le sue posizioni integraliste l’involontaria causa di danni.
Ciò accade, per esempio, allorché con il blocco assoluto di ogni intervento di sviluppo, si provoca l’abbandono dei luoghi originari di montagna e di collina ove l’uomo con la sua presenza ne rappresentava il presidio, riuscendo ad evitare danni e disastri; ciò accadde quando con strumentali previsioni di Piano Regolatore si è bloccato lo sviluppo di certe zone a vantaggio di altre, riguardando alle prime come serbatoi di mano d’opera da rivolgere a insediamenti produttivi previsti altrove e determindando quindi lo svuotamento dei nuclei urbani storici originari, e quando come nel caso di Pisa, non prevedendo aree residenziali qualificate nel capoluogo e prevedendole ai confini del Comune nei territori limitrofi, si sono di fatto provocati spostamenti di residenti che continuando a gravitare per lavoro su Pisa hanno appesantito il traffico urbano dando luogo al negativo fenomeno del pendolarismo.
Le scelte urbanistiche ed i vincoli ambientali che contrastano ogni possibile sviluppo ancorché equilibrato ed utile, non costituiscono quindi una corretta risposta alle esigenze della comunità.

Alcuni segnali positivi giungono, invece, seppur con grande ritardo anche rispetto alle enunciazioni, da esperienze condotte dalle Amministrazioni Provinciali che hanno recentemente avuto nuovi compiti, e fra questi quello della redazione dei Piani Territoriali di Coordinamento. Si stanno riportando finalmente su carte tematiche informazioni relativamente alle aree assoggettate ad esondazioni ed alluvioni, alla situazione geologica, pedologica, infrastrutturale e alle reti di servizio del territorio. Allorché tali carte potranno essere consultate in sovrapposizione si potranno stabilire quali sono i terreni non idonei per l’edificazione, quali opere sono necessarie per ovviare agli inconvenienti derivanti dalla realizzazione di nuove strade (la stessa soluzione adottata per la superstrada Firenze-Pisa pare essere stata in parte la causa delle recenti alluvioni di vaste zone del pisano) e quali le zone da conservare umide a garanzia di equilibri complessivi altrimenti rotti con il rischio di fenomeni di subsidenza, di abbassamento cioè di aree urbanizzate rispetto al livello del mare e di infiltrazione di acqua salsa dal mare verso l’entroterra. È il caso di Pisa, per esempio, che vede interessata al fenomeno anche la stessa Piazza dei Miracoli con la celebre Torre Pendente.

Quello che si richiede da subito è entrare nella cultura della “qualità della vita”, mettendo a riferimento di ogni previsione di intervento il concetto di “economia” intesa come risposta globale nell’interesse della collettività prima che del singolo o di una parte della” comunità, facendo si che le stesse “aree protette” possano essere progettate in termini di crescita e di sviluppo, prevedendo interventi compatibili con le caratteristiche naturali ed ambientali, riconoscendo che con la qualità si possono affrontare interventi umani compatibili con le presistenze naturali e antropiche. In questa ottica anche un Parco non sarà più allora visto come impedimento per qualsiasi attività, soggetto a vincolo assoluto, ma diventerà risorsa turistica e produttiva, consentendo di esercitare la serricoltura, la piscicoltura ed in genere ogni attività agricola biologica.

Stante la necessità di dover intervenire sul territorio con grande correttezza e capacità, si pone allora la domanda: con quale metodo e con quali comportamenti si può oggi intervenire tenendo conto delle complessive esigenze in una visione globale dei probeimi, dichiarando finita l’epoca del dilettantismo? Un modello di sviluppo contraddistinto da particolari attenzioni nella scelta dei luoghi, dei materiali, delle tecniche e dei servizi, imperniato sulla qualità, sulla durata, sul recupero, sul riuso, sul riciclaggio dei prodotti utilizzati, e così via, presupposti di ogni progetto che guardi al progresso, da raggiungersi tramite momenti di educazione, di formazione e di corretta e completa informazione è perseguibile ricorrendo all’Analisi del Valore. Questo metodo mette infatti in gioco competenze pluridisciplinari con un unico coordinamento in modo tale che gli studi e le relazioni effettuate (ivi compresi lo studio e la valutazione dell’impatto ambientale SIA e VIA) non risultino sommatorie di apporti conoscitivi settoriali, ma un lavoro di sintesi interdisciplinare.

Dal momento che la qualità si riferisce alla totalità degli attributi e delle caratteristiche di un bene che concorrono alla capacità di soddisfare esigenze specificate o implicite ed il valore è il rapporto tra il minimo prezzo che saremmo disposti a pagare per una determinata funzione (costo dell’utilità della funzione) ed il costo del bene o del servizio che assicura la funzione presa in considerazione, l’Analisi del Valore (Value Engeneering) è quindi uno strumento per la qualità di un bene o di un servizio, consentendo di proporre soluzioni tali da soddisfare a tutte le funzioni necessario e richieste ad un costo globale ragionevolmente contenuto.
Essa presuppone un’attività da svolgersi in collaborazione con il gruppo dei progettisti da parte di un grpupo di esperti e non, coordinati da un responsabile coordinatore che indicherei nella figura dell’ingegnere, stante le caratteristiche attribuitele dal Professor Luigi Donato, in una relazione tenuta nel 1989 all’Accademia Nazionale dei Lincei, quando mise in evidenza la dote de “il saper fare”, sapendo egli stabilire un raccordo fra potenzialità ed obiettivi da raggiungere.
Dalle applicazioni di Analisi del Valore derivano progetti e quindi interventi tali da evitare un precoce degrado strutturale, infrastrutturale ed ambientale, verificandosi il fatto che nella maggior parte dei casi il degrado è attribuibile a carenze qualitative della progettazione, non essendo state prese in dovuta conssiderazione tutte le funzioni.

Un aspetto importante da prendere in considerazione per la qualità dell’assetto del territorio è quello relativo alla disciplina “urbanistica”. Fin dall’impostazione originaria, con la Legge Urbanistica del 1942, ancora vigente, fu correttamente posto il problema complessivo dell’assetto del territorio, ma nella pratica prese sempre più il sopravvento l’aspetto edificatorio, fino a far dimenticare la necessità di dover rispettare il rapporto fra città e campagna.
La miriade di leggi e norme che da allora sono state emanate in materia urbanistica e di ambiente hanno comportato il caos più assoluto, ed oggi siamo a chiedere alla Regione Toscana un testo unico Regionale che abroghi le tante disposizioni legislative e normative, mettendo le attenzioni sulla globalità delle problematiche.
A fronte di una Legislazione Regionale che si presenta disorganica, frammentaria, caotica, con troppi spazi lasciati alle interpretazioni e quindi alla discrezionalità, con oggettive ridondanze per un verso e con gravi lacune per un altro, si chiede infatti una legge quadro che contrapponga ai vincoli chiare norme comportamentali, per addivenire a qualificati e qualificanti interventi, rispettosi delle esigenze complessive.
In particolare si richiedono non vincoli, ma proposte per quelle aree extra urbane e quei centri storici minori che sono stati riguardati come veri e propri serbatoi di mano d’opera per l’industria, anziché come fondamentali risorse per l’attività primaria: l’agricoltura.
Il testo unico dovrà anche prevedere un Osservatorio dell’Ambiente con sede presso le Università della Regione Toscana, in rapporto agli Enti di Ricerca a ciò interessati, al fine di avere assicurato un monitoraggio in tempo reale dei processi evolutivi.

Operando in armonia di intenti fra Regione, Province e Comuni potranno essere redatti piani territoriali di coordinamento intesi come strumenti di conoscenza del territorio, importanti per evitare da ora in avanti scelte che si sono rivelate errate quando non assurde.
Ciò è accaduto quando nel recente passato piani regolatori di Comuni limitrofi hanno presentato su cartografia opere viarie di grande comunicazione che non si raccordavano ai confini comunali; quando edifici per l’edilizia residenziale pubblica sono stati ubicati su aree soggette a frane; quando previsioni residenziali qualificate sono state riportate sui piani regolatori di Comuni prossimi al Comune che dava maggiori opportunità di lavoro, tese quindi ad incrementare il numero dei residenti di un Comune a svantaggio di un altro o a dotare di attività produttive un Comune in quanto partiticamente da privilegiare a danno di un altro.
Tutto questo è successo in una Regione Toscana che è stata ora volutamente assente nei confronti delle decisioni comunali, ora protagonista a vantaggio di un Comune rispetto ad un altro e che ha fatto sì che il territorio regionale presentasse a tutt’oggi aree deboli e aree forti.

Chi ha seguito con attenzione l’evoluzione della pianificazione territoriale ed urbanistica, avrà notato la necessità di passare da un processo empirico, intuitivo e spesso del tutto soggettivo ad una progettualità più rigorosa, obiettiva ed aderente ai caratteri della scientificità, affiancando all’opera dell’urbanistica “demiurgo”, tecnici competenti nei vari settori.
Ed ecco che da una pianificazione esclusivamente centrata sulla colonizzazione del territorio si sta andando, a fatica, verso una programmazione volta alla considerazione dei valori della natura e dell’ambiente, passando da un semplicistico sfruttamento di risorse ad un uso ed ad una gestione controllata e consapevole, che guarda al territorio come ad un organismo vivente. Da un documento statico, il piano diventa allora dinamico per rispondere alle istanze in termini di processo, con una sua flessibilità e adattabilità, capace di corrispondere alle nuove esigenze che una società in rapida trasformazione non può non avere, lasciando margini di gestione continua ad una commisione urbanistica sempre più ricca di disciplinarità differenziata e di competenze e quindi qualificata per essere a supporto di scelte che competono agli amministratori.

Alla scala urbana, superato il momento delle zonizzazioni monofunzionali, si sta prendendo in considerazione il valore dell’integrazione funzionale, della compresenza delle attività in ambienti a dimensione umana, migliorando così facendo anche le condizioni sociali in quanto si torna a mettere al centro delle attenzioni la persona, la qualità della vita, il rapporto fra abitazione e posto di lavoro, la necessità di separare l’area destinata al traffico meccanizzato da quella pedonale. Tali soluzioni si rendono oggi praticabili sul piano del pluralismo delle iniziative, in quanto diventa possibile prevedere interventi di edilizia residenziale pubblica e privata integrata da servizi pubblici e privati, complementari alla residenza, superando così con l’integrazione sociale il momento dei ghetti dormitorio.
Si viene così facendo ad affrontare correttamente il problema della riconosciuta necessità di riqualificare le periferie come parti di città rispondendo anche alle esigenze di anziani e studenti, di portatori di handicap e stranieri, qualificando la nuova edificazione, ma anche recuperando ad un più razionale utilizzo il patrimonio edilizio esistente attualmente dismesso.

Così come con convezioni appropriate fra pubblico e privato si rende oggi possibile trovare il giusto equilibrio fra le esigenze dell’una e dell’altra componente e andare verso una corretta redditualità del privato, smettendota di parlare di “speculazione”, ciò che si è fatto ogni qualvolta si è inteso affossare iniziative, parlando, i Verdi, di “cementificazione” senza valutazione della qualità dell’opera costruttiva dell’uomo. Trattandosi di opere che richiedono tutta una serie di consensi e di approvazioni è del resto sempre possibile conciliare interessi e qualità della vita.
Le direttive CEE rappresentano oggi un punto fermo da cui partire per definire un quadro di riferimento normativo e procedurale tale da poter sviluppare grandi progetti cantierabili, pronti cioè per una corretta gara di appalto e una realizzazione qualificata. Il rapporto fra uomo, natura, territorio ed ambiente si ristabilisce quindi all’interno di nuovi equilibri anche perché, superato con l’elezione diretta dei propri massimi rappresentanti il momento dello scontro fra partiti, l’uomo potrà tornare a proporre sul territorio interventi significativi ed importanti quali lo furono gli acquedotti romani, i conventi e le abbazie medioevali, le grandi chiese e cattedrali ed i battisteri. Si pensi che oggi per una visione ambientalista di maniera, ma non certamente a vantaggio dell’uomo né della natura, si preferiscono opere più costose e pericolose, quali grandi tratti autostradali in galleria, rispetto a sopraelevate che se previste in termini di alta qualificazione tecnologica potrebbero dare una risposta più razionale e qualitativamente più importante anche dal punto di vista ambientale. Tante eccezionali opere del passato non sarebbero giunte a noi se una cultura adeguata ai tempi non avesse consentito realizzazioni importanti quali la Piazza dei Miracoli a Pisa e il Piazzale Michelangelo a Firenze.
L’importanza delle funzioni e della qualità tornerà a prevalere rispetto a strumentali rinunce imposte oggi in nome di un ambientalismo di maniera, che vorrebbe magari vedere tornare le acque e la malaria in zone che furono bonificate; è il caso del “Piano Territoriale di Coordinamento del Parco di San Rossore, Migliarino e Massaciuccoli”.

Termino citando il Profesor Paolo Schmidt il quale nel Convegno “Rezzara” di Vicenza del 1975, sul tema “Popolazione, Ambiente e Risorse” ebbe a dire:
“[...] un’epoca, la nostra, nella quale le tradizionali regole della convivenza non sono più sufficienti ed in cui non sono ancora definite quelle future. Un’epoca di perenne cambiamento, di cronica instabilità. Sembra per questi motivi di poter parlare di «nuovo medioevo», in quanto abbiamo abbandonato un mondo stabile, rigidamente organizzato, si potrebbe dire «classico» per rincorrere i bagliori, che come tali affascinano e spaventano, di ciò che speriamo potrà essere un «nuovo umanesimo». In questo senso la nostra capacità di modificare l’ambiente in cui viviamo è ad un tempo forza e maledizione [...]”.

Cerchiamo, da uomini di buona volontà, ognuno nell’ambito delle proprie possibilità e capacità, di promuovere iniziative tese ad avvicinare i tempi del nuovo umanesimo.

© Giovanni Armillotta, 2000