Lo spazio del guerrigliero culturale

 

 

 

Il punto di vista della destra

Ho avuto occasione di leggere in anteprima il saggio di Falco, L'anomalia italiana. E' certamente uno scritto che colpisce, lucido, ben argomentato, da parte di uno che non ha certo la memoria corta sui molti "misteri" di casa nostra, e la cui lettura può essere utile ad aprire gli occhi a molti, ma alcune cose che contiene non mi sembrano condivisibili. Falco è un liberale che ha capito che in Italia non ci si può opporre alla marea montante del cosiddetto "ulivo" permettendosi il lusso di avere nemici a destra, ed ha superato - con coraggio, diamogliene atto - l'atavico timor panico di poter essere confuso con i "fascisti", ma non è un uomo di destra, e nel suo scritto vengono alla luce le contraddizioni tipiche del pensiero liberale.

Secondo Falco, la Rivoluzione d'Ottobre avrebbe stravolto il significato che la contrapposizione destra - sinistra aveva lungo tutto il corso dell'ottocento, ed ancor prima all'epoca della rivoluzione francese e le rivoluzioni inglesi del seicento (ha scordato, sembra, la rivoluzione americana) significato che fin allora era per la sinistra altamente positivo, mentre la destra rappresentava la negatività il male, l'opporsi al luminoso cammino della Storia. Mi sembra legittimo dubitarne, per un semplice fatto: l'Ottobre russo non è stato certo il primo esempio di rivoluzione "tradita", di rivoluzione che ha portato al potere un'elite che si è impadronita (cito le sue parole a memoria) delle risorse di un paese nel proprio esclusivo interesse. Non era già successo in Inghilterra nel 1640-49 che la rivoluzione si era conclusa con l'avvento al potere di Cromwell? La rivoluzione francese non ha forse partorito Robespierre e Napoleone? E allora, non è forse il caso di pensare che c'è qualcosa che non va in tutti questi "movimenti di liberazione" che finiscono per forgiare catene più pesanti di quelle dei regimi che li avevano preceduti?

Vorrei menzionare un testo che dovrebbe essere più familiare a Falco che a me, I doveri dell'uomo di Giuseppe Mazzini. In uno dei rari momenti di lucidità in questo melenso libretto, Mazzini s'indigna per il "tradimento" della mini-rivoluzione francese del 1830 che portò sul trono Luigi Filippo e permise al potere di passare dai castelli alle banche.

"Chiamate traditori quegli uomini?", esclama, "Dovreste chiamare traditrici le loro idee".

Qui l'apostolo del risorgimento tocca con mano, senza peraltro avvedersene, la contraddizione del pensiero liberale. Il "sistema di garanzie offerte ai governati nei confronti dei governanti", altro non è che ciò che Hegel chiamerebbe "un contenuto di leggi non sentito", diritto ma non morale, né eticità. L'individualismo liberale si limita a contenere entro forme civili e non violente il "bellum omnium contra omnes" hobbesiano, la guerra di tutti contro tutti, appena mascherata da dialettica delle idee e libero mercato.

Non è vero invece che l'idea di società organica proposta dal pensiero tradizionale non valorizzi la persona, la valorizza eccome, ma non in quanto individuo, bensì come membro del corpo sociale, della categoria di appartenenza, della civitas, della patria di ciascuno, come membro di una comunità il cui divenire nel tempo oltrepassa la durata delle generazioni, come parte della continuità storica, della tradizione, appunto, in nome di una legge di mutua solidarietà, la sola che possa garantire insieme la libertà e la giustizia sociale.

Leggendo le parole di Falco, si scopre una tensione morale, una passione civica in sé nobilissima contro le violenze che la classe politica sinistrorsa ha perpetrato e continua a perpetrare contro la comunità nazionale, si vengono giocoforza a riscoprire i concetti oggi desueti di italianità e di patria, ma anche condividendone l'indignazione sacrosanta, bisogna dire che il concetto di nazione, di stato - nazione nei termini in cui ha dominato la storia europea dal 1848 al 1945 non è altro che una forma storicamente determinata. Oggi eventi quali la crisi della ex Jugoslavia fanno intravedere anche in Europa l'emergere di uno spirito tribale di tipo africano, e chissà che anche il leghismo da noi non sia l'anticamera di qualcosa di molto più sinistro. Si parla di integrazione europea, ma è meglio non contarci troppo, visto lo spirito mercantilistico ed affaristico, la totale assenza di qualsiasi fermento ideale dal clima da cui dovrebbe nascere la "nuova Europa".

Il giudizio che Falco dà sul fascismo è duro (anche se ci è capitato di sentire ben altro!). La colpa peggiore del regime mussoliniano sarebbe stata quella di aver trascinato l'Italia nella seconda guerra mondiale e nella sconfitta, conseguenza dell'alleanza con la Germania. Anche su questo argomento, però, sarebbe ora di smettere di ripetere sempre i soliti luoghi comuni e di analizzare le cose con un po' di spirito storiografico. La politica estera italiana dal 1861 al 1940 è stata una continua oscillazione nell'alleanza ora con l'uno ora con l'altro dei due blocchi contrapposti di alleanze che dividevano l'Europa, quello franco-inglese e quello austro-germanico (la sola Germania, naturalmente, dal 1918), dalle lotte risorgimentali alla Triplice Alleanza nel 1882 con Austria e Germania, alla guerra contro le stesse nel 1915, dall'azione di Mussolini per sventare l'annessione dell'Austria alla Germania dopo l'assassinio del cancelliere Dollfuss al Patto d'Acciaio ed all'ingresso nella seconda guerra mondiale, e da questo punto di vista non c'è differenza fra la politica estera del fascismo e quella dei governi liberali che l'avevano preceduto, perché l'Italia era costretta a perseguire due obiettivi incompatibili ed entrambi irrinunciabili: l'espansione coloniale, che la portava a conflitto con gli interessi franco-inglesi ed il completamento dell'unità nazionale e la sicurezza delle frontiere di nord-est che la ponevano in antagonismo con il mondo germanico. L'ingresso nel secondo conflitto mondiale fu una decisione dagli esiti nefasti, non però irresponsabile. Mussolini sapeva bene che l'esercito italiano, già stremato dalla partecipazione a due guerre, non era in grado di affrontare un terzo e più vasto impegno bellico, ma tutto lasciava ad intendere che la guerra si sarebbe risolta presto con la vittoria tedesca. Il giorno stesso dell'ingresso italiano nel conflitto, il 10 giugno 1940, i tedeschi entravano a Parigi, ad un solo mese di distanza dall'inizio della campagna occidentale.

Ma forse il fatto più importante è un altro: la repubblica resistenziale cattocomunista in mezzo secolo è riuscita a dimostrare che si possono perdere le paci con conseguenze più distruttive e con maggiore infamia di quanto si possa perdere una guerra.

Falco ha ricordato la lunga serie di inammissibili tradimenti dell'italianità compiuti dalla classe dirigente cattocomunista: l'accordo De Gasperi - Gruber, l'accordo di Osimo, il trattamento preferenziale alle minoranze etniche a discapito della maggioranza italiana sempre e dovunque. Gli effetti cumulativi di tutto ciò sono più nefasti di una guerra perduta, una guerra perduta senza sparare un colpo da un popolo che ha avuto la ventura di affidare il proprio destino nelle mani di una banda di sciacalli e traditori. Dire che di fronte a ciò le responsabilità del fascismo per il nostro coinvolgimento nella seconda guerra mondiale impallidiscono, è ancora poco. E la serie delle nostre disgrazie non sembra debba mai finire. E' recente la notizia che è tornata all'ordine del giorno una proposta di "tutela integrale" della minoranza slovena nel Friuli Venezia Giulia (minoranza numericamente tanto infima, lo ricordiamo, da rifiutare per principio qualsiasi ipotesi di censimento che ne metterebbe in luce l'inconsistenza) che in pratica escluderebbe la maggioranza italiana dall'accesso ai pubblici uffici, e questo in una situazione già drammatica sotto il profilo dell'occupazione. Occorre ricordare quanto sia critica la situazione nell'angolo nordorientale d'Italia dove la disoccupazione costringe ogni anno migliaia di giovani ad emigrare, e dove è più forte la pressione dei flussi migratori provenienti dall'Europa dell'est? Di questo passo, tra qualche decennio a parlare italiano saranno soltanto le lapidi dei cimiteri, sempre che non vengano levate per non recare offesa alla convivenza multietnica!

Ma non è tutto, grazie alla partitocrazia cattocomunista, l'italianità non è solo regredita nei confronti delle minoranze etniche, ma si è disgregata al suo interno; senza la sua azione dissolutrice, sarebbe stato forse immaginabile un fenomeno come il leghismo? Ma che dire allora del sud dove è stata lasciata mano libera alle organizzazioni mafiose, dei cui legami con il potere politico non vi sono ormai dubbi? Giustamente, Falco rileva che a Bolzano non vige la legge dello stato italiano, ma perché, a Palermo forse si?

Giorgio Bocca, penso, è un personaggio che conosciamo tutti, e tutti sappiamo che il suo mestiere consiste nel vomitare settimanalmente calunnie velenose contro il Polo delle Libertà dalle pagine dell'Espresso, ebbene, nel suo libro Inferno si è lasciato andare ad uno dei suoi rari momenti di obiettività dove riporta il parere di un magistrato che spiega come una delle ragioni, e non la minore, del grande balzo in avanti compiuto dalla mafia negli anni '70 sia stata l'azione della sinistra che allora vedeva come poliziesco, antidemocratico, potenzialmente fascista qualsiasi rafforzamento di potere dei corpi di polizia della magistratura, degli organi dello stato, a meno che, naturalmente non si trattasse di magistrati impegnati ad inventarsi inesistenti golpe fascisti.

E' un caso che fra i giudici impegnati in prima linea contro la mafia vi fossero uomini come Paolo Borsellino, la cui collocazione politica di destra non era un mistero per nessuno?

Falco afferma che dell'operato di De Gasperi non si può dare un giudizio completamente negativo perché forse ha evitato all'Italia esperienze peggiori, come un governo militare, o simili. Onestamente, fatta eccezione per una dittatura di tipo sovietico, non riesco ad immaginare un regime peggiore di quello che inquina ed avvelena l'Italia da mezzo secolo. Falco paragona De Gasperi a Richelieu, e mi sembra un confronto calzante, ed allora non gli sarà forse ignoto l'epitaffio scherzoso che il popolo parigino dettò per il terribile cardinale: "Qui giace un cardinale che fece un po' bene e un po' male, il bene lo fece male, e il male lo fece bene". Oltre ad essere un italiano così fervente da rimanersene tranquillamente seduto sui banchi del parlamento di Vienna mentre Cesare Battisti veniva impiccato nel castello del Buon Consiglio di Trento, De Gasperi era anche un uomo così democratico e tollerante da far finire Giovanni Guareschi in galera per una vignetta satirica sul Candido, mentre il fascismo sopportò di buon grado per vent'anni i lazzi di Petrolini, ed allora, qual era il meno liberale fra i due regimi.

Detto tutto ciò, non va assolutamente sminuito il lavoro compiuto da Falco nel raccogliere una documentazione chiara, ragionata, completa, ed una lucida analisi dei mali che compongono l'anomalia italiana.

Due secoli fa, circa, Giacomo Leopardi dedicava alla sorella una triste, facile profezia: "O miseri o codardi figlioli avrai": la scelta, per gli italiani, soprattutto per i giovani, era fra rassegnarsi supinamente all'esistente, essere codardi, oppure essere miseri cioè mettere anticipatamente in conto le sventure derivanti dal battersi per dare un avvenire al proprio paese, e molto prima di lui, Dante cantava un grido di dolore ancor oggi attuale:

"Ahi, serva Italia, di dolore ostello,
Nave sanza nocchiero in gran tempesta
Non donna di province, ma bordello".

Ma non importa, come Julius Evola ci ha insegnato, continueremo a rimanere uomini in piedi in mezzo a un mondo di rovine.

Nestore

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