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Comunicato del Club Alpino Italiano di Bergamo
a tutti gli amanti della montagna
In difesa del diritto di praticare attività sportive in montagna anche d'inverno

Bergamo, 18 febbraio 2004 - A fronte degli ingiustificati attacchi cui sono stati fatti oggetto gli alpinisti sciatori e più in generale tutti gli coloro che frequentano la montagna in inverno, ci sentiamo in dovere di prendere una esplicita posizione per ribadire alcuni fondamentali principi.
La giusta volontà del legislatore di porre regole alla frequentazione di contesti pubblici, come le piste da sci, ove per l'elevato traffico si sono verificati molti e gravi incidenti, è certamente un gesto positivo e dovuto, ma sta anche penalizzando chi da sempre promuove un approccio sicuro e consapevole alla montagna e agli sport invernali. Infatti, le recenti leggi (art.15 della legge n.363/2003 ed art.57 del regolamento regionale 26/2002) vietano la risalita a bordo pista in qualsiasi momento della giornata quindi anche a piste chiuse come di notte o all'alba.
Il divieto è stato motivato ai fini della sicurezza ma le statistiche mostrano chiaramente che solo l'8% degli incidenti in pista sono dovuti a scontro, e non si conoscono esplicitamente gli incidenti da imputare a persone che risalgono le piste da sci. Peraltro i divieti prescindono dall'apertura delle piste precludendo l'accesso alle montagne in qualsiasi momento.
Da sempre il Club Alpino Italiano si batte per la sicurezza in montagna, attraverso l'opera volontaria e qualificata dei suoi Istruttori ed Esperti operanti nelle sue Scuole, che puntano a instillare in giovani e appassionati la coscienza etica e le conoscenze pratiche necessarie per affrontare senza rischi la montagna.


Tra queste attività c'è certamente lo sci-alpinismo, disciplina sportiva tra le più belle e complete, che si svolge nel pieno rispetto della natura, in un ambiente trasformato e riportato al primitivo stato selvaggio dalla magica neve.
Gli spazi concessi alla pratica di questo sport però sono stati via via fagocitati dalle piste da sci, e oggi il raggiungimento di molte mete classiche impone l'attraversamento obbligatorio di queste aree, peraltro pubbliche, occupate da comprensori e tracciati sciistici.
Nei confronti degli amanti di queste discipline invernali, ma anche di tutti coloro che ancora vedono nella montagna un luogo aperto, che lascia spazio alla libertà di ognuno, l'interpretazione restrittiva della legge, vietando in assoluto di percorrere larghe parti di montagna, rappresenta una vera limitazione della libertà.
Va sottolineato che tale divieto non è giustificato certo da motivi di sicurezza, dato che la casistica di incidenti causati in pista dagli sci-alpinisti trova minimi esempi pratici, e pressoché inesistente per la pratica notturna, e in questo senso stride la decisione di impegnare uomini e risorse delle Forze dell'Ordine per "conoscere il fenomeno", tra l'altro solo a seguito del varo delle nuove leggi.


Agli alfieri di questa presunta esigenza di sicurezza, vorremmo far notare che le piste da sci vengono fatte fruire in condizioni ben più pericolose normalmente (a chi non è mai capitato di praticare, pagando il giornaliero intero, piste solo parzialmente innevate o con ghiaccio vivo? Come mai a nessuno è mai venuto in mente di parlare di sicurezza ponendo un limite alla vendita dei giornalieri per prevenire l'eccessivo affollamento delle piste, causa vera degli incidenti?).


Né i gestori hanno diritto di ritenersi danneggiati da chi percorra senza pagar dazio un terreno pubblico, anche se gravato da affitti: da sempre i nostri alpigiani gestiscono i pascoli (da cui traggono sostentamento) senza vietare il transito agli escursionisti. A nessuno è mai venuto in mente di chiudere i sentieri e chiamare i tutori dell'ordine per sorvegliare la proprietà e non far calpestare l'erba!
In realtà il buon senso insegna che i praticanti della montagna e chi dalla montagna trae sostentamento e guadagno possono convivere senza conflitti e la legge può essere migliorata: basterebbe un emendamento che rispettivamente all'art.15 ed all'art.57, la legge 363/2003 ed il regolamento regionale 26/2002 recitassero: "…è possibile risalire le piste a piedi solo mantenendosi ordinatamente ai bordi ed ove possibile nelle immediate prossimità o nei percorsi segnalati…", sarebbe una risposta più che soddisfacente al vuoto legislativo del recente passato e non lederebbe libertà alcuna.


E' chiaro che le leggi in questione con i suddetti articoli rispondono ad alcuni problemi di sicurezza ma contemporaneamente creano altri rischi costringendo gli appassionati di sci-alpinismo, ma anche di sci fondo, di escursionismo con racchette da neve o, più semplicemente, a piedi, ad avventurarsi fuori dai sicuri classici itinerari.
Tuttavia, se proprio si ritenesse necessario vietare l'accesso alle piste e quindi anche agli svariati sentieri alpini ed itinerari sci-alpinistici preesistenti, sarebbe quantomeno doveroso vincolare i divieti alla realizzazione di percorsi alternativi di salita protetti e sicuri a bordo pista.
Non si deve dimenticare che la montagna è un bene collettivo e la stessa legge 363/2003 la definisce all'art.2 comma 3 area di "pubblica utilità".
Credendo nelle istituzioni il CAI Bergamo e tutte le sottosezioni bergamasche fanno un appello a cittadini, mass media, gestori e Forze dell'Ordine, a sostenere la legittimità di una frequentazione libera, sicura e consapevole della montagna: chi ama la montagna sa che è di tutti.

 

Campagna di sensibilizzazione per la modifica della legge: www.cainembro.it