Marcela Irene Rodríguez Valdivieso |
María Cristina San Juan Avila |
PROMOSSA DA:
COMITATO INTERNAZIONALISTA ARCO IRIS
Via Don Minzoni 33
25082 Botticino Sera
BRESCIA
Tel. - Segr. - Fax: 030 - 21 90 006
E-mail: Ale.Ramon@numerica.it
Pagina Internet: http://www.geocities.com/CapitolHill/Congress/7620/
Appello Urgente alla Solidarietà
Ad ogni Cittadino Onesto e Cosciente,
Alle Organizzazioni per i Diritti Umani,
Alle Organizzazioni Non Governative,
Alle Associazioni di Solidarietà,
Alle Organizzazioni Sociali,
Ai Partiti Politici,
Ai Mezzi di Comunicazione,
Con questo nostro appello ci rivolgiamo a Voi per ottenere la Vostra partecipazione, la Vostra collaborazione in questa battaglia per la Giustizia, per la Libertà di María Cristina San Juan Avila e di Marcela Irene Rodríguez Valdivieso, detenute politiche che versano in condizioni di salute critiche, affinché possano accedere alle cure mediche che garantiscano loro il diritto alla vita.
Invitiamo tutti a partecipare a questa campagna, aderendo alla stessa, anche individualmente, ma soprattutto dibattendo con Noi sullo sviluppo da darsi alla Campagna stessa, sui mezzi più opportuni. Abbiamo bisogno del Vostro contributo, delle Vostre idee, perché sia Maria Cristina che Marcela possano riconquistare la perduta libertà.
Grazie per quanto vorrete fare,
Comitato Internazionalista Arco Iris
BOZZA DELLA CAMPAGNA PER LA LIBERTA' DI
MARIA CRISTINA SAN JUAN AVILA e MARCELA IRENE RODRIGUEZ VALDIVIESO
La campagna secondo noi potrebbe consistere in:
- Una campagna di fax al Presidente della Repubblica, al Ministro della Giustizia ed al Ministro degli Interni del Cile.
- Una campagna verso la stampa italiana ed i mezzi di comunicazione in generale, affinchè venga pubblicato l'appello generale della campagna e si possano raccogliere così maggiori adesioni.
- Una campagna di fax al Presidente della Repubblica Italiana, al Parlamento Italiano ed a quello Europeo, affinchè vengano fatte le debite pressioni sulle autorità cilene, per la liberazione delle due detenute politiche.
NB: Segnaliamo che quanto riportato, in termini di dati, rapporti, informazioni,
curriculum vitae ecc. . . è tratto dal materiale inviatoci dalla
ODEP
( Organizzazione di Difesa Popolare) di cui proponiamo una breve storia
alla nota 1 del seguente documento.
APPELLO ALLA SOLIDARIETA'
Al Parlamento Europeo,
Al Parlamento Italiano,
Ai Mezzi di Comunicazione,
I firmatari del presente appello fanno richiesta alle Autorità italiane ed europee di intercedere presso le Autorità cilene, affinchè María Cristina San Juan Avila e Marcela Irene Rodríguez Valdivieso ottengano la libertà per ragioni umanitarie, a causa del grave stato di salute in cui versano.
Il recente arresto del dittatore Augusto Pinochet Ugarte a Londra ha determinato nell'opinione pubblica internazionale una maggior sensibilità e attenzione rispetto alle denunce delle violazioni dei diritti umani che sono state e sono commesse tutt'ora in Cile. In Cile esistono ancora prigionieri politici, la maggior parte dei quali si trova nel Carcere di Massima Sicurezza di Santiago (Cárcel de Alta Seguridad), sottoposti a condizioni di carcerazione che violano i trattati internazionali in materia, in particolare quanto espresso dal Primo Congresso delle Nazioni Unite nel 1955 riguardo alle "Regole minime per il trattamento dei reclusi".
Le caratteristiche del carcere di massima sicurezza sono:
Esistenza di locutorio per le visite, cosa che impedisce il contatto
fisico tra il detenuto e il proprio familiare.
Esistenza di microfoni nascosti.
Inesistenza di laboratori e spazi per lo studio.
Queste ed altre condizioni di carcerazione costituiscono un attentato ai seguenti diritti:
Diritto alla difesa giuridica e limitazione di un elemento essenziale
di questa, qual’è quello della confidenzialità tra il recluso
e il suo avvocato difensore.
Diritto all'intimità
Diritto al lavoro
Diritto all'integrità fisica e psichica dei reclusi e dei loro
familiari
I reclusi vengono inoltre sottoposti ad abusi e torture di ogni genere, come peraltro denunciato dalla Associazione dei Familiari dei Prigionieri Politici, che, nella relazione datata Ottobre 1997, denuncia, su un totale di 75 detenuti, 59 casi di immobilizzazioni, 29 casi di applicazione di corrente elettrica nella tortura, 66 casi di percosse, 5 casi di somministrazione di droghe, 2 casi di abusi sessuali, 51 privazioni di beni di primaria necessità, 1 caso di ingestione obbligata di escrementi, 9 casi di asfissia provocata mediante immersioni, 1 caso di ustioni da bruciature, 8 casi di violenza acustica, 67 casi di torture psicologiche quali simulazione di fucilazione, roulette russa e obbligo di assistere a torture ecc. . .
Inoltre i prigionieri politici vengono sottoposti a doppio processo (civile e militare), con leggi speciali che li privano di ogni possibile beneficio di pena e che sono in aperta contraddizione con le norme del diritto penale internazionale. I tribunali militari, per di più, godono di ampie attribuzioni per giudicare i civili, il che permette loro di mantenere intatte le ampie prerogative del "potere militare". Come se non bastasse su cinque prigionieri politici incombe l'oscuro spettro della pena di morte, dal momento che in Cile tale istituzione è tutt'ora vigente.
Casi eclatanti della situazione vissuta dai prigionieri politici sono appunto quelli di María Cristina San Juan Avila e quello di Marcela Irene Rodríguez Valdivieso.
María Cristina San Juan Avila, famosa dirigente sociale dei senza tetto durante la dittatura, ha 43 anni; è madre di tre figli e compagna di Rafael Escorza, prigioniero politico recluso nel Carcere di Massima Sicurezza di Santiago. Tutta la famiglia venne arrestata il 30 Marzo del 1992, e sottoposta a torture fisiche e psicologiche per 9 giorni.
María Cristina fu accusata di essere l'autrice del sequestro di Cristián Edwards; il processo si caratterizzò per una serie di irregolarità e María Cristina non potè contare su una difesa appropriata per mancanza di mezzi economici. Secondo il Codice Penale e secondo quanto espresso dallo stesso presidente del Tribunale che emise la sentenza, i reati che le venivano imputati erano passibili di una condanna di 3 anni e un giorno, come risulta dal ricorso in appello, che venne negato. Non accettando la richiesta del giudice Alfredo Pfeiffer di avvalersi della "delazione compensata" (legge del pentimento efficace che prevede uno sconto della pena nel caso di delazione di altri soggetti presumibilmente implicati nel medesimo reato), fu condannata all'ergastolo. Il giudice informò della sentenza prima la stampa che l'interessata, cosa che costituì altra irregolarità.
Da 14 anni Maria Cristina San Juan soffre di due malattie progressive terminali: lupus eritematoso sistemico ed arterite di Takayasu.
Il lupus eritematoso sistemico è una malattia incurabile che colpisce il sistema immunologico e rende vulnerabile l'organismo ad altre malattie. Si possono curare solo i sintomi, tramite trattamento farmacologico.
L'arterite di Takayasu è una pericolosa malattia che attacca le arterie, deformandole. María Cristina soffre di un blocco della derivazione destra del suo corpo ed è a rischio in qualsiasi momento di trombosi. Nel 1983 non ha potuto affrontare un'operazione di by-pass a causa dei rischi a cui la sottopone l'arterite.
Nel carcere si viola reiteratamente il suo diritto alla salute e alla vita. Diverse organizzazioni sociali e dei Diritti Umani, cilene e di altri paesi, hanno espresso la loro preoccupazione per la sua salute.
Il 17 Luglio 1993, dopo che Amnesty International segnalò al governo cileno la sua preoccupazione per lo stato di salute di María Cristina San Juan, l'avvocato Hugo Pavez ha presentato ricorso di protezione davanti alla Corte d'Appello di San Miguel, che è stato rifiutato.
A causa della mancanza di assistenza medica e delle condizioni carcerarie, si sono sviluppate nuove malattie fisiche e psichiche: blocco completo della derivazione destra, aritmia cardiaca, fenomeno di Rayneaux, sindrome angustioso-depressiva in progresso, infezione alle vie urinarie, bronchite cronica, polmonite, gastrite cronica, congiuntivite allergica, insufficienza surrenale, osteoporosi, reazioni allergiche cutanee, ipertrofia cardiovascolare.
Queste malattie hanno deteriorato gravemente la sua salute. Il governo, il ministero di giustizia e la gendarmeria non hanno avuto la volontà né la sensibilità di darle una attenzione medica sistematica e rigorosa. Nell'aprile del 1996 le è stata diagnosticata una depressione acuta, con atteggiamento d'autoflagellamento; con acqua bollente e sigarette si è inferta bruciature nelle braccia e ha poi rifiutato ogni cura.
Nel luglio del 1996, la ODEP e il suo compagno Rafael Escorza hanno inviato lettere al Ministro della Giustizia, Soledad Alvear, manifestando la loro preoccupazione per lo stato psichico di María Cristina. La signora ministro ha risposto che la Gendarmeria stava dando a María Cristina una attenzione medica adeguata, cosa che è risultata non vera, come si è dimostrato successivamente. María Cristina non ha ricevuto cure psichiatriche opportune e permanenti e la sua salute psichica ha continuato ad aggravarsi fino a che, giovedì 28 Novembre 1996, ha cercato di suicidarsi ingerendo una alto quantitativo di farmaci. Grazie all'aiuto che le offrirono le sue compagne di prigione si è scongiurato il peggio, perché fu trasferita d'urgenza all'ospedale del Penitenziario dove le furono prestate le prime cure.
La ODEP ha organizzato, quindi, la visita di una psichiatra, attraverso la Commissione per i Diritti Umani del Collegio Medico; sfortunatamente, la Dottoressa Laura Moya non si è assunta il caso dal momento che ha considerato che il carcere non offrisse le minime condizioni per realizzare una terapia adeguata. Dall'altro lato, lo psichiatra Carlos de los Ríos ha realizzato una valutazione del suo stato psicologico e ha offerto alla Gendarmeria la sua opinione professionale, avvertendo della gravità del suo stato. La ODEP ha cercato di poter incontrare senza riuscirvi, Soledad Alvear, ministro della giustizia, e Claudio Martínez, direttore della gendarmeria. Successivamente è stato il deputato Andrés Aylwin ad ottenere un incontro con la Commissione per i Diritti Umani del Parlamento, a cui è stata consegnata una lettera inviata anche al direttore della gendarmeria, in cui si sollecitava l’intervento per la precaria situazione di salute di María Cristina San Juan. Andrés Aylwin ha così ottenuto che Carlos Zúñiga, medico del FASIC (organizzazione per i diritti umani cilena), la potesse visitare un giorno alla settimana.
Successivamente, questo medico ha cessato le sue funzioni nel FASIC e solamente nel Novembre del 1997 la dottoressa Eliana Horvitz ha assunto le cure psichiatriche di María Cristina.
Attualmente, María Cristina San Juan si trova nell'Ospedale del Penitenziario; ha perso più di sette chilogrammi e la sua salute continua a deteriorarsi: persiste la sua condotta autodistruttiva e la sua depressione. I suoi familiari diretti non hanno avuto accesso ai rapporti medici, sebbene lei abbia confermato di essere stata sottoposta a degli esami. E' importante sottolineare che María Cristina dovrebbe trovarsi in cura presso un centro ospedaliero fuori dal carcere, dove potrebbe ricevere un trattamento adeguato alla gravità del suo stato.
Storia, situazione e testimonianza di Maria Cristina San Juan Avila
Marcela Irene Rodríguez Valdivieso è affetta da paraplegia spastica a causa di una pallottola che la colpì alla colonna vertebrale durante la fuga del prigioniero politico Ariel Antonioletti dall'Ospedale Sótero del Río, il 14 Novembre 1990. Da questa data, in ripetute occasioni le è stata negata l'autorizzazione a recarsi a Cuba per sottoporsi ad un trattamento di kinesioterapia, indispensabile per la sua salute. E' stata sottoposta a sette operazioni per assicurarle le funzioni fisiologiche e al momento è in attesa di essere ricoverata per una nuova operazione.
La Corte Marziale, il 28 Dicembre 1998, l'ha condannata a 10 anni di prigione per il caso "Sotero del Rio". Il suo avvocato presenterà ricorso in cassazione. Inoltre, Marcela ha un processo aperto presso il 4° tribunale militare per associazione illecita, dove c'è una richiesta di condanna a 15 anni ed un giorno di prigione. La gravità di questo fatto è che Marcela corre il rischio di essere incarcerata nell'Ospedale del Penitenziario dove non esistono le condizioni adeguate alla sua situazione. Ricordiamo che Marcela è rimasta in stato di detenzione per 1 anno e 3 mesi proprio in tale area carceraria. Per tutto questo periodo è stata abbandonata alla morte, che solo la solidarietà internazionale ha saputo evitare. Oggi si trova in libertà provvisoria, però con ordine di dimora obbligatoria, cosa che le impedisce di accedere fuori dal paese al trattamento medico di cui avrebbe bisogno.
Storia, situazione e testimonianza di Marcela Irene Rodríguez Valdivieso
Per le sopracitate ragioni ribadiamo la nostra richiesta, che le autorità
italiane ed europee intercedano presso le autorità cilene per l'immediata
libertà di María Cristina San Juan Avila e Marcela Irene
Rodríguez Valdivieso.
Firmano
- - - - - - - - - - - - - - -
Gli indirizzi del governo ai quali si possono far pervenire proteste e documenti sono i seguenti:
Ministero della Giustizia
Ministro della Giustizia: SOLEDAD ALVEAR
FAX: 0056 - 02 - 6964558
Ministero degli Interni
Ministro degli Interni: RAUL TRONCOSO
FAX: 0056 - 02 - 6990394
Palazzo della Moneda:
Presidente della Repubblica: EDUARDO FREI RUIZ-TAGLE
FAX: 0056 - 02 - 6966952
NOTA 1 [ La Organizzazione di Difesa Popolare ]
L’Organizzazione di Difesa Popolare nasce nel 1992 in seguito alla necessità
di protezione e difesa dei diritti fondamentali delle persone e delle organizzazioni
sociali cilene. In quegli anni la fine della dittatura aveva generato un
nuovo scenario nazionale, un riordinamento dei soggetti politici, sociali
e religiosi impegnati nella difesa e nella protezione dei Diritti Umani.
Molti di questi soggetti avevano cessato la propria attività, motivati
dalla transizione da un governo dittatoriale ad uno “democratico”; al tempo
stesso, altri avevano cominciato a limitare il proprio appoggio alle vittime,
discriminando e condizionando il lavoro di difesa per i nuovi prigionieri
politici, e mantenendo un atteggiamento passivo di fronte alle violazioni
commesse dagli apparati di polizia. Questo atteggiamento era dettato dalla
considerazione che erano ormai casi isolati, molte volte si trattava in
realtà di non pregiudicare i propri interessi politici. Queste furono
le cause che hanno determinato la nascita dell'ODEP.
Sebbene la situazione dei Diritti Umani nei governi civili sia migliorata
rispetto al regime militare, persistono molti casi di torture fisiche e
psicologiche nelle caserme di polizia, non solo a carico di persone coinvolte
in reati politici, ma esercitate anche nel caso di semplici reati. Sono
inoltre evidenti le esecuzioni extragiudiziarie, nelle quali giovani di
sinistra vengono assassinati dalla polizia in falsi scontri, l’esistenza
di 80 prigionieri politici e di 13 prigioniere politiche (dopo il marzo
del 1990, quando cioè formalmente il Cile ha cessato di essere una
dittatura), che nella loro maggioranza non hanno difesa giuridica né
mezzi per accedervi.
La ODEP, come organizzazione per i Diritti Umani, assiste le
necessità di tutti i prigionieri/e politici, in aspetti spesso pratici,
come nel caso delle medicine necessarie per curare problemi di salute.
Inoltre la ODEP non si colloca unicamente come "istituto di difesa legale"
dei prigionieri politici, ma concepisce il proprio lavoro come promozione
e difesa dei diritti umani nonché denuncia delle violazioni di questi
stessi diritti.
Per Contattare Direttamente la ODEP:
Organización de Defensa Popular [ODEP]
Dirección: Catedral Nº1029, of. 508, Santiago, CHILE
Tel - Fax : 0056 - 2 - 695 20 13
E-mail: odep@reuna.cl
[ Sarebbe estremamente importante che i mezzi di comunicazione
si mettessero in contatto con la ODEP, intervistando i suoi attivisti,
raccogliendo puntualmente le denunce fatte da questa Organizzazione. Sarebbe
sicuramente un modo per difendere i prigionieri politici da ogni arbitrarietà
e per strapparli all'isolamento cui sono sottoposti. ]
NOTA 2 [ Marcela Irene Rodríguez Valdivieso ]
Data di Arresto: 14 Novembre del 1990
Il 14 Novembre del 1990 un commando del MAPU-Lautaro realizzò un'azione per liberare dall'Ospedale Sótero del Río un suo militante, Ariel Antonioletti, di 22 anni. Nello scontro a fuoco morirono 4 gendarmi e Marcela Rodríguez, identificata come complice, venne ferita da una pallottola alla spina dorsale, che le precluse l'uso delle estremità inferiori. Ariel Antonioletti venne assassinato poco dopo, da una pallottola alla fronte sparata dalla polizia investigativa, nella abitazione dove era nascosto.
Isolata nell'ospedale del penitenziario per più di un anno, Marcela fu privata delle cure mediche e delle condizioni minime di igene ambientali e personali, questo per una decisione politica che la preferiva morta. Profonde piaghe sul suo corpo e una situazione generalizzata di infezioni raggiunsero quasi tale proposito. Solamente la solidarietà e le pressioni sociali nazionali e internazionali la salvarono dalla morte e le consentirono di ottenere successivamente la libertà provvisoria, ma non l'uscita dal paese affinché ricevesse le cure integrali di cui avrebbe avuto bisogno in quel momento cruciale. Da allora è stata operata d'urgenza ripetute volte, senza ottenere un miglioramento per la sua salute. Al contrario, l'aumento costante di dolori e spasmi che la mantengono in un circolo vizioso di sopravvivenza, in pericolo di vita, è l'unica cosa che ha potuto ottenere dal sistema della salute pubblica cilena.
Di questo sono informati i medici degli ospedali dove lei è stata ricoverata e anche i tribunali della giustizia ed il Governo.
IL DOPPIO CASTIGO
Marcela è stata condannata dalla Corte Marziale, il 28 Dicembre 1998, a 10 anni di prigione per la liberazione di Ariel Antonioletti. Inoltre c'è un'altra richiesta di condanna a 15 anni ed un giorno di prigione presso il IV tribunale militare sulla base dell'Articolo 8º della Legge sul Controllo di armi e esplosivi, sulla base della Legge antiterrorismo. Entrambi i processi si sono protratti per oltre 8 anni. Approssimandosi la conclusione definitiva degli stessi, aumentano le probabilità che che la tornino ad incarcerare. A ragione di ciò e di altri vizi legali, è pendente su di lei un ordine di dimora obbligatoria che la costringe a rimanere in Cile, sulla sua sedia a rotelle e di ospedale in ospedale...
UN CANTO ALLA VITA
Questi anni sono stati la più grande e dura sfida alle sue convinzioni e al suo impegno, prova del suo amore profondo per la vita. Marcela resiste, lotta per mantenersi con ogni integrità e con una ferma volontà, combattendo la sua battaglia per la vita, e per la possibilità di continuare a sognare una vita migliore per il suo popolo.
Solamente un trattamento integrale può rompere questo circolo vizioso e salvarle la vita. Le cure parziali finora solamente hanno nascosto una lenta agonia. Oggi Marcela ha bisogno di un’attenzione medica urgente, di qualità, efficente e responsabile. Il sistema sanitario in Cile, classista e mercantilizzato, le impedisce di accedere ad un trattamento adeguato. Non c'è portafoglio capace di affrontare costi di tale entità. Per questa ragione rimane solamente la possibilità di ricercare questo trattamento in un altro paese.
La ODEP invita le organizzazioni internazionali di solidarietà a ottenere un invito di una istituzione che si impegni ad accoglierla per offrirle i trattamenti medici e la riabilitazione di cui ha bisogno. Con questo invito si potrebbe presentare al Tribunale Militare una richiesta di autorizzazione provvisoria ad uscire dal paese. Tutto questo senza pregiudizio di continuare a lottare per ottenere la sua libertà definitiva.
TESTIMONIANZA DI MARCELA RODRIGUEZ
Mi chiamo MARCELA IRENE RODRIGUEZ VALDIVIESO; sono nata il 3 Marzo del 1953. Sono la seconda di 3 sorelle, figlia di Ricardo, pensionato, e di Pilar, casalinga.
Abbiamo vissuto nel quartiere di Villa Sur tra il 1957 e il 1994; quando arrivammo nel quartiere, questo non era stato ancora finito; non avevamo elettricità e dovevamo cercare l'acqua con bidoni nel quartiere di Las Lilas, a circa cinque isolati da casa mia.
Ho studiato le elementari nella Scuola Matte del comune di Dávila, che era a dieci isolati da casa mia. Ho frequentato il 7º e l'8º corso presso l'Istituto Commerciale di Villa Sur e la scuola media superiore presso la Scuola Tecnica Femminile Nº 3 che era al numero 10 della "Gran Avenida".
Nel 1967, sono entrata insieme a mia sorella nella Gioventù Comunista, incentivate da un gruppo di amici del quartiere; realizzavamo attività sociali e più tardi lavorammo per la campagna di Salvador Allende.
Nell'aprile del 1968 insieme alle mie sorelle sono entrata in un gruppo folclorico del Centro Comunitario di Villa Sur, dove ho imparato a suonare la chitarra; facevamo presentazioni del folclore della zona centrale in diversi quartieri e paesini. Da questo gruppo sorse il Centro Cultural Villa Sur, dove funzionavano altri gruppi di teatro, laboratori per murales e di arte plastica. Nel 1971 si formò il Raggruppamento dei Centri Giovanili, che arrivò ad avere dodici organizzazioni giovanili. L’11 di Settembre del 1973 mise la parola fine a questo sviluppo.
Nel 1974 entrai a studiare Tecnologia dei Tessuti all’Università Tecnica dello Stato. Facevo parte dell’ultimo gruppo del preuniversitario, organizzato da un gruppo di studenti della università per i giovani del quartiere. Fu per me una esperienza contraddittoria studiare in una Università piena di giovani pieni di vita, però imbavagliati dal terrore e dalla paura. A causa di gravi problemi familiari non terminai gli studi e, successivamente, il corso di laurea fu chiuso dalla dittatura.
Nel 1976 mi sposai con Carlos Silva, studente di architettura dell’Università del Cile e siamo andati a vivere con mia suocera nel quartiere di Quinta Normal. Ho avuto due figli che sono morti poco dopo essere nati.
Nel 1979 ho cominciato a lavorare come segretaria di un ufficio formato da 12 studenti di architettura, che combinavano il lavoro con lo studio. Nell’ufficio di architettura tutti si laurearono ; io dattilografavo memorie e progetti. L’ufficio chiuse nel 1984, a causa della disoccupazione generalizzata. Quasi tutti i laureati, compreso mio marito, dovettero lavorare nel POJH (Programma per capifamiglia, «Programa para jefes de hogar») in diversi quartieri di Santiago. Ce ne andammo, quindi, in Ecuador, però il clima di questo paese danneggiò la mia salute e dovemmo ritornare in Cile nell’agosto del 1985. Da allora quindi ho continuato a lavorare con mio marito come aiutante di architettura, disegnatrice tecnica e segretaria al tempo stesso.
Il 14 Novembre del 1990 fui arrestata in seguito alla liberazione di un giovane prigioniero politico, Ariel Antonioletti, per il quale mi era stato richiesto un aiuto. Ricevetti un colpo di pistola alle spalle e recuperai conoscenza all’Ospedale dove rimasi in stato di isolamento e sotto custodia di una gran quantità di forze di polizia. Quindi mi trasferirono al Penitenziario, dove mi rinchiusero in una stanza oscura di 2 x 3 metri, oscurando la finestra con una placca metallica. Mi mantennero in stato di isolamento fino al 27 Novembre, data in cui potei parlare con il mio avvocato e vedere la mia famiglia. Passai due mesi nell’infermeria del Penitenziario e la mia situazione fisica andò peggiorando, a causa della mancanza di un’adeguata attenzione medica. Finalmente e grazie alla solidarietà di molte persone, mi trasferirono all’Ospedale, affetta da una setticemia generalizzata.
[ Diverse organizzazioni e personalità si stanno mobilitando
per ottenere un invito da parte di una istituzione privata o pubblica all’estero
che permetta a Marcela Rodríguez, affetta da una paraplegia spastica
complicata da un insieme di concause, di sottoporsi a un trattamento medico
e di riabilitazione fisica e psicologica per migliorare la qualità
della sua vita. Questo invito permetterebbe al suo avvocato di presentare
davanti ai tribunali militari che la giudicano, un permesso provvisorio
per uscire dal paese a farsi tale trattamento. Nell’eventualità
di ottenere tale invito, la ODEP sarebbe grata se fosse possibile informarla
riguardo alla possibilità di appoggiare la richiesta dell’avvocato
di uscita temporanea dal paese per Marcela Rodríguez, scrivendo
al Presidente della Repubblica, al Presidente della Corte Suprema e al
ministro della Giustizia. ]
NOTA 3 [ María Cristina San Juan Avila ]
Scheda personale:
PROFESSIONE: lavoratrice ausiliare in un asilo infantile.
ETA': 46 anni (29 luglio 1952).
DATA DI ARRESTO: 31 marzo 1992.
SITUAZIONE PROCESSUALE: condannata all'ergastolo per:
- associazione illecita
terrorista.
- sequestro terrorista.
Questa condanna è stata emessa in tempo record da Alfredo Pfeiffer, giudice della Corte di Appello, senza che María Cristina potesse disporre di una difesa; è stata definita una "condanna esemplare".
AVVOCATO: nessuno.
FIGLI
1- Victor Daniel Sanchez San Juan, nato il 20 ottobre del 1969.
"Lui si è fatto carico tanto di me quanto di suo padre, recluso
nel Carcere di Massima Sicurezza con la stessa condanna. Mio figlio Victor,
quando fu arrestato, fu selvaggiamente torturato fisicamente e psicologicamente.
E' stato sequestrato in piena via pubblica e minacciato di morte con un'arma
da fuoco puntata alla testa, attaccato con cani e rinchiuso in un luogo
sconosciuto, con gli occhi bendati, senza acqua, cibo e possibilità
di soddisfare esigenze fisiologiche. E' stato minacciato in mia presenza
dal magistrato che ha promosso la causa.
Mio figlio ha dovuto rinunciare alla sua vita privata per lavorare
per la causa dei prigionieri politici; è stato arrestato e brutalmente
picchiato dalle forze repressive, sia in manifestazioni di piazza che in
mobilitazioni realizzate all'interno delle carceri in favore dei diritti
umani e contro il Carcere di Massima Sicurezza.
Appartiene alla ODEP (Organizzazione di Difesa Popolare), che lavora
in difesa dei diritti fondamentali delle persone. Fino all'anno scorso
Victor studiava Diritto processuale all'Università ARCIS, corso
di laurea che ha dovuto interrompere al secondo anno per ragioni semplicemente
economiche, visto che non riceve nessun tipo di aiuto che gli permetta
di coprire le spese per le esigenze di base sue e di suo fratello minore,
che vive con lui".
2- Aline Cristina Sanchez San Juan, nata il 17 settembre del 1975.
"Attualmente è sposata e ha due figli. E' in cura da uno psichiatra
del PRAIS (Programma di Assistenza Integrale di Salute) a causa delle conseguenze
delle torture, con diagnosi di fobia delle persone. La sua situazione economica
è instabile e anche i suoi figli soffrono di problemi psicologici
che si manifestano a livello emozionale, di comportamento e di rendimento
scolastico".
3- Jorge Antonio Sanchez San Juan, nato il 17 settembre del 1975.
"Vive con suo fratello maggiore Victor, e pure lui ha gravi conseguenze
della tortura e viene curato dal PRAIS. Fu arrestato con me, quando
aveva 16 anni; allora rimase in isolamento per sette giorni. Il suo nome
e la sua fotografia apparvero sui giornali, fu torturato, minacciato di
morte e violentato da una donna, in aperta violazione dei diritti del minore.
Ciò nonostante ricevette tutto l'appoggio necessario dalla sua scuola
(stava facendo il terzo anno), visto che era un alunno dal buon rendimento
scolastico ed era considerato un buono studente. Fino all'anno scorso frequentava
la facoltà di ingegneria all'Università ARCIS, che ha dovuto
abbandonare a causa della carenza di risorse economiche. Soltanto una volta
ha ricevuto un contributo dalla Svezia. Attualmente lavora come volontario
nella Croce Rossa Giovanile e sporadicamente fa qualche altro lavoro per
pagarsi i costi del trasporto, ma questo non gli consente di coprire né
le spese degli studi, né quelle per le sue esigenze di base".
OSSERVAZIONI:
María Cristina ha bisogno di assistenza medica integrale, dato che soffre di lupus sistemico diffuso e della malattia di Takayasu.
Da un anno, Maria Cristina si trova presso l’Ospedale del Carcere, dove è stata portata a seguito di un tentativo di suicidio. Grazie all’intervento di Andres Alwyn, la istituzione del FASIC, le stà fornendo attenzione psichiatrica.
Il 3 di Novembre 1997 Maria Cristina sarebbe dovuta essere trasferita all’Ospedale di Neurochirurgia, per la realizzazione di un encefalogramma, la gendarmeria ha però impedito che Maria fosse trasportata fino ad una zona extracarceraria, adducendo “misure di sicurezza”.
La cura giornaliera include le seguenti medicine: Fenitoina (2 compresse al giorno), Prendizona o Prednisolone (20 mgrs. al giorno), Imuran o aziatropina (una compressa al giorno), Fluoxetina (2 compresse al giorno), Imovane-ipnotico (1 compressa per la notte), Ranitidina (1 compressa al giorno), Bromazepan (1 compressa al giorno), Calcio (1 compressa al giorno).
"Mi curano nell'ospedale della Gendarmeria, abilitato solo per gli uomini, insalubre, con assistenza non specialistica, esami e consegna di medicine precarie".
"Sarebbe anche importante ottenere mezzi per l'acquisto di materiali da lavoro, che mi permettano di generare risorse economiche sia per coprire i costi delle mie esigenze basilari e delle medicine, sia per aiutare economicamente i miei figli. Il mio compagno, Rafael Escorza Henriquez, è rinchiuso nel Carcere di Massima Sicurezza, pure lui condannato all'ergastolo; posso vederlo una volta al mese. Coloro che volessero scriverci lo possono fare scrivendo direttamente alla ODEP".
Rafael Escorza Henríquez racconta che fu arrestato insieme alla
sua compagna, María Cristina San Juan Avila ed al suo figlio minore,
da circa 200 funzionari della polizia investigativa in un ampia operazione
durante il quale nella sua casa entrarono non meno di 60 poliziotti.
Nel luogo della detenzione soffrì torture fisiche, come "il
telefono", colpi violenti ai piedi, alle mani ed in altre parti. Per i
primi 5 giorni di detenzione, non gli si permise di dormire, di alimentarsi,
e fu torturato psicologicamente, dicendogli costantemente che avrebbero
violentato la sua compagna e che avrebbero ucciso tanto lei come i suoi
figli.
[ Con riferimento al caso di María Cristina San Juan Avila, si
segnala che in data recente, il suo avvocato ha presentato alla Corte d'Appello
una richiesta di riduzione della condanna per ragioni umanitarie, per tanto
è importante un appoggio esplicito mediante lettere inviate al Presidente
della Repubblica, alla Corte Suprema della Giustizia, e al Ministro della
Giustizia. E tuttavia, questa è solamente una delle prime iniziative
volte a far ottenere la libertà a María Critina. ]
A cura del
IMPORTANTE:
Rinnoviamo l’invito a farci pervenire quanto prima vostre considerazioni in merito alla Campagna, in merito alle possibili azioni e attività per sostenere la Campagna stessa, eventuali personalità che si potrebbero coinvolgere, idee alternative sul modo di strutturare la Campagna, possibili correzioni e variazioni al documento sopra presentato ecc.
Grazie
MODELLO DI LETTERA/FAX DA POTER INVIARE
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DEL CILE
FAX: 0056 - 02 - 6966952
Señor
Presidente de la República Eduardo Frei Ruiz-Tagle
Presente
De nuestra consideración:
Reciba el saludo de nuestra organización, la presente tiene por objeto manifestar nuestra preocupación por la situación que viven en general los prisioneros y prisioneras políticas en Chile. Por los procesos arbitrarios de los que han sido objeto, con dobles procesamientos tanto por la justicia civil y militar, las altas condenas, etc.
Nos preocupa en especial dos situaciones concretas que son de María Cristina San Juan y Marcela Rodriguez. En el caso de María Cristina San Juan condenada a cadena perpetúa por el caso Edwards, que está recluída hace 6 años, dos de los cuales los ha pasado en el hospital de la Penitenciaría afectada de una depresión (que la llevó a atentar contra su vida) producto de las condiciones carcelarias inhumanas y dos enfermedades progresivas y terminales,como son el Lupus sistémico y la enfernmedad de Takayasu, por lo cual el abogado Hugo Gutíerrez solicitó a los tribunales de justicia la rebaja de condena, única alternativa legal en su país para acceder a la libertad, por lo que le solicitamos interceder por razones humanitarias a lograr dicho objetivo.
En el caso de Marcela Rodríguez aquejada de una paraplejia espástica complicada por un conjunto de secuelas y que fue condenada hace una semana atrás por la Corte Marcial a 10 años de prisión, le solicitamos que en su momento la indulten ya que en su caso procede judicialmente, y además por razones humanitarias le otorguen un permiso para salir del país para acceder a un proceso de rehabilitación física y psicológica, ya que en su país ha sido hospitalizada 14 veces sin tener una mejoría que la ayude a mejorar su calidad de vida.
Apelamos a su Gobierno, más aún cuando la vida de estas dos mujeres se encuentran en peligro. Esperando una pronta y positiva respuesta, se despiden de Ud,