Articolo Nr. 1: Le abilità mentali dell'atleta

La concentrazione di Carlton Myers nell'esecuzione dei tiri liberi nella pallacanestro, la capacità di Vieri nel saper mantenere la calma al tiro di un calcio di rigore, la forte motivazione che ha sostenuto Manuela di Centa nella 50 Km. dello sci di fondo, l'abilità di Deborah Compagnoni di eliminare i fattori di distrazione e di prestare attenzione solo al percorso nello slalom gigante dello sci alpino: queste sono solamente alcune delle caratteristiche psico-fisiche che contribuiscono al successo di un atleta o di un'intera squadra e che portano al risultato.
Quali pensieri attraversano la mente di Marco Pantani mentre compie lo scatto decisivo all'inizio della salita ? In questo caso il dialogo interno è un fattore determinante per il conseguimento del risultato: le gambe "girano", come si dice in gergo ciclistico, ma i pensieri dell'atleta sono pensieri positivi, pieni di fiducia nei propri mezzi fisici e mentali.
E quanto conta la coesione di gruppo nel mettere a punto "il muro" in una partita di pallavolo della nostra nazionale azzurra ?
Il fattore-squadra, cercato e ricercato in allenamento, non è soltanto uno schema tattico applicabile automaticamente, ma è soprattutto un fattore umano che trova la sua forza nelle adeguate relazioni interpersonali fra gli atleti del gruppo.
Per vincere ci vogliono gambe, cuore e testa: la condizione fisica e le capacità tattiche e motorie dell'atleta sono il fondamento su cui costruire una buona performance, ma se aggiungiamo ad esse il controllo emotivo sulle situazioni ed abilità mentali sviluppate ed allenate, si pongono le condizioni necessarie per ottenere un buon risultato.
Ma non bisogna mai perdere di vista il concetto di uomo - atleta ; l'agonista non è un robot, non è un gigantesco meccanismo sostenuto dagli sponsor e da complesse manovre di tipo economico.
E' un uomo, un uomo che ha scelto di sfidare sé e gli altri, con i suoi punti deboli e le sue illimitate potenzialità ; lo psicologo dello sport deve tenere bene in mente che dedicherà il suo sostegno ed il suo contributo in primis all'uomo, e in secondo luogo all'atleta che c'è in lui, il quale rappresenta solo una parte della sua complessità.

La psicologia dello sport è una disciplina giovane che ha la possibilità di apportare validi contributi sia nello sport di alto livello che nelle fasi di apprendimento di un'attività, studiando in un primo momento una serie di atteggiamenti e comportamenti propri dell'ambito sportivo ed il loro conseguente impatto sulla qualità della prestazione, e successivamente applicando delle strategie di intervento volte al miglioramento del gesto atletico.
Questa disciplina si pone come punto di incontro tra ricerca scientifica ed applicazione nel settore ed il suo bacino di utenza è costituito principalmente da allenatori, dirigenti, atleti, arbitri, medici dello sport, tecnici, psicologi e da tutti coloro che operano ad ogni livello nel campo dello sport.
Possiamo definire la psicologia dello sport come una psicologia dell'azione che si pone come obiettivo la comprensione a 360° dell'uomo e del suo essere atleta.

Il Mental Training

Per tecniche di allenamento mentale (Mental Training) mi riferisco a metodi multimodali improntati all'apprendimento e al perfezionamento di alcune abilità che interessano da vicino l'attività agonistica. Ecco un elenco delle principali strategie o abilità mentali più importanti:

Focalizzazione dell'attenzione e concentrazione (Focusing)
La concentrazione è la capacità di focalizzare l'attenzione su un compito per un determinato periodo di tempo, senza essere distolti da fattori distraenti interni (ad es. pensieri negativi) ed esterni (ad es. il rumore della folla).

Incremento della motivazione e dell'autostima
L'acquisizione di fiducia in sè è la vera chiave della motivazione: se l'atleta ha fiducia in sè e in quello che è in grado di fare non solo è motivato, ma accresce le sue probabilità di avere successo.
Fino a quando l'atleta cercherà solo nell'ambiente esterno di soddisfare i suoi bisogni di sicurezza, stima ed approvazione, la vittoria gli sfuggirà, poichè il suo senso di identità personale sarà dipendente da fattori esterni di cui avrà bisogno.
Il passaggio avviene quando l'atleta inizia a scoprire queste qualità DENTRO di sè.
Invece di cercare approvazione trova il suo senso di intimo VALORE.
Diventa abbastanza sicuro di sè da essere in grado di comprendere di essere un giocatore valido anche se commette degli errori.

Formulazione degli obiettivi (Goal setting)
Molte volte gli atleti stessi non definiscono accuratamente un'adeguata scala degli obiettivi da perseguire durante l'anno, e questa scarsa capacità di pianificare degli specifici standard di abilità da raggiungere in un compito può compromettere l'esito della stagione agonistica.
Gli obiettivi devono essere suddivisi in sub-obiettivi a breve, medio e lungo termine, devono essere difficili ma raggiungibili, mirati al miglioramento graduale della prestazione più che al risultato (che sappiamo essere molto spesso imprevedibile).

Abilità immaginativa (Imagery)
Gli atleti vengono progressivamente allenati alla rappresentazione mentale di immagini visive, inserendovi stimoli immaginativi polisensoriali e favorendo in questo modo un maggiore coinvolgimento emozionale e cognitivo da parte del soggetto.
La capacità di visualizzare comprende alcune attività applicabili allo sport, fra cui l'osservazione di altri atleti in azione (dal vivo o videoregistrati) seguita dalla ripetizione immaginata delle sequenze motorie (allenamento ideomotorio); il passo successivo consisterà nell'esecuzione pratica dell'atleta del movimento prima osservato e poi visualizzato.
La tecnica dell'Imagery, preceduta sempre da una breve seduta di rilassamento, viene anche utilizzata prima della gara come momento di concentrazione e di visualizzazione del percorso.

Gestione dell'attivazione fisiologica (Gestione dell'Arousal)
Con il termine arousal è indicata in psicofisiologia l'intensità dell'attivazione fisiologica e comportamentale dell'organismo: quando l'organismo deve effettuare una prestazione deve attivarsi, cioè mettere in moto una serie di processi caratteristici dello stato di arousal quali l'aumento della vigilanza e dell'attenzione, l'attività dei muscoli che si preparano allo sforzo ed il cuore e i polmoni che si preparano al dispendio di energia.
E' di fondamentale importanza per un atleta raggiungere e mantenere il suo livello ottimale di attivazione psicofisiologica in ogni circostanza, allenandosi con delle semplici tecniche di attivazione o disattivazione secondo le esigenze.

Rilassamento
Le tecniche di rilassamento, come il Training Autogeno o il Rilassamento Progressivo di Jacobson, vengono utilizzate per prendere consapevolezza della tensione muscolare a riposo e in attività (Inventario corporeo), per gestire situazioni ansiogene o stressanti e sono preparatorie a qualsiasi attività immaginativa.

Gestione dell'ansia pre-agonistica
La prevenzione ed il trattamento dell'ansia costituiscono uno dei principali problemi e dei maggiori obiettivi della medicina e della psicologia dello sport.
L'ansia preagonistica è legata all'imminenza di una competizione particolarmente impegnativa e temuta, ma a volte lo stato ansioso può estendersi anche ad altre situazioni, sportive ed extra-sportive., diventando talvolta obiettivamente immotivata.
Esistono delle tecniche di gestione dell'ansia pre-agonistica quali il rilassamento e la desensibilizzazione sistematica.

Gestione delle situazioni stressanti
Lo stato di stress si verifica quando gli atleti intuiscono che c'è uno squilibrio tra quello che è chiesto loro di fare (sfida) e quello che invece essi sentono di essere capaci di fare (livello di abilità). Anche l'allenatore può essere sottoposto a stress ed essere iper o ipo - attivato come i suoi atleti; si renderà quindi necessario adottare delle strategie per abbassare o incrementare anche il livello di attivazione dell'allenatore per permettergli una direzione accurata ed equilibrata durante la gara.Fra le tecniche di gestione dello stress annoveriamo lo Stress Inoculation Training, la desensibilizzazione sistematica e la ristrutturazione cognitiva.

Comunicazione
L'atleta del giorno d'oggi pretende giustamente rispetto e considerazione da parte della Federazione e dell'allenatore; egli non vuole essere escluso dalla gestione dell'attività sportiva che lo riguarda.
Questa necessità di dialogare e pianificare insieme pone non pochi problemi di comunicazione fra
l'atleta e l'allenatore; quest'ultimo da parte sua spesso tende a non considerare le esigenze dettate dall'evoluzione emotiva e cognitiva del giovane agonista, ma a focalizzare la sua attenzione solo sugli aspetti di sviluppo motorio e di rendimento.
Si rivelano di grande utilità incontri di gruppo fra atleti ed allenatore, fra allenatore e dirigenti, fra atleti di una stessa squadra con qualche problema di dialogo fra giocatori.

Uno degli interventi più richiesti dalle Federazioni Sportive e che lo psicologo dello sport può attuare in seno ad una squadra è un Corso di Mental Training (pacchetto multimodale sulle attività di base su menzionate), con sedute settimanali della durata di un'ora o due per dieci - quindici settimane.
Lo scopo dell'intervento è quello di fornire un'occasione di apprendimento di tecniche per migliorare la performance atletica e successivamente di rendere completamente autonomo il soggetto che ha usufruito degli insegnamenti del Corso: infatti l'atleta, fornito di supporti audio-visivi, è in grado di allenarsi quotidianamente per conto proprio, senza dover instaurare un rapporto di dipendenza con lo psicologo dello sport.
Per quanto riguarda gli allenatori (ma non solo loro), di estrema attualità ed utilità risultano essere i Corsi di formazione sulla Psicologia dello Sport e sulla Psicologia dell'infortunio e della riabilitazione : questi corsi permettono agli addetti ai lavori di apprendere delle conoscenze sul modo di pensare e di sentire degli atleti (soprattutto per quanto riguarda gli atleti infortunati) che spesso non vengono rese disponibili nell'ambiente sportivo.

Bibliografia

Antonelli Ferruccio (1994) "La preparazione mentale nello sport",
Movimento 10, Numero 1, Edizioni Pozzi.
Bortoli L., Gramaccioni GF., Robazza C. (1994) "La preparazione mentale nello sport",
Edizioni Pozzi, Roma.
Castellani A. (1983) "La preparazione psicologica del tennista"
Editori Del Grifo, Montepulciano.
Gerin M., (1998) "Valutazione psicologica e psico-fisiologica di un campione di 100 ciclisti dilettanti", Movimento 14, Numero 1, Edizioni Pozzi.
Gerin M., (1998) "Psicosomatica e sport : un'ipotesi sull' ansia somatizzata"
Psicologia e Scienze umane (in corso di stampa).
Garfield C.A. (1986) " Rendere al massimo "
Sperling and Kupfer Editori.
Syer J., Connoly C. (1987) " Guida per atleti all'allenamento mentale "
Zanichelli Editore.

Dott.ssa Marina Gerin
Psicologa ad indirizzo clinico e di comunità
Articolo Nr. 2: ANSIA E SPORT


Ormai non c'è più dubbio sul fatto che le emozioni fanno parte integrante dello sport allo stesso modo delle qualità fisiche e tecniche. Sicuramente quella di cui si è più parlato è l'ansia, considerata spesso come un disturbo, un limite, o anche un nemico che si accetta perché non si sa combattere.
L'ansia è necessario metterla in relazione con lo stress, poiché sono numerose le situazioni in cui gli atleti possono essere sottoposti a stimoli stressanti che provocano in loro degli stati d'ansia.
Un processo stressante deriva dalla percezione di uno squilibrio tra le richieste ambientali e capacità di risposta del soggetto, e l'inadeguatezza ad affrontare tali richieste è percepita come potenzialmente pericolosa (Robazza, Bortoli e Gramaccioni 1994).
Per molto tempo gli psicologi hanno considerato questi stanti ansiosi come un aspetto che influenza negativamente la prestazione, e quindi agivano nel tentativo di ridurli.
Negli ultimi anni, invece, si è diffusa l'opinione che un moderato livello di ansia possa comportare un giusto grado di attivazione fisiologica, che può, a sua volta, tradursi in uno stimolo energizzante utile per il miglioramento della prestazione.
Spesso, nel considerare le situazioni stressanti cui gli atleti sono sottoposti, si sono confusi, o usati impropriamente, i termini di attivazione ed ansia.
Il primo indica esclusivamente l'attivazione dell'organismo, rappresentando una situazione neutra che riflette solamente l'intensità dei cambiamenti del sistema nervoso autonomo.
L'ansia, invece, esprime l'interpretazione cognitiva del soggetto che si accompagna ad un elevato grado di attivazione, in presenza anche di uno stato d'animo negativo (cfr. Bortoli, Robazza e Gramaccioni 1994).
Come si può intuire non si può quindi considerare uno di questi due aspetti senza prendere in esame anche l'altro, e tale legame si può meglio comprendere distinguendo l'ansia in cognitiva e somatica.
L'ansia cognitiva rappresenta la componente mentale dell'ansia, che può originare da varie valutazioni negative quali la paura del fallimento, la scarsa fiducia nei propri mezzi, ecc.
L'ansia somatica, invece, è la componente legata all'attivazione dell'organismo, ed in particolare rappresenta la percezione della risposta fisiologica ad uno stimolo stressante.
In letteratura c'è anche un'altra importante distinzione tra ansia di stato e ansia di tratto. La prima esprime uno stato emozionale transitorio, caratterizzato da vissuti soggettivi negativi di apprensione e tensione, accompagnati da attivazione dell'organismo.
La seconda è una caratteristica relativamente stabile, una sorta di predisposizione a reagire a molti stimoli ambientali con un'elevata ansia di stato.
Quest'ultima distinzione è stata utile per constatare che generalmente atleti che presentano alti livelli di ansia di tratto evidenziano, nella competizione, maggiore ansia di stato rispetto a quelli con bassa ansia di tratto.
Fra i primi autori che cercarono di studiare l'ansia ipotizzandone anche un effetto facilitante, e non solo inibente, ai fini della prestazione furono Grahm Jones e Austin Swain (1994).
Il test utilizzato per i loro rilevamenti fu lo CSAI-2 (Competitive State anxiety Inventory) che misura l'intensità dei sintomi indicatori della presenza di uno stato ansiogeno, quali la tensione (ansia somatica) e preoccupazione (ansia cognitiva). Inoltre misura anche il livello di fiducia in relazione alla competizione (self-confidence).
I risultati dei loro studi li portarono ad affermare che non esistono differenze sostanziali tra atleti di vertice e atleti mediocri in termini di ansia, ciò che li differenzia è invece l'interpretazione di questi sintomi ansiogeni: gli atleti di vertice li considerano più facilitanti di quanto non facciano gli atleti mediocri ai fini della performance.
Questi autori affermano, inoltre, che questa interpretazione positiva dell'ansia è correlata ad una maggior fiducia in se stessi e nei propri mezzi (self-confidence); chi invece presenta scarsa autostima tende a riportare alti livelli di ansia in relazione alla competizione.
Quindi le due parole chiave che ci permettono di comprendere meglio la dimensione dell'ansia sono il livello di attivazione e l'utostima di un individuo. La prima si ottiene, senza entrare nello specifico di questo argomento, attraverso una ristrutturazione cognitiva piuttosto che ad un rilassamento che rischierebbe di abbassare eccessivamente il livello di attivazione; naturalmente, se quest'ultimo si è dimostrato essere ugualmente troppo elevato, le tecniche di ristrutturazione cognitiva vanno associate a quelle di rilassamento.
Acquisizione e miglioramento dell'autostima, invece, è un processo che deve avvenire sin dai primi approcci sportivi del ragazzo da parte dell'allenatore, attraverso stimoli verbali che infondano fiducia e che permettano di percepire l'errore come un passaggio obbligato per il raggiungimento dell'obiettivo che allenatore ed atleta si sono posti.

Prof. Ivan Zadro
Diplomato I.S.E.F.