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Sulla Biologia



Contenuto

- Gli esseri viventi - I componenti essenziali della cellula - Il DNA e la sua trascrizione - L'RNA e la sua traduzione - La produzione artificiale delle proteine - La replicazione del DNA - Le mutazioni genetiche - Cenni sul differenziamento cellulare - I trasposoni - L'elettroforesi - Laboratorio: l'elettroforesi - Cenni sul sistema immunitario e sugli anticorpi monoclonali - Genetica formale e cenni di biochimica - La mitosi - La meiosi - Il microscopio elettronico - La cellula - Laboratorio: l'immunodiffusione - L'energia ed i composti organici - Il ciclo di Krebs - I plastidi - Il ciclo di Kalvin - La gametogenesi - Cenni di sistematica

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Desidero ringraziare il Prof. Gianni per i suoi insegnamenti


Gli esseri viventi

Un essere vivente può essere definito come una struttura in grado di accrescersi, riprodursi e rispondere alle sollecitazioni ambientali, o come un essere capace di mantenere un ordine nella propria struttura interna, opponendosi alla perdita di energia. Gli esseri più semplici sono le cellule. Esse, come tutto ciò che è vivo, sono costituite da tre composti del carbonio e dai loro derivati. Questi tre composti sono:

- zuccheri o carboidrati - grassi o trigliceridi - proteine o molecole di uno o più polipeptidi

Gli idrocarburi

Gli idrocarburi hanno alla base della loro struttura il carbonio tetravalente. Sono numerosissimi poichè in teoria si può formare una catena infinita di atomi di carbonio saturati con idrogeno. Sostituendo all'idrogeno dei gruppi caratteristici gli idrocarburi cambiano le loro proprietà chimiche, fisiche e biologiche e vengono chiamati alcoli o acidi.

Alcuni gruppi caratteristici:

-OH gruppo alcoolico o ossidrilico -NH2 gruppo amminico -COOH gruppo carbossilico o acido -SH gruppo sulfidrilico -COH gruppo aldeidico =CO gruppo chetonico (2 valenze libere) -CH3 gruppo metilico -CH3CH2 gruppo etilico

(N.B.: il segno "-" o "=" non indica una carica negativa ma le valenze)

Le molecole polivalenti

Se ad un idrocarburo sostituiamo più di un gruppo caratteristico otterremo una molecola che sarà a seconda dei casi un alcool (acido, ammina...) bivalente, trivalente... polivalente.

Gli amminoacidi

Sostituendo in un acido un H (di un carbonio non carbossilico) con un gruppo NH2 otteniamo un amminoacido, molto importante poichè è l'unità base delle proteine.

I carboidrati (zuccheri)

Sostituendo (in un chetone o in un aldeide) su ogni atomo di carbonio, escluso il Carbonio dell'eventuale gruppo caratteristico, l'H con un OH si ottiene uno zucchero. Gli zuccheri partono da un minimo di 4 atomi di carbonio.

Il ciclo del carbonio

Le piante, con il processo della fotosintesi clorofilliana, trasformano l' anidride carbonica e l'acqua (con l'aiuto dell' energia solare) in zuccheri, liberando ossigeno: viene prodotta quindi una sostanza organica (zucchero) che è molto energetica. L'energia solare ora è trasformata nell' energia chimica dei legami della molecola di zucchero. Successivamente gli organismi che assimileranno lo zucchero potranno ricavare energia rompendo questi legami, e di conseguenza libereranno anidride carbonica e acqua.

CO2 + H2O + Energia = zucchero + O2 zucchero + O2 = Energia + CO2 + H2O

Oltre alla fotosintesi clorofilliana però le piante hanno normali funzioni di respirazione come tutti gli esseri viventi, e consumano quindi composti organici producendo anidride carbonica. NB: la pianta può costruirsi i composti organici, mentre gli animali devono trovarli già pronti.

Isomerie e polimeri

Due composti sono detti isomeri quando hanno stessa formula minima e diversa formula strutturale. Sono detti stereoisomeri quando hanno stessa formula minima, stessa formula strutturale ma diversa struttura spaziale spaziale. Un composto è detto polimero quando presenta una ripetizione periodica di vari monomeri uguali, è detto co-polimero quando presenta una ripetizione periodica di vari monomeri diversi.

I componenti essenziali della cellula

Gli zuccheri

Gli zuccheri sono dei composti molto energetici: quando un organismo li brucia trasforma la loro energia chimica in altri tipi di energia che può essere misurata in calorie (cal). Gli zuccheri possono essere molto complessi e per venire assimilati devono essere scissi in molecole più piccole, come il glucosio, che entra direttamente nel sangue. Essi si dividono in: monosaccaridi, disaccaridi, trisaccaridi...., polisaccaridi.

Se la molecola di zucchero è formata da cinque atomi si tratta di un pentoso, se è composta da sei atomi si tratta di un esoso. A seconda del gruppo caratteristico presente gli zuccheri si dividono in aldeidici o chetonici. Generalmente tutti questi composti si presentano in forma ciclica.

I grassi

Questi composti sono formati da quattro molecole: tre acidi grassi qualunque e un alcool trivalente (glicerina). Queste quattro molecole si uniscono con il processo di esterificazione. I grassi sono idrofobi, poichè:

a) i gruppi OH- (idrofili) della glicerina se ne sono andati assieme all'H+ del gruppo COOH, formando una molecola di H2O, come si vede nella reazione di esterificazione. b) le catene di idrocarburi che compongono l'altra parte del grasso sono anch'essi idrofobi.

Da un punto di vista biologico i lipidi sono moltissimi, ma generalmente le tre catene di acidi grassi che si attaccano alla glicerina sono uguali tra loro. I Grassi si possono dividere in:

grassi animali: saturi solidi a temperatura ambiente grassi vegetali: insaturi liquidi a temperatura ambiente

La saponificazione

La saponificazione è il processo inverso della esterificazione)

Quando un grasso entra in un organismo, per venire assimilato deve essere ridotto in parti più semplici. Esso quindi verrà diviso nelle quattro molecole di cui era formato: 1 glicerina e 3 acidi grassi. Poichè la glicerina aveva perso i gruppi OH- (durante il processo di esterificazione) durante la saponificazione li riceverà per completarsi, mentre al posto degli H+ persi dagli acidi grassi verranno messi non nuovi H+ ma bensì ioni Na+ (sodio). L'ex- acido grasso così ottenuto sarà detto sale dell'acido grasso o sapone.

Le proteine

Le proteine sono molto importanti, hanno varie funzioni tra cui quella di dare una struttura alla cellula (citoscheletro). Sono presenti in grandissime quantità, molto più degli acidi o degli zuccheri. Le proteine sono dei polimeri non monotòni (= le proteine sono ripetizioni di monomeri diversi), costituiti da amminoacidi (AA). In natura ci sono tantissimi diversi tipi di amminoacidi, ma solo 20 di questi vengono sfruttati come componenti delle proteine.

Tutti i 20 amminoacidi hanno il gruppo amminico in posizione alfa, ossia nel carbonio che segue il COOH. Gli AA si legano tra loro per formare le proteine per mezzo del legame peptidico, che lega il gruppo NH2 (che perde un H+) con un gruppo COOH di un altro amminoacido (il gruppo COOH perde l' OH-).

Tra i vari amminoacidi ci sono degli amminoacidi essenziali, ossia che non possono essere sintetizzati dall'uomo (e da altri esseri). Quindi tutti gli esseri che non possono sintetizzarli, per non subire i danni derivanti dalla loro mancanza, devono assumerli attraverso il cibo. Un altro fatto interessante è che tutte le proteine che fanno parte del mondo animale e vegetale sono costituite dagli stessi 20 AA, scelti tra un numero infinito. Potrebbe darsi che ciò sia una prova che sia animali che piante provengano da un antenato comune.

Il DNA e la sua trascrizione

Il programma della vita è inscritto in una sostanza unica nel suo genere: l'acido deossiribonucleico o DNA. Esso è presente in ogni cellula di ogni organismo, ed è la sostanza di cui sono formati i geni.

Il DNA viene riprodotto prima della divisione della cellula, ed è mediante di esso che la cellula (o l'organismo) trasmettono le informazioni genetiche alle cellule figlie (o alla prole).

La struttura del DNA

Secondo il modello proposto da Watson e Crick nel 1953, e poi ampiamente confermato, le molecole di DNA sono formate da due lunghi filamenti avvolti l'uno sull'altro a formare una doppia elica. Ogni filamento della doppia elica è formato da molti nucleotidi. Un nucleotide è formato da un nucleoside e da un gruppo fosfato. Un nucleoside a sua volta è formato da uno zucchero a cinque atomi di carbonio e da una delle basi degli acidi nucleici, spesso chiamate semplicemente basi.

Nel DNA ci sono quattro basi diverse, ciascuna con una particolare struttura chimica, esse sono: adenina (A), timina (T), guanina (G) e citosina (C). L'ordine di queste basi in una molecola di DNA di un organismo è ciò che racchiude le istruzioni del programma dell'organismo stesso. In una doppie elica di DNA, i due filamenti polinucleotidici sono appaiati in modo tale che ad ogni base (A) di una catena sia appaiata una base (T) dell'altra catena, ad una base (G) una base (C). Per questo le due catene di dicono complementari. (A) e (G) appartengono alla classe delle purine (due anelli fusi), mentre (T) e (C) appartengono alla classe delle pirimidine (un solo anello). Le coppie di basi nella doppia elica sono unite da legami idrogeno: (A-T) è tenuta insieme da due legami, (G-C da tre).

Lo scheletro di una catena di DNA è formato da molecole di zucchero deossiribosio unite tra loro da gruppi fosfato. le basi sono attaccate al C1 di ogni zucchero, mentre i gruppi fosfato sono attaccati al C3 e al C5. Nella doppia elica i due filamenti complementari sono allineati in senso antiparallelo: in una gli zuccheri sono disposti verso l' alto, nell'altra verso il basso. Poichè gli organismi presentano venti tipi di amminoacidi, e poichè è il DNA a insegnare come combinarli assieme, è necessario che con sole quattro basi si organizzi un linguaggio capace di descrivere almeno venti amminoacidi. Ciò è possibile se si prendono le basi a tre a tre: infatti in questo modo si possono ottenere 64 combinazioni diverse, venti delle quali descrivono i venti AA. Combinazioni di tre basi vengono dette triplette. Una sequenza di più triplette, che contenga tutte le informazioni riguardanti un certo aspetto dell'organismo (un enzima, una proteina ecc) viene detto gene.

La trascrizione del DNA

Quando un organismo deve per esempio fabbricare una proteina, esso copia la parte di DNA che contiene le informazioni su di essa (gene) e la invia sottoforma di RNA messaggero (mRNA) al banco di costruzione delle proteine. Questo processo si chiama trascrizione del DNA. Per trascrivere un determinato gene, per prima cosa interviene l'enzima elicasi, che apre i ponti-idrogeno tra le basi interessate, in modo che risultino esposte. A questo punto i nucleotidi vaganti nella cellula si attaccano alle basi esposte, rispettando la legge della complementarietà.

Le informazioni per la proteina che l'organismo vuole produrre sono contenute solo in una delle due catene, che quindi risulta essere l'unica da trascrivere. A questo punto interviene l'enzima RNA che, leggendo la presenza di basi codice, è capace di distinguere quale sia la catena giusta da polimerizzare. Esso polimerizza in verso DNA C3>C5. Una volta terminato il suo compito esso si sgancia: la catena di nucleotidi è pronta e le due catene di DNA si riuniscono insieme. L'enzima RNA polimerasi non è preciso quanto il DNA polimerasi: se per caso dei nucleotidi non complementari si appoggiano sulle basi esposte del DNA, è possibile che vengano ugualmente polimerizzate, dando così origine ad una catena di mRNA difettoso. Esso darà origine ad una proteina difettosa. Ciò però non è molto grave poichè darà origine una sola proteina difettosa, in quanto l'mRNA non viene utilizzato in serie per la produzione di proteine.

L'RNA e la sua traduzione

Per quanto riguarda gli organismi procarioti (senza nucleo) vale quanto finora detto. Una volta formatosi l'mRNA si sposta verso il ribosoma e poi lì inizia la produzione della proteina. Per quanto riguarda gli organismo eucarioti (dotati di nucleo) il discorso è in parte diverso.

Infatti il DNA di un eucariota è composto da un susseguirsi di segmenti di nucleotidi e basi che codificano (esoni) alternati a segmenti che non codificano (introni). Una volta che un segmento di DNA è stato replicato, è necessario togliere la copia degli introni. A questo scopo esistono gli enzimi riparatori endonucleasi che tagliano questo pre-mRNA in corrispondenza degli estremi degli introni. Il loro taglio è facilitato dal fatto che ogni introne ha alle sue due estremità alcune basi che si attraggono vicendevolmente. Una volta che gli introni sono stati allontanati vengono distrutti dagli enzimi esonucleasi, mentre gli esoni vengono uniti tra loro dagli enzimi ligasi.

Questo pre-mRNA non è ancòra un "vero" messaggero, poichè dev'essere ancòra trasportato fuori dal nucleo, verso i ribosomi. La membrana nucleare è diversa da quella cellulare: è provvista di più aperture, ma esse sono accessibili soltanto ad alcune sostanze. Particolari enzimi consentono ad alcune proteine plastiche (cappuccio) di avvolgere la testa (C5) del pre-mRNA, mentre contemporaneamente una sequenza di basi azotate (Adenina) viene unita alla sua coda . Solo ora il pre-mRNA può essere definito mRNA.

Le Adenine fungono da basi di aggancio ad una molecola proteica presente nel nucleo (carrier) che è capace di portare fuori l'mRNA attraverso la membrana nucleare. Una volta nel citoplasma degli enzimi (simili agli esonucleasi) levano le adenine, mentre il cappuccio servirà ad attivare il ribosoma.

La traduzione dell'RNA messaggero

I ribosomi, banchi di costruzione delle proteine, sono formati da due parti, una più grande dell'altra, costituite la più grande da due molecole di rRNA, la più piccola da una molecola di rRNA. Entrambe sono unite a 45 proteine circa (30 proteine sono unite alle due molecole di rRNA, 15 proteine sono unite alla singola molecola di rRNA). I ribosomi presentano due siti, detti uno amminoacilico e l'altro polipeptidilico: essi hanno il compito di mettere in evidenza i codoni dell'mRNA.

L'RNA transfer o tRNA, è una molecola che si ripiega in parte su se stessa, per via della complementarietà di alcuni tratti della sua catena. Ci sono vari tipi di tRNA, ma tutti hanno l'importantissima caratteristica di avere tre basi (ACC) che non hanno basi complementari, e che servono per agganciare gli AA che verranno così portati al ribosoma. Un'altra importante caratteristica è che ogni tRNA possiede tre basi (variabili, xyz), dette anticodone, che a seconda della loro sigla permetteranno ad uno ed un solo AA di attaccarsi. L'unione AA-tRNA avviene oltre che per le affinità chimiche appena trattate, anche per l'intercessione di un enzima (detto ammino acil tRNA xyz) che cede energia al tRNA.

La produzione delle proteine

Quando il tRNA ha agganciato il giusto AA, si porta in prossimità del ribosoma, che nel frattempo attraverso i suoi siti ha messo in evidenza un codone del mRNA. Se l'anticodone del tRNA è complementare a quello dell' mRNA, essi si uniscono. Mentre l'mRNA scorre nel ribosoma questo meccanismo si ripete, e gli AA che i tRNA si portano dietro si uniscono tra di loro, mentre i tRNA ormai inutili si staccano e vengono distrutti da appositi enzimi tipo esonucleasi.

Alla fine quindi abbiamo una sequenza di AA che corrisponde a quella della proteina voluta. Si tratta però ancòra di una catena polipeptidica più che di una proteina, poichè le proteine sono dotate di struttura primaria, secondaria, terziaria e quaternaria.

Le triplette start e stop

Quando un enzima elicasi apre una parte di DNA, è molto probabile che la apra con abbondanza rispetto a dove inizia e a dove finisce il gene interessato. Si formerà quindi un mRNA con delle triplette in più: poi nel ribosoma si dovrebbe formare una catena polipeptidica più lunga, che non sarebbe quella voluta.

Qui entra in gioco la tripletta start. Ogni gene sul DNA inizia con un codone (TAC), che viene trasferito in complementare sul mRNA (AUG), detto tripletta start. Quando l'mRNA passa attraverso il ribosoma, la sintesi della catena polipeptidica inizia quando (e solo quando) il sito P.P. mette in evidenza la tripletta start: eventuali triplette che l'hanno preceduta nel ribosoma non avranno dato origine a catene polipeptidiche indesiderate.

Lo stesso discorso vale per la fine del mRNA, dove ci potrebbero essere eventuali code non desiderate che darebbero origine ad una catena polipeptidica troppo lunga. La tripletta stop, che ha la caratteristica di non essere leggibile dal ribosoma, al suo passaggio interrompe la costruzione della catena polipeptidica, infatti eventuali triplette che la seguono non vengono lette . Quando l'AA (metionina) viene tolto da un apposito enzima, ci troviamo in presenza della catena polipeptidica voluta.

La produzione artificiale delle proteine

Sistema di produzione senza cellule

Attraverso una macchina, chiamata RNA sequenziatore, è possibile produrre un determinato RNA messaggero, una volta forniti alla macchina i nucleotidi necessari e delle fonti biologiche di energia (ATP, per esempio). Dopo aver prodotto l'mRNA voluto si passa alla preparazione dell Cell Free System (Sistema di preparazione di proteine extra-cellulare).

Il Cell Free System, un surrogato di cellula poichè ne imita le funzioni, consiste (in maniera semplificata) in un luogo nel quale viene preparata una miscela di amminoacidi, ribosomi, tRNA, ATP ecc ecc, il tutto ad un Ph di 7,2. Questo miscuglio dalle caratteristiche ottimali per la vita dei ribosomi e degli altri elementi, nonché per il prosperare delle cellule, viene chiamato in termine tecnico terreno. Aggiungendo nel terreno l'mRNA costruito prima, si riesce ad azionare il meccanismo della produzione delle proteine desiderate.

Sistema di produzione all'interno della cellula

Si vuole produrre in grande quantità una proteina x ; sapendo che essa è estraibile in piccole quantità da una cellula. Dopo aver estratto da questa la proteina x , e dopo averla purificata, la si inietta in un topo, che fabbricherà degli anticorpi specifici per quella proteina. Poi è necessario estrarre dalla cellula gli mRNA, tra cui c'è l'mRNAx . Mettiamo in una provetta (con enzima DNAasi, che conserva l'mRNA) le cellule che contengono la proteina x . Trattandole con del fenolo, e centrifugando, si separa l'mRNA+fenolo dal resto del materiale, che si depositerà sul fondo. Eliminando il fenolo otterremo gli mRNA, tra cui anche il mRNAx .

Immettendo nelle uova di un rospo gli mRNA prima ottenuti, verranno prodotte molte proteine, tra cui naturalmente la x, derivata dall' mRNAx . Come sarà possibile separarla dalle altre? Prima di tutto è necessario marcarla: nel momento in cui si fa l' iniezione all'uovo si immettono degli amminoacidi marcati (un H sostituito con un Trizio, radioattivo), che chiameremo AA*. Le proteine che si formeranno avranno perciò degli AA*; le definiremo quindi proteine calde (radioattive).

Per isolare la proteina x, si utilizzano gli anticorpi prodotti dal topo. Mettendoli in contatto con le proteine, esse si legheranno alla proteina x loro antigene. Sfruttando un particolare batterio (Staffilococco aureo) che fabbrica una certa proteina A (che rimane attaccata alla sua superficie) ed è molto affine ad una regione degli anticorpi, è possibile isolare per centrifugazione il composto proteina x - anticorpo - batterio. Con altri procedimenti poi è possibile staccare la proteina A, il batterio e gli anticorpi, giungendo così alla proteina x pura.

La replicazione del DNA

Una delle proprietà fondamentali delle cellule è la loro capacità di riprodursi. Esse devono avere quindi un metodo per replicare il DNA al fine di fornirne alle cellule figlie copie complete. Le catene di DNA vengono replicate per aggiunta di nucleotidi uno ad uno. Quando un filamento di DNA deve replicarsi, l'enzima elicasi separa le due catene della doppia elica, progressivamente, e l'enzima topoisomerasi (enzima di riparazione) le mantiene ferme legandosi alla parte opposta alle basi. I nucleotidi liberi nel citoplasma si attaccano alle basi libere del DNA secondo lo schema delle basi azotate complementari, come avveniva per la trascrizione .

In realtà gli elementi base per i filamenti di DNA non sono i nucleotidi, bensì i nucleosidi trifosfati (ossia nucleotidi + altri 2 gruppi fosfato). Nelle reazioni di sintesi, guidate dall'enzima DNA polimerasi, dai nucleosidi si staccano i nucleotidi, che vanno ad attaccarsi alla catena di DNA. Nel frattempo i due gruppi fosfato rimasti liberi subiscono delle reazioni che liberano energia che è indispensabile proprio alla unione dei nucleotidi alla vecchia catena di DNA.

Nella replicazione di DNA non si devono verificare errori, e per questo la cellula ha sviluppato un enzima (DNA polimerasi) che è capace di controllare se le basi attaccate sono giuste. Se una base si è agganciata ad una che non è la sua complementare, essa non verrà polimerizzata: il DNA polimerasi aspetterà che sopraggiunga il nucleotide con la base giusta. Per poter controllare che le nuove basi si uniscano nella maniera corretta, l'enzima ha bisogno di imparare quali siano le combinazioni giuste. Questo campione di basi associate in maniera corretta è fornito dall'enzima rRNA primasi, o primer.

La polarizzazione delle nuove catene.

L'unione dei nucleotidi che formano la catena di DNA originaria era avvenuta in senso C5>C3, e le due catene sono antiparallele. Ciò è importante perchè l'enzima DNA polimerasi può polimerizzare la nuova catena soltanto in direzione C5>C3. Quindi, alla catena di DNA stampo C3>C5 si aggiungeranno dei nucleotidi che verranno polimerizzati senza problemi (in senso C5>C3: la nuova catena è antiparallela). Ma all'altra catena stampo di DNA, quella polimerizzata in senso C5>C3, si aggiungeranno dei nucleotidi che andrebbero polimerizzati in senso C3>C5, cosa che l'enzima DNA polimerasi non può fare. Esso quindi agirà in senso C5>C3 per parti, creando in direzione C5>C3 brevi segmenti (detti di Okasaki) che verranno poi uniti dall'enzima ligasi.

Per queste differenze la nuova catena, complementare della catena stampo C3>C5 si chiamerà catena veloce, poichè è polimerizzata direttamente, mentre la nuova catena complementare della catena stampo C5>C3 si chiamerà catena lenta, poichè è polimerizzata per segmenti. Alla fine l'endonucleasi toglie i primer e vengono aggiunte le basi occupate fino ad ora dal primer. Ora quindi ci sono due doppie eliche di DNA, ognuna formata da una singola catena "vecchia" e una appena polimerizzata. Da ciò il processo di replicazione viene detto semiconservativo. Le due coppie andranno una in una cellula figlia e l'altra nell'altra cellula figlia.

Gli enzimi endonucleasi

Gli enzimi endonucleasi sono presenti in tutti gli esseri; dall'uomo sono sfruttati nell'ingegneria genetica. Nei batteri, dove sono particolarmente abbondanti, gli enzimi endonucleasi servono come difesa dai virus che iniettano il loro DNA all'interno dei batteri. Questi enzimi infatti distruggono riducendolo in pezzetti il DNA iniettato in modo che diventi inoffensivo.

Come fa il batterio per difendere il proprio DNA dalle edonucleasi DNA-distruttrici? Le sue catene di DNAsono protette da gruppi CH3 attaccati su ogni Adenina, e ciò impedisce l'azione della endonucleasi.

Le mutazioni genetiche

Mutazioni puntiformi

Una mutazione puntiforme è un errore che coinvolge una sola base. Queste mutazioni sono molto rare ma la percentuale del loro verificarsi può aumentare se le cellule vivono in ambienti con presenza di agenti mutageni, che possono essere di tipo fisico, chimico o biologico. Le mutazioni possono inoltre essere di tipo somatico (si manifestano sull'individuo ma non contagiano le cellule germinali) o di tipo germinale (non si manifestano nell'individuo ma nelle cellule germinali).

Mutazioni per sostituzione o per perdita

Possono essere gravi o no, dipende dove avvengono. Se avvengono su un gene che codificherà nella futura proteina una zona funzionale saranno gravi: influiranno sulla vita della cellula (mutazioni darwiniane). Se avvengono su un gene che codificherà nella futura proteina una zona non funzionale non saranno gravi (mutazioni non darwiniane.)

Mutazioni per aggiunta di una base

Sono più gravi delle precedenti: provocano la lettura sfasata di tutte le triplette di basi.

L'importanza degli introni

Molte delle mutazioni per aggiunta, perdita o sostituzione non vengono cancellate dalla selezione naturale (morte dell'individuo), e si tramandano da padre in figlio. Come è possibile ciò? Se la mutazione per aggiunta o per sostituzione interessa un introne, essa verrà distrutta con esso durante la produzione di mRNA, e così non darà problemi all'organismo o alla sua discendenza. La base mutata però verrà tramandata con la duplicazione del DNA, anche in questo caso senza provocare alcun danno.

In questo modo si è anche spiegata la grandissima utilità degli introni, che occupando gran parte del DNA fanno sì che le mutazioni (sempre casuali) cadano più probabilmente su di essi che sugli esoni. Essi cioè sono un efficacissimo tampone per le mutazioni. E' da notare che le mutazioni non darwiniane che avvengono sugli introni si riproducono senza danno con DNA, presentandosi sugli intorni delle cellule figlie. Altre mutazioni non darwiniane che potranno accadere agli introni delle cellule figlie provocheranno a lungo andare un "allungamento" degli introni, cosicché analizzando DNA di esseri della stessa specie si potranno vedere differenze anche notevoli.

Mutazioni non puntiformi: mutazioni cromosomiche

Le mutazioni non puntiformi possono verificarsi durante meiosi. La fase della meiosi interessata dalle mutazioni è il momento nel quale i cromosomi si dispongono su due piastre equatoriali (non su una piastra sola, come nella mitosi). In questo caso due cromosomi omologhi, uno su una piastra e uno sull'altra, possono essere interessati sia dal crossing-over che non provoca alcun danno, sia dalle mutazioni.

Mutazioni da splicing (più rare delle mutazioni puntiformi, ma più gravi)

Se un cromatide subisce uno splicing (procedimento analogo a quello per l'eliminazione degli introni), è possibile che 1) gli enzimi ligasi, nel riparare il danno, riattacchino i cromatidi escludendo l'anello (= perdita di basi o di uno o più geni). 2) gli enzimi ligasi, nel riparare il danno, attacchino la parte staccata all' inverso (= inversione di un gruppo di basi).

Mutazioni da crossing-over

Se due cromatidi di due cromosomi omologhi sono interessati da crossing-over, è possibile che un cromatide si ritrovi, alla fine del processo che ha subito, con un gene presente due volte, e l'altro cromatide senza quel gene. Questo tipo di mutazioni possono essere molto utili: per esempio l'emoglobina o l'immunoglobulina dei vertebrati sono così come sono per via di una mutazione da crossing-over (anche detta duplicazione di un gene).

Come mai è molto probabile (avviene nel normale crossing-over) che i due cromatidi interessati dall crossing-over si spezzino tutti e due esattamente all'altezza della stessa base? Come mai è molto poco probabile che si spezzino in punti diversi (avviene nelle mutazioni da crossing-over)? Il fatto è che i due cromatidi, per via della complementarietà delle basi di un DNA con le basi dell'altro, si attraggono a vicenda; è quindi probabile, essendo essi uniti base-a-base, che il crossing-over li interessi esattamente nello stesso punto, cosicché lo scambio di segmenti non provoca nessun danno.

Cenni sul differenziamento cellulare

Abbiamo visto che ogni cellula contiene al proprio interno il DNA uguale alle cellula madre. Ciò vuol dire che le cellule del fegato per esempio avranno tutte le informazioni, tra cui quella riguardante l'emoglobina, anche se non la producono. Perchè accade ciò? Con quale procedimento poi le cellule si differenziano, ossia attivano parti specifiche del DNA e non altre? Non tutte le risposte a queste domande sono state trovate. Possiamo dare una prima risposta ai casi più semplici studiando il lavoro fatto da Jacob e Monod, due ricercatori francesi.

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Nota: Escherichia Coli

Famiglia: colibatteri (batteri che stanno nell'apparato digerente dei mammiferi) Tipo: Parassiti-saprofiti (che traggono vantaggio ma sono anche utili, a differenza dei parassiti-patogeni che traggono vantaggio ma arrecano danno).

I batteri Escherichia Coli possono venir coltivati in presenza di un terreno adatto (proteine, zuccheri, sali...), di natura liquida, reso solido dalla aggiunta di gel dell'alga Agar. I batteri vengono coltivati in scatolette rotonde di vetro o di plastica chiamate capsule di Petri. I batteri, una volta immessi nel terreno privo di altri esseri (sterilizzato), vengono mantenuti a 37°C, temperatura ideale per la loro crescita.

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Batteri resistenti ad un antibiotico

Esempio: Come preparare dei batteri di Escherichia Coli (EC) resistenti ad un antibiotico prodotto per distruggerli? Ciò si può fare trattando gli EC con agenti mutageni in modo da ottenere batteri mutati (EC*). Le mutazioni sono sempre casuali: si sa che gli agenti mutageni intervengono sul DNA ma non si sa su che punto di questo: ciò rende impossibile pronosticare le caratteristiche dei futuri batteri.

Per ottenere un EC** resistente all' antibiotico x che normalmente ucciderebbe un EC, dobbiamo far mutare i batteri e poi farli crescere e moltiplicarsi. Una volta che ne abbiamo in quantità li preleviamo e li mettiamo in tante capsule di Petri nelle quali c'è l'antibiotico x . Alcuni di questi batteri non saranno nemmeno mutati (EC), e moriranno. Altri saranno mutati in certe loro caratteristiche (EC*) ma moriranno lo stesso. C'è una buona probabilità (dato il gran numero di batteri) che alcuni siano mutati in modo da poter vivere in presenza dell' antibiotico x : i batteri EC**.

I due ricercatori hanno studiato gli EC mutati capaci di "digerire" il lattosio (EC**), e i meccanismi di questa loro nuova capacità. Gli EC usano come fonti di energia gli zuccheri, tra cui glucosio e galattosio. Normalmente però non sono in grado di sopravvivere in presenza di solo lattosio (glucosio + galattosio), poichè non riescono a trattarlo come sostanza nutritizia o a dividerlo nei suoi due componenti più semplici. Jacob e Monod hanno trattato con agenti mutageni gli EC, e tra tutti gli EC* hanno cercato, trovato e coltivato degli EC** capaci di vivere in presenza di lattosio.

Gli EC** avevano sviluppato un particolare meccanismo per scindere il lattosio in glucosio e galattosio, e poter così sfruttare il glucosio, loro abituale cibo. La possibilità della scissione era dovuta alla neonata capacità di sviluppare l'enzima ß-Galattosidasi, enzima capace di rompere il legame glucosio-galattosio. Si era poi notato che gli EC** iniziavano a produrre la ß-Galattosidasi quando c'era presenza di lattosio, e concludevano la produzione dell'enzima non appena il lattosio era stato completamente diviso nei 2 suoi componenti più semplici.

Il procedimento di produzione di ß-Galattosidasi

Vediamo il processo di produzione di questo enzima. Ciò che verrà detto nei prossimi paragrafi è valido solo per le cellule senza nucleo (procarioti), poichè negli eucarioti il discorso è diverso e più complesso.

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Nota - Operoni, geni operatori e strutturali

Nel DNA dei procarioti , è stata scoperta l'esistenza di unità superiori ai geni: gli operoni, o unità fondamentali del DNA. Un operone è una unità "teorica", poichè in pratica è composta da 3 parti, una delle quali può essere materialmente separata (distante) dalle altre due. Esse sono:

1) il Gene Regolatore (R) che decide quando far iniziare e quando far finire la produzione di una certa proteina. Comunica la decisione all'Operatore attraverso un mini-mRNA (che sintetizza un repressore)

2) il Gene Operatore, diviso in: promotore (P) operatore (O) l'operatore, dopo essere stato attivato dal promotore, e dopo esser stato liberato dal repressore comanda al gene Strutturale la produzione della proteina

3) il/i Geni Strutturali (GS) possono essere 1,2,3 o più (li indicheremo con GS1, GS2,GS3...), ricevono il messaggio da O e iniziano (aprendosi, formando l'mRNA ecc ecc) il procedimento di costruzione della proteina. Il gene Regolatore è quella parte dell'Operone che può essere materialmente lontana da P,O e GS: esso può addirittura stare su un'altra catena di DNA (in una cellula ci sono più catene di DNA, saldate a diversi cromosomi) e può regolare l'attività di più Operoni distinti.

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Quando un batterio EC** non è in presenza di lattosio, l'enzima ß-Galattosidasi non viene prodotto. Infatti il gene Regolatore R, per mezzo di un mini mRNA, fabbrica una proteina (Repressore) che, data la sua affinità, si lega all'operatore O e lo blocca: egli quindi non dà il via al gene Strutturale GS per la produzione della ß-Galattosidasi.

Il lattosio ed il repressore

Quando gli EC** sono circondati dal lattosio, la membrana, in accordo coi suoi meccanismi di difesa e di controllo, gli impedisce di entrare. Solo una bassissima percentuale del lattosio riesce a superare la membrana (*), e data la sua affinità chimica riesce a de-reprimere l'operatore, attirando via il Repressore ed unendosi a quest'ultimo. Ormai attivato l'Operatore comanda a GS1 l'inizio del procedimenti di produzione della ßGalattosidasi

Attivazione di GS2, la ß-Galattositransferasi

Contemporaneamente (* poichè il 99% del lattosio non era riuscito ad entrare) il gene operatore O darà anche il via anche a GS2, che fabbricherà l'enzima ß-Galattositransferasi, che ha il compito di prendere il lattosio che confina con la membrana cellulare e di portarlo dentro, dove verrà diviso dalla ß-Galattosidasi

Quando il lattosio sarà completamente diviso i Repressori non avranno più lattosio dove attaccarsi e torneranno ad attaccarsi all'operatore, che quindi verrà bloccato: verrà quindi sospesa la produzione dell' enzima ß-Galattosidasi. Come l'Operatore O riattivato ha attivato GS1 e GS2, attiva anche GS3 (in questo caso i GS sono 3), ma riguardo il caso degli EC** non è stato ancòra scoperto a cosa serve GS3, dato che non partecipa al metabolismo del lattosio.

Il Glucosio e il blocco della produzione di ß-Galattosidasi

Gli EC solitamente si nutrono di glucosio, ora noi abbiamo creato degli EC** capaci di sfruttare anche il lattosio. Se però li mettiamo in presenza di entrambe le sostanze, è logico (in base al principio di risparmio di energia) che i batteri preferiranno usare il glucosio: ossia bloccheranno la produzione di ß-Galattosidasi.

Consideriamo in maniera più approfondita i rapporti tra Operatore e Geni Strutturali: sappiamo che operatore + promotore = Gene Operatore GO). Solitamente, quando c'è solo lattosio, l'operatore O si libera dal Repressore che si attacca al lattosio e dà il via a GS1. Oltre a ciò c'è un'altra cosa che non abbiamo detto finora: in presenza di solo lattosio, viene prodotto ANCHE l' AMPc (Adenosin Mono Fosfato Ciclico ), che permette al Promotore P di attivarsi ed attivare poi l'operatore O che, ormai libero dal Recessore, da il via al GS1.

Quando siamo in presenza sia di lattosio che glucosio, la produzione di AMPc viene bloccata cosicché il Promotore non viene attivato, e quindi NON potrà attivare l' operatore O, sebbene esso sia libero dal recessore, data la presenza del lattosio. Quindi l'operatore NON attivato NON potrà attivare il GS1 e quindi non avremo la produzione di ß-Galattosidasi.

Gli operoni reprimibili

Fin qui abbiamo parlato di Operoni inducibili (che ad esempio producono degli enzimi demolitori: ß-Galattosidasi), ma esistono anche degli altri tipi di operoni: gli Operoni reprimibili, che per esempio concorrono alla produzione degli amminoacidi (AA). Se la cellula sente la mancanza di un certo AAx, il gene Regolatore R attiva la catena promotore- operatore-Gene Strutturale ed il procedimento di produzione di un AA ha inizio.

Meccanismi di rilevamento della mancanza di un AAx

Negli Operoni reprimibili, il gene Regolatore R fabbrica una proteina che non è il repressore come nel caso degli Operoni inducibili, ma è un co-repressore. Quando nella cellula c'è la presenza degli AAx, alcuni di essi si attaccano ai co-repressori che così attivati vanno a bloccare l'Operatore che quindi non attiverà la catena di produzione di un AAx . Quando non c'è più presenza di AAx, i co-repressori non vengono attivati e non reprimono l'Operatore che dà il via alla catena per la produzione dell'AAx. Quando verranno formati abbastanza AAx alcuni di essi si attaccheranno ai co-repressori e finirà l'attivazione dei Geni Strutturali GS.

Prima risposta alla differenziazione cellulare negli eucarioti

Questo discorso fatto finora, come specificato all'inizio, vale solo per le cellule procariote. Cosa ci si potrebbe aspettare per le cellule eucariote? Il meccanismo almeno in linea di massima dovrebbe essere simile. Possiamo comunque dare una prima risposta al problema della differenziazione: perchè ad esempio solo le cellule del sangue producono l'emoglobina anche se il gene dell'emoglobina è presente in tutti i DNA di ogni cellula?

Perchè solo le cellule del sangue sono in grado di produrre qualcosa che liberi l'operatore dal Repressore, in modo che si possa dare il via al Gene Strutturale relativo all'emoglobina. La differenziazione probabilmente si basa sulla capacità che un gruppo di cellule acquistano di riattivare certi Operatori del loro DNA i quali permettono l'attivazione di alcuni geni strutturali prima inerti.

I trasposoni

Pre introdurre questo concetto consideriamo una pannocchia di mais, che ha la maggior parte dei semi gialli, ma che ne può avere numerosi anche neri o a macchie. Certamente, data la frequenza di queste anomalie in un singolo esemplare, esse non sono dovute a mutazioni. A cosa sono dovute? Il meccanismo che sta alla base di queste trasformazioni ha tra i suoi "elementi" più importanti i trasposoni.

Un gene g1 del seme x della pannocchia possiede le informazioni per la produzione di un pigmento, ma esso da solo non è in grado di codificare il pigmento: ha bisogno di un altro gene g2 per attivarsi. Questi due geni sono vicini ma separati. Per fare da ponte ed unirli c'è bisogno di un terzo pezzetto di DNA: il trasposone, t . Durante la riproduzione di una cellula si è notato che il trasposone può venir staccato da enzimi endonucleasi (questo fenomeno chiamato splicing probabilmente è casuale), ed una volta libero va regolarmente ad inserirsi tra i geni g1 e g2 attivandoli.

Il g1 che contiene il pigmento è ormai attivato e tutte le cellule che si origineranno da questa avranno il colore determinato da quel gene. Ad una delle tante cellule figlie potrà accadere che durante la riproduzione si verifichi il processo inverso: lo splicing può eliminare t , rendendo così inoperosi g1 e g2 : le cellule che si origineranno non avranno più quel pigmento. Lo splicing si verifica anche durante la trascrizione del DNA, quando gli introni vengono staccati dagli enzimi endonucleasi e poi distrutti dagli enzimi esonucleasi. In questo caso invece i trasposoni, dopo essere stati staccati non vengono distrutti e vanno ad unire i due geni.

Gli enzimi endonucleasi agiscono se riconoscono una sequenza di basi palidroma (che può venire letta sia da destra che da sinistra). Trovata la sequenza essi tagliano la catena all'inizio della lettura in entrambi i versi.

La sintesi dell'Insulina

Se si vuole creare artificialmente dell'Insulina (ormone secreto dal pancreas) si può ricorrere alla ingegneria genetica, che si basa essenzialmente su: DNA, Enzimi Endonucleasi, Batteri (Organismi nei quali inserire il DNA scelto) e Plasmidi (DNA ciclici usati per inserire il DNA scelto nei batteri) A prima vista si potrebbe pensare di estrarre del DNA dalle cellule del pancreas, isolare da questo i geni dell'Insulina e inserirli, tramite un plasmide, in un batterio, in modo che questo provveda alla produzione dell'insulina. Ciò però non va bene per un motivo semplice ed importante: l'essere umano, da cui si preleva il DNA è un eucariota, il batterio destinatario del DNA è un procariota. I DNA degli eucarioti hanno gli introni, quelli dei procarioti no. Gli eucarioti nella sintesi dell' mRNA hanno un meccanismo capace di eliminare gli introni, i procarioti no.

Se immettiamo un DNA preso da un organismo eucariota in un procariota, otterremo un mRNA completo di esoni ed introni. Prelevando quindi del DNA dal pancreas, e immettendolo in un batterio, avremmo la produzione di una proteina che non è quella voluta. Bisogna quindi procedere diversamente: isoliamo gli mRNA dalle cellule del pancreas. Trattiamoli con vari enzimi endonucleasi, che taglieranno gli mRNA in vari modi, ognuno riconoscendo varie sequenze palidrome. Ottenuti questi vari segmenti di varie dimensioni isoliamo i segmenti di mRNAx .

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Nota - Elettroforesi

Con l'elettroforesi possiamo separare i vari segmenti di mRNA a seconda della lunghezza, ottenendo alla fine numerosi strati di mRNA di lunghezze diverse. Di questi vari strati il più consistente sarà quello degli mRNAx che codificano l'insulina. Essendo l'Insulina il maggior prodotto del pancreas, lo strato più grosso dell'mRNA sarà rappresentato dagli mRNAx. Questi vengono isolati immettendo del DNAx (estratto dalla cellula) il quale, pur essendo più lungo a causa degli introni, si legherà ad essi.

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Una volta isolato l'mRNAx sfruttando degli enzimi che codificano in maniera opposta (non DNA > mRNA, ma mRNA > DNA), aggiungendo nucleotidi di DNA, riserve di energia..., possiamo ottenere del DNAx. privo di introni, essendo l' mRNAx privo di introni. Attaccando ai due C5 del DNA formatosi 5 basi Adenina, esso assomiglia ad un trasposone, poichè il suo taglio è identico un taglio "da endonucleasi".

Inserimento del DNA dell'insulina in un batterio servendosi dei plasmidi

Prendiamo quindi un plasmide p (DNA ciclico) e apriamolo con un enzima endonucleasi che riconosca la sequenza 5A, in modo che il gene e il plasmide siano complementari. Possiamo quindi unirli ed ottenere un plasmide addizionato del gene che ci interessa: p*. Il plasmide p* verrà inserito nei batteri che infettati fabbricheranno l'Insulina. Tra tutti i batteri però, solo pochi verranno infettati dal plasmide, altri lo distruggeranno. E' necessario quindi eliminare i batteri non infettati e coltivare in abbondanza quelli infetti.

Eliminazione dei batteri non infettati

Per eliminare i batteri non infettati da p* basta inserire nel plasmide anche un gene mutante che li renda per esempio resistenti ad un certo antibiotico x , mortale per i batteri non mutati. Poichè se un batterio viene infettato dal plasmide produrrà l'insulina ed inoltre sarà resistente ad x , e poichè un batterio non infettato non produrrà l'insulina nè sarà resistente ad x , coltivando tutti i batteri in presenza dell'antibiotico, salveremo solo quelli che producono insulina.

Altri usi degli enzimi di restrizione

Consideriamo due DNA di due esseri della stessa specie. Noteremo delle differenze anche rilevanti. I due DNA potranno essere uno più lungo l'altro più corto, ed avere sequenze di basi diverse (vedi: Le mutazioni del DNA, l'utilità degli Introni). queste differenze possono essere sfruttate in molti campi della scienza, prima di continuare però è necessario un approfondimento riguardo l'elettroforesi, che serve a studiare queste differenze.

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Nota - Elettroforesi II

Nella Nota precedente abbiamo visto il procedimento dell'elettroforesi applicato agli mRNA. Esso funziona ugualmente per i DNA o per le proteine.

Cariche naturali

Se facciamo migrare delle proteine attraverso un substrato di, per mezzo di un campo elettrico, vediamo che il loro movimento è condizionato dalle loro cariche e dalla loro massa. Le proteine infatti sono molecole anfotere (ossia hanno cariche positive o negative libere, dovute a gruppi amminici o carbossilici liberi). Se le maglie sono tali da non ostacolare le molecole più grandi, esse saranno le prime a precipitare, poichè sono più cariche(*)

(*) se una molecola a è più grande (lunga) di una molecola b, è logico pensare che a avrà più gruppi amminici o carbossilici liberi di b, e che quindi sarà più carica di b.

Cariche parzialmente neutralizzate.

Se scegliamo un pH diverso da quello isoelettrico, tale per esempio di eliminare solo le cariche (+), otterremo una elettroforesi in funzione delle cariche (-). Se le maglie sono tali da non ostacolare troppo le molecole più grandi (o più cariche) esse si depositeranno per prime. Questo discorso ovviamente varrebbe anche se avessimo neutralizzato le cariche (-). Durante questi esperimenti è molto importante tenere sotto controllo l'intensità di corrente nel campo elettrico, per non correre i rischi di danneggiare le proteine.

Cariche dei tensioattivi

Per far dipendere il movimento delle molecole esclusivamente dal peso molecolare è necessario ricoprirle con uno strato di tensioattivi (per es. sodio-dodecil-solfato, SDS), in modo che le loro cariche primitive siano praticamente annullate. E poichè i tensioattivi sono uniformemente carichi, ne deriva che tanto più grande è una molecola, tanto più essa è carica. Ciò vuol dire che applicando il campo elettrico, dopo aver disposto le proteine su dell'acrilammide, avremo uno spostamento direttamente proporzionale alle cariche, e quindi alla grandezza, e quindi al peso molecolare.

Una volta ottenuti questi vari strati, che contengono proteine di diversi pesi, essi possono essere evidenziati attraverso delle sostanze colorate che a seconda del colore (per le affinità chimiche della loro struttura, dalla quale dipende anche il colore) si attaccheranno a proteine diverse.

Questo processo è un metodo molto preciso per la determinazione del peso molecolare. Inserendo durante l'elettroforesi delle molecole dal peso noto, è possibile risalire al peso di una qualunque altra molecola presente nel precipitato.

In un sistema si assi cartesiani assegnamo a X il valore del peso molecolare, e a Y il valore (mm) dello spostamento delle molecole dal primo strato del precipitato. Immettiamo un certo numero di molecole dal peso conosciuto (X) e vediamo a che distanza (Y) dal primo strato esse si fermano. Da questi valori (x1, x2, x3...; y1, y2, y3...) costruiamo per punti il grafico della funzione. Se ora noi vogliamo risalire al peso di una molecola x, sulla superficie del precipitato misuriamo la sua distanza dal punto iniziale ed in corrispondenza di questo valore della distanza sull'asse Y tracciamo una parallela alla X fino ad incontrare la retta. A quel punto vediamo a che valore delle X (pesi) corrisponde quella ordinata (distanza). Abbiamo così trovato il peso della proteina x. Il metodo descritto é quello, consueto, di interpolazione grafica.

Cariche neutralizzate dal pH

Le cariche però si possono neutralizzare adeguando il pH a determinati valori durante l'esperimento (pH 6.6; 6.8). Otterremo così delle molecole neutre. L'intervallo dei valori di pH che neutralizzano le cariche è detto punto isoelettrico. Durante una elettroforesi con campo elettrico e con pH isoelettrico, per esempio, sarà possibile separare delle proteine (insensibili al campo elettrico) da altre molecole cariche.

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Descrizione dell'esperienza di laboratorio

L'elettroforesi, un metodo di separazione di proteine, DNA, RNA ecc, può avvenire in vari modi. L'elettroforesi con substrato di acetato di cellulosa è veloce ma poco accurata, quella che sfrutta invece il gel di poliacrilammide è più lenta e più precisa.

Substrato: acetato di cellulosa

Si immergono gli elettrodi in una soluzione tampone aPh 8.6. Si distribuisce uniformemente su una striscia di acetato di cellulosa il campione da esaminare (siero, emolinfa...). Si bagna la striscia con la soluzione e si mantengono le sue estremità immerse nella soluzione per 40 minuti circa. In questo intervallo di tempo gli elettrodi, per mezzo di un alimentatore, forniscono una corrente di 0.02 A e di 90 V. Quando il tempo è trascorso si prelevano le strisce e le si colora con coloranti appositi. In questo modo si potranno vedere varie linee corrispondenti ai vari strati di proteine, DNA, ecc. dalla diversa lunghezza.

Substrato: gel di poliacrilammide

In questo tipo di elettroforesi la separazione delle varie proteine (o DNA...) avviene a seconda della carica che le molecole hanno. Tra due vetri viene immesso il gel, isolato dall'aria per mezzo di alcool isobutilico. Una volta che il gel ha polimerizzato, il tutto viene posto nella soluzione tampone, che contiene tensioattivi (SDS), presenti d'altra parte anche nel gel. Una volta immesso un po' di campione nel gel si applica un campo elettrico (il procedimento è molto simile al precedente). Successivamente si stacca la lamina di gel dai vetri e la si immette nel colorante, che metterà in evidenza i diversi strati di proteine (o DNA...).

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L'elettroforesi può essere sfruttata, come dicevamo, per lo studio delle differenze di lunghezza nel DNA. Immaginiamo di voler confrontare 2 DNA presi da due organismi della stessa specie. Codificando esattamente le stesse molecole; esse avranno sequenze uguali, anche se gli introni potranno avere lunghezze diverse. Facendo tagliare i due DNA dagli stessi enzimi endonucleasi, avremo segmenti che sono identici per quanto riguarda gli esoni, ma che potranno differire per qualche base in più o in meno negli introni.

Applicando a tutti questi segmenti di diversi DNA l'elettroforesi (che come dicevamo va bene per proteine, DNA, RNA ecc) avremo vari strati di diversi segmenti che potranno essere evidenziati nel modo seguente (i colori prima usati per le proteine non vanno bene): prendiamo delle piccole molecole di DNA che abbiano una certa sequenza di basi, e che abbiano l'atomo di fosforo P di qualche nucleotide sostituito con un P radioattivo (P*), e mettiamole a contatto con il precipitato precedente.

Questi DNA* si attaccheranno ai filamenti di DNA precedenti (filamenti e non doppia elica poichè essa è stata aperta prima dell'elettroforesi, proprio per rendere possibile questa unione DNA + DNA*). Facendo seccare la soluzione con dei procedimenti simili a quelli usati in fotografia si può impressionare una lastra fotografica, che riporterà delle linee nere originate dalle radiazioni del P*. Ad ogni linea corrisponderanno dei segmenti di DNA di una certa lunghezza (questo procedimento si chiama autoradiografia). Ripetendo questo lavoro per altri DNA tagliati dagli stessi enzimi endonucleasi, e confrontando le sequenze delle linee, vengono messe in evidenza le differenze di lunghezza tra un DNA e l'altro.

Questo metodo di confronto tra due DNA di individui diversi della stessa specie viene anche usato per stabilire la paternità o la non paternità. Confrontando il DNA del padre con quello della madre, essi saranno diversi (a causa degli introni). Anche il DNA del figlio sarà diverso dai DNA dei genitori: infatti (stabilita sulla lastra fotografica una linea di partenza) le linee del DNA del figlio non saranno sovrapponibili nel loro insieme nè alle linee del DNA del padre nè a quelle della madre. Ma presa una linea alla volta, questa sarà sovrapponibile o a quella del padre o a quella della madre.


Cenni sul Sistema Immunitario e sugli Anticorpi Monoclonali

Il sistema immunitario dei vertebrati, che probabilmente è nato come difesa dai parassiti, si basa su due tipi di cellule presenti nel sangue. Queste cellule riconoscono e attaccano le sostanze non self (estranee) presenti nell'organismo. Prima di approfondire alcuni aspetti del sistema immunitario e degli anticorpi monoclonali è opportuno accennare alla composizione del sangue, tessuto fondamentale per il sistema immunitario stesso.

Il sangue

Il sangue è costituito da una parte cellulare composta da piastrine, globuli rossi e globuli bianchi; e da una parte liquida detta plasma.

Le piastrine

Le piastrine sono frammenti di cellule giganti del midollo osseo, dette megacariociti. Le piastrine sono fondamentali nel processo di coagulazione del sangue. Quando un vaso sanguigno viene danneggiato, esse si addensano nella zona ferita, si aggregano tra loro e rilasciano una sostanza (attivatore della protrombina) che converte la protrombina in trombina. La trombina è un enzima che a sua volta converte il fibrinogeno in fibrina, le cui molecole poi si uniscono spontaneamente formando il coagulo.

I globuli rossi

I globuli rossi contengono l'emoglobina, proteina complessa trasportatrice di ossigeno. Sono prodotti dal midollo osseo; quando sono maturi sono privi di nucleo.

I globuli bianchi (granulociti, monociti e linfociti)

Granulociti: rappresentano circa il 60% di tutti i globuli bianchi. Nel loro citoplasma sono presenti molti granuli. A seconda del tipo di granuli si parla di granulociti neutrofili, acidofili, basofili. Monociti: sono cellule grandi, con nuclei a forma di U. Rappresentano circa il 10% dei globuli bianchi, sono i precursori dei macrofagi del tessuto connettivo. I linfociti: sono cellule piccole, rotonde, dotate di movimento ameboide; rappresentano il 30% dei globuli bianchi. Difendono l'organismo producendo gli anticorpi. I linfociti, che fanno parte anche del sistema linfatico, durante la loro attività compiono un circolo: si spostano dal sangue alla linfa, vengono trasportati agli organi linfatici e poi tornano nel sangue. Lungo i vasi linfatici si trovano il linfonodi, che hanno il compito di filtrare e depurare la linfa.


Il sistema immunitario

Il sistema immunitario umano, come quello degli altri vertebrati, esercita due tipi di difesa contro le sostanze non self . Un tipo di difesa è organizzata dai linfociti B, e viene chiamata risposta umorale, l'altra è organizzata dai linfociti T, e viene chiamata risposta cellulare.

La risposta umorale

Quando una sostanza entra in un organismo, i linfociti B controllano la sequenza di zuccheri che essa reca sulla propria superficie. Se questa sequenza risulta estranea, la sostanza viene classificata come non self (antigene). Poichè il riconoscimento di una sostanza avviene proprio attraverso la sequenza di zuccheri superficiali, questi vengono detti determinanti antigenici o ligandi, poichè si legano ai recettori dei linfociti B per essere controllati.

Il riconoscimento di un antigene scatena la produzione, da parte dei linfociti B, di molecole proteiche dette anticorpi. Non è esatto però parlare di anticorpi tutti uguali che agiscono contro un singolo antigene x; è meglio parlare di anticorpi diversi che agiscono contro i singoli determinanti antigenici dell'antigene x .Infatti, quando il linfocita B riconosce una sequenza di 40 o 50 zuccheri non self , dà il via alla produzione di 40 o 50 anticorpi specifici, che agiranno ognuno contro il proprio determinante antigenico.

Gli anticorpi che agiscono in generale contro un antigene si chiamano anticorpi policlonali, e derivano da molti linfociti B (uno per ogni determinante antigenico). Gli anticorpi che agiscono contro uno ed un solo determinante antigenico si chiamano anticorpi monoclonali, e derivano tutti da un determinato linfocita B.

La struttura degli anticorpi

Tutti gli anticorpi hanno una struttura fondamentale composta da quattro catene polipeptidiche: due catene leggere identiche (a basso peso molecolare) e due catene pesanti (ad alto peso molecolare). Gli estremi delle catene, sia leggere che pesanti, che presentano il gruppo carbossil-terminale COO-, sono dette regioni costanti, poichè la loro sequenza di AA (amminoacidi) è uguale per tutti gli anticorpi di una stessa classe.

Gli estremi della catene, sia leggere che pesanti, che invece presentano il gruppo ammino- terminale NH3+, sono dette regioni variabili, poichè la loro sequenza di AA varia molto anche all'interno di una stessa classe. Sono le regioni variabili che si legano al "loro" antigene specifico.

Esistono cinque classi di anticorpi circolanti. Esse differiscono per la struttura delle regioni costanti e per il modo in cui attaccano le cellule e le sostanze non self . Tutte queste classi appartengono alle molecole proteiche dette immunoglobuline (Ig).

La risposta cellulare

Quando i linfociti T vengono a contatto con un antigene, danno anch'essi origine ad anticorpi specifici, ma questi restano legati alla superficie dei linfociti che li hanno prodotti. La parte variabile di questi anticorpi è identica a quella degli anticorpi circolanti, mentre la parte costante è totalmente diversa. I linfociti T riconoscono, inglobano e distruggono le cellule estranee, ma anche quelle del corpo che sono state modificate da infezioni, da virus o dalla trasformazione cancerosa.

A differenza degli altri leucociti fagocitanti del sangue, che inglobano e distruggono qualsiasi materiale estraneo, i linfociti T fagocitano solo cellule estranee specifiche (si basano sugli antigeni specifici).

Alcuni linfociti T (linfociti killer ) distruggono le cellule cancerose non appena vi entrano in contatto. Altri (linfociti helper ) cooperano con i linfociti B nella produzione di immunoglobuline.

La teoria della selezione clonale

L'insieme dei linfociti T e B può rispondere ad una grande varietà di antigeni. Il meccanismo che spiega come ciò possa avvenire è la teoria della selezione clonale. Questa teoria afferma che ogni linfocita è programmato nel suo DNA per poter rispondere ad un determinato antigene. Se un linfocita entra in contatto con il proprio antigene inizia a moltiplicarsi e a differenziarsi. Attraverso delle mitosi si formano quindi moltissimi linfociti identici, che poi producono gli anticorpi specifici.

La teoria della selezione clonale spiega poi il fenomeno della memoria immunologica. Quando un organismo viene a contatto con un antigene per la prima volta, passa un certo periodo di tempo (periodo di latenza) prima che vengano prodotti gli anticorpi. Se successivamente l'organismo incontra di nuovo lo stesso antigene, la sua risposta sarà molto più rapida. La teoria della selezione clonale afferma infatti che tra i molti linfociti T e B che vengono prodotti ce ne sono alcuni che vivono molto a lungo (decenni), e che sono già pronti quando l'antigene si ripresenta (risposta secondaria). Questi linfociti sono chiamati cellule della memoria .

Non è stato ancòra spiegato con esattezza quale sia la fonte di una così grande varietà di anticorpi. Essi sono proteine, quindi sono determinate dai geni: le loro sequenza di AA derivano da sequenze di DNA. Si è notato che i geni che codificano la regione variabile dell'anticorpo (gV), non si trovano vicini a quelli che codificano la regione costante (gC).

In più, su una catena di DNA, per ogni gene che codifica una regione costante, ce ne sono molti che codificano l'adiacente regione variabile. Prima di andare a formare l'mRNA la catena di DNA si apre e solo uno dei tanti gV (a caso) va a sistemarsi vicino al gC. Ciò si ripete ad ogni "giro" di produzione del mRNA. E' possibile, ma non è sicuro, che i singoli gV siano il risultato di combinazioni di due o più frammenti genici, il che aumenterebbe ancòra di più la varietà di anticorpi prodotti.

Il complesso maggiore di istocompatibilità

Il complesso maggiore di istocompatibilità è un complesso di geni molto importanti, responsabili della presenza di un nutrito gruppo di determinanti antigenici sulla superficie delle cellule di ogni individuo. Negli esseri umani questo "campionario" di determinanti antigenici è chiamato Sistema degli Antigeni Leucocitari Umani (Human Leukocyte Antigen, HLA).

Questi determinanti antigenici sono basilari nel determinare la riuscita o il fallimento di un trapianto di un tessuto da un individuo all'altro. Infatti trapiantando un tessuto, i linfociti dell'organismo accogliente si accorgono dei determinanti antigenici stranieri e iniziano a distruggerli.

E' più probabile quindi che i trapianti abbiano successo se effettuati col tessuto di una persona imparentata col malato (più stretta è la parentela, minore è il rischio di rigetto).

Sulla superficie delle cellule, oltre ai determinanti antigenici HLA ci sono anche altri determinanti antigenici, che prendono parte all'eliminazione delle cellule cancerose, sfruttando il fatto che queste hanno degli antigeni di superficie diversi da quelli delle altre cellule del corpo. I linfociti T riconoscono le cellule cancerogene come non self , e iniziano la produzione degli anticorpi specifici che tentano, talvolta senza successo, di distruggerle.

Gli anticorpi monoclonali

Come abbiamo visto, gli anticorpi sono proteine prodotte dai Linfociti B. Ogni anticorpo si combina con il proprio determinante antigenico. I determinanti antigenici possono essere molecole (proteine, polisaccaridi, glico-proteine, glico-lipidi), molecole superficiali di cellule cancerose o trapiantate, possono essere presenti su cellule, virus o batteri. Nel paragrafo La risposta umorale abbiamo accennato agli anticorpi monoclonali. Ora vedremo come si possono produrre.

La produzione di anticorpi monoclonali

Ammettiamo di voler disporre di un anticorpo monoclonale che agisca quindi su uno ed un solo determinante antigenico di una certo antigene, che probabilmente ha quaranta o più determinanti antigenici. Il metodo più intuitivo per isolare questo anticorpo consisterebbe nell'eliminare tutti quelli che non interessano. Ciò però è praticamente impossibile: si deve seguire un'altra strada.

Iniettando l'antigene che ci interessa in un topo, otterremo l'attivazione di tutti i linfociti interessati. Eliminare tutti i linfociti e coltivare l'unico che ci interessa è un'impresa praticamente impossibile, poichè i linfociti non si riproducono in vitro. Si deve quindi rimediare a questo nuovo problema nel seguente modo.

Si coltivino in vitro delle cellule tumorali di topo, prelevate da un suo organo linfatico colpito da tumore. Queste cellule si dividono intensamente e hanno la caratteristica di non produrre anticorpi specifici.

Si mettano in contatto i linfociti che producono l'anticorpo specifico con queste cellule tumorali: alcune di queste, circa una su dieci, si fonderanno con i linfociti, dando origine a degli ibridomi. Essi hanno la nuova caratteristica di dividersi (caratteristica ereditata dalla cellula tumorale) e di produrre l'anticorpo monoclonale desiderato (caratteristica ereditata dal linfocita specifico).

Può accadere che insieme all'anticorpo desiderato vengano prodotti, anche in quantità molto maggiori, degli incroci di parti dell'anticorpo desiderato con parti degli anticorpi non- specifici derivanti dalla cellula tumorale. Ciò non è molto grave, poichè si riescono ugualmente ad isolare puri gli anticorpi che ci interessano. Ora si può evitare questo problema poichè sono state scoperte delle cellule tumorali che non creano alcun tipo di anticorpo.

Una volta ottenuti gli ibridomi, restano da eliminare i linfociti e le cellule tumorali rimanenti: ciò si può fare trattando la coltura con amminoterina. Molte cellule, tra cui i linfociti e le cellule tumorali, sono capaci di sfruttare per la sintesi del DNA la base azotata Timina (T) se e solo se questa deriva dall'Uracile (U). Se immettiamo della amminoterina, essa è capace di bloccare il ciclo di fabbricazione della T partendo dalla U, e ciò causa il blocco della produzione di linfociti e di cellule tumorali. Avendo cura di inserire della T di origine non-U nella coltura, solo gli ibridomi sopravviveranno, essendo gli unici capaci di sfruttarla per la sintesi del DNA.

Il blocco della sintesi della Timina

Come abbiamo detto le cellule tumorali ed i linfociti sono capaci di sfruttare per la sintesi del DNA la base azotata T se e solo se essa deriva da U (infatti U + CH3 = T). La trasformazione U + CH3 = T è resa possibile dal ciclo: Tetrametilfolato > diidrofolato diidrofolato + enzima idrofolatosintetasi = tetrametilfolato Se immettiamo della amminoterina, essa è capace di bloccare questo procedimento.

Gli ibridomi possono essere iniettati nel topo e si manifestano come tumori solidi. Questi producono grandi quantità di anticorpo specifico. Questa tecnica rende possibile ottenere fino a 15 ml di anticorpo da ogni topo.

L'uso degli anticorpi monoclonali

Gli anticorpi monoclonali hanno molte importanti applicazioni nei campi della medicina applicata e della ricerca. Possono essere sfruttati sia per curare gravi patologie sia per facilitare la ricerca .

La localizzazione di cellule cancerose

Una cellula cancerosa presenta vari determinanti antigenici; ammettiamo di conoscere un suo determinante antigenico x . Per scoprire se e dove questa cellula esiste in un dato individuo, si fa uso di anticorpi monoclonali specifici per x . Essi prima di venir immessi nel sangue, vengono marcati con degli isotopi radioattivi, per renderli rintracciabili.

Una volta in circolo gli anticorpi si attaccano alle cellule cancerose, se queste esistono. In questo modo con una TAC (Tomografia Assiale Computerizzata ) è possibile scoprire se e dove tali cellule si sono sviluppate. Una volta scoperte le si può combattere servendosi ancòra degli anticorpi monoclonali (vedi: Il proiettile ideale ).

La localizzazione di una proteina in una cellula

Se in una cellula vogliamo scoprire l'esistenza e l'ubicazione di una certa proteina, dopo esserci accertati che essa possiede un determinante antigenico x, possiamo sfruttare gli anticorpi monoclonali specifici che si attacchino a x , marcati con 1) radioisotopi, 2) sostanze fluorescenti o 3) particolari enzimi. A seconda dei diversi tipi di marcatura, si useranno diversi meccanismi per metterli in evidenza.

Questi meccanismi sono: 1) la TAC 2) il microscopio a fluorescenza 3) un enzima che scinde H2O2 in H2O + O, e una sostanza a (alfa-naftolo) incolore, che in presenza di ossigeno libero forma a-O-a, che è di colore nero.

Gli anticorpi monoclonali e la ricerca

Gli anticorpi monoclonali sono stati sfruttati per scoprire e studiare particolari tipi di linfociti T, come ad esempio i linfociti T helper, ai quali abbiamo già accennato. Prima dell'avvento degli anticorpi monoclonali era difficile isolare e studiare i linfociti T ed i loro sottogruppi poichè essi al microscopio appaiono identici ai linfociti B.

I reagenti OKT

Gli anticorpi monoclonali sono stati anche usati per studiare alcune patologie connesse con l'AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita) o con il trapianto di organi. Queste patologie infatti sono una conseguenza dei danni provocati dal virus HIV1 al sistema immunitario. E' stato possibile studiare il sistema immunitario danneggiato dall'AIDS per mezzo di particolari anticorpi monoclonali, chiamati reagenti OKT. Si è visto che il virus tende a distruggere i linfociti T helper e a mantenere tutto il sistema immunitario in uno stato represso.

Il magnete monoclonale

Il neuroblastoma è un tumore che può colpire il sistema nervoso dei bambini. Esso può essere vinto somministrando una certa dose di raggi X. Una dose sufficiente a distruggere le cellule cancerose però danneggia anche il midollo osseo del paziente. Per questo prima del trattamento con raggi X viene asportata parte del midollo osseo, che potrà essere poi usata per rigenerare il midollo nel paziente.

Il problema è che anche le cellule del midollo osseo contengono cellule cancerose. E' controproducente quindi re-inserirle così come stanno nel paziente, poichè darebbero origine ad un nuovo tumore.

Le cellule del midollo asportato quindi vengono trattate con la tecnica del "magnete monoclonale". Questa tecnica, a grandi linee, consiste nel trattare il midollo osseo con anticorpi monoclonali, in modo che essi si uniscano alle cellule cancerose. Successivamente delle microsfere magnetizzate sono trattate in modo da legarsi al sistema cellula cancerosa - anticorpo monoclonale.

Non è difficile poi separare dal midollo spinale questi aggregati di sfere - cellule cancerose - anticorpi. Una volta purificato dalle cellule cancerose, il midollo osseo può essere re-inserito nel paziente.

Il proiettile ideale

La chemioterapia "classica" rallenta o blocca la crescita delle cellule tumorali, ma naturalmente le radiazioni non possono distinguere tra cellule cancerose e cellule sane, così che danneggiano anche i tessuti sani. Sarebbe una grande vittoria riuscire a colpire le cellule cancerose senza danneggiare le altre.

A tale scopo si stanno sfruttando gli anticorpi monoclonali. Agli anticorpi (specifici per le cellule tumorali che si vogliono eliminare) vengono "agganciate" delle sostanze anti- tumorali (per esempio isotopi radioattivi del Cobalto) che così vengono portate a destinazione dagli anticorpi stessi, senza danneggiare le cellule sane. Si tratta quindi di un trattamento molto meno traumatizzante per il paziente, e più efficace. Al giorno d'oggi questo metodo viene usato per fermare la crescita dei tumori nei topi; si è infatti ancòra a livello di sperimentazione. Nel prossimo futuro si spera di poter usare questo metodo sugli esseri umani, nella cura dei tumori del midollo osseo, o nel trattamento successivo all'asportazione chirurgica del tumore.


Genetica formale e cenni di biochimica

I cromosomi nelle cellule

Ogni cellula (escluse le cellule germinali) contiene un numero pari di cromosomi, in quanto i cromosomi provengono per metà dal padre e per metà dall madre. I cromosomi stanno a coppie (1 cromosoma + il suo omologo). Ogni cromosoma ha attaccato a sè una catena di DNA: possiamo quindi dire che un cromosoma consiste in una catena di DNA unita ad alcune proteine. Il numero di cromosomi varia da specie a specie, ma tutti gli individui di una specie hanno lo stesso numero di cromosomi. Per esempio in tutti gli esseri umani avremo:

46 cromosomi, ossia 23 coppie di omologhi, 1 e 1', 2 e 2' 1, 2 = cromosomi da un genitore 1', 2' = cromosomi omologhi dall'altro genitore

Non è il numero (la quantità) dei cromosomi che descrive la complessità di un essere vivente, bensì è la lunghezza delle catene di DNA ad essere proporzionale alla complessità. E' chiaro a questo punto che in una cellula un carattere X (per esempio: colore dei capelli) è il risultato della collaborazione tra due geni x ed x', che occupano la stessa posizione (locus) su due cromosomi distinti ma omologhi. Le coppie x ed x', y e y', z e z' sono chiamate coppie di alleli (x è un allele, x' è un allele).

Considerando una popolazione che ha esclusivamente la pigmentazione nera dei capelli: se ad un certo punto si sviluppa un individuo dai capelli non neri, significa che uno dei due alleli che codificano il colore dei capelli si è mutato.

Genotipo: allele+allele Fenotipo: carattere ereditario espressione fisica del genotipo

Esempio:

Prendiamo in considerazione il colore dei capelli, e supponiamo che i geni che codificano il colore dei capelli siano solo due. Chiameremo il primo gene N (capelli neri) e il secondo gene n (capelli non neri). Potrebbe essere che (N) sia derivato dal padre e (n) dalla madre o viceversa.

Il genotipo del figlio potrà essere:

NN Nn=nN nn omozigote eterozigote omozigote dominante recessivo

E il genotipo si manifesterà nel fenotipo:

nero nero non nero

Se nei due cromosomi omologhi della figlio, che contengono i geni del colore dei capelli, sono presenti in uno l'allele (N) e nell'altro l'allele (n), accadrà che esso avrà ugualmente i capelli neri, poichè tra i due geni uno predomina (N = gene dominante).

Esso predomina poichè i geni dominanti permettono la fabbricazione di enzimi funzionanti (in questo caso enzima funzionante per produrre melanina), mentre i geni recessivi "producono" solo geni parzialmente funzionanti o per niente funzionanti. Ciò spiega anche perchè nel caso in cui una cellula contenga la coppia di alleli N e n, fabbrica comunque il pigmento.

Poichè in realtà abbiamo molti geni che stabiliscono il colore dei capelli, le svariate combinazioni geni recessivi-dominanti daranno origine alle svariate sfumature di colore dei capelli.

Le leggi di Mendel

I° legge (dell'uniformità): incrociando due razze omozigoti, che differiscono per una sola coppia di alleli, tutti i discendenti della prima generazione (eterozigoti F1) sono identici

II° legge (della disgiunzione): quando si incrociano gli eterozigoti F1, nella F2 compaiono diversi fenotipi, portatori dei caratteri della generazione parentale (P) e della F1.

III° legge (dell'indipendenza): se si incrociano individui che differiscono per due o più alleli questi ultimi appaiono indipendenti tra di loro, ad eccezione dei caratteri legati (= che stanno sullo stesso cromosoma), e seguono indipendentemente le prime due leggi. Alla scoperta della terza legge ha contribuito il fatto casuale che Mendel abbia scelto due geni (colore- forma) che si trovano su cromosomi distinti nelle cellule dei piselli. Se egli avesse scelto due fattori che stavano sullo stesso cromosoma, essi sarebbero apparsi come inscindibili!

Geni autosomi ed eterosomi

Negli esseri umani ci sono 23 coppie di cromosomi. 22 di queste sono detti coppie di cromosomi autosomi, 1 coppia, diversa dalle altre, è detta coppia di cromosomi eterosomi. I cromosomi eterosomi contengono tutte le informazioni riguardanti il sesso.

Due cellule "normali" contengono ognuna 2n cromosomi (diploidi). Due cellule germinali invece contengono n cromosomi (aploidi), cosicché dall'unione di due cellule germinali si ritorna al 2n. Inoltre due cellule germinali, rispettivamente maschile M e femminile F, dovranno contenere una, un gene dominante e uno recessivo YX,e l'altra due recessivi XX. Solo in questo modo infatti le probabilità che il figlio sia maschio o femmina sono equivalenti (50% e 50%), come si deduce dal quadrato di Punnett: XX, XY, XX, XY.

Nella specie umana i cromosomi delle cellule germinali sono: F: X ,X M: X,Y

Le sindromi ereditarie (geni mutati presenti nei cromosomi eterosomi)

Le sindromi ereditarie sono dovute a degli alleli mutati che vanno a far parte del corredo cromosomico della cellula figlio. Queste sindromi possono manifestarsi con diverse intensità poichè sono dovute a più di un gene. Se per esempio una data caratteristica è definita da 5 geni, potremo averne 1 mutato, 2 mutati, 3, 4, 5. Ciò determinerà varie gradazioni della sindrome. Le manifestazioni più lievi sono trascurabili, le più accentuate possono portare alla morte dell'individuo. In generale quindi un carattere genetico potrà manifestarsi in tanti modi quanto più numerosi saranno i geni che lo codificano.

Daltonismo ed emofilia

(NB: i cromosomi sessuali come abbiamo detto qualche riga sopra contengono tutti i geni riguardanti il sesso del figlio più qualche altro gene, come ad esempio quei gene che considereremo in questo esempio). Consideriamo i cromosomi sessuali, ed un gene allelico recessivo mutato presente in essi. Questo gene:

1) può essere un gene che non è capace di dare le informazioni per creare un enzima per la coagulazione del sangue.

2) può essere un gene che provoca il daltonismo infatti emofilia e daltonismo da questo punto di vista sono malattie simili. Poichè questi geni in particolare interessano solo il cromosoma X potremo avere i seguenti casi:

F: X e X sana X e X* portatrice sana X* e X* malata

M: X e Y sano X* e Y malato

I figli potranno essere: X Y X Y X* Y X* Y

X XX XY X XX XY X XX* XY X XX* XY X XX XY X* XX* YX* X XX* XY X* X*X* X*Y

La combinazione X*X* non permette la nascita di una figlia viva.

Le polisomie

La sindrome di Down

Per spiegare cos'è una polisomia consideriamo una cellula con solo due coppie di cromosomi (corredo cromosomico: 2 coppie) che si divide in due cellule germinali, ognuna con una sola coppia di cromosomi: può accadere però che un cromosoma si attacchi fortemente al suo omologo cosicché se lo porti dietro durante la separazione cellulare: avremo così una cellula germinale con 2 cromosomi ed una con zero. Naturalmente le cellule non hanno solo 2 coppie di cromosomi. Le cellule germinali della specie umana hanno 23 cromosomi (corredo cromosomico completo della cellula figlia: 23 COPPIE = 46 cromosomi). Il cromosoma 21 talvolta può portarsi dietro il suo omologo. Se la cellula uovo con il cromosoma in più viene fecondata il figlio avrà la sindrome di Down (comunemente conosciuta come mongolismo).

Le trisomie

Se ci sono delle trismomie negli eterosomi, attraverso dei complessi procedimenti, è possibile che i figli presentino dei cromosomi del tipo:

F: XXY o XXX al posto di XX o XY M: XYY ... al posto di XY

Ciò porta solitamente a problemi di tipo psichico (nei criminali si riscontra una frequenza più alta di queste mutazioni se confrontata con la frequenza in persone non criminali).

I gruppi sanguigni: A, B, AB, O

Anche il gruppo sanguigno è una carattere ereditario. I gruppi sanguigni si differenziano a seconda dei tipi di molecole di zucchero (oligosaccaridi = 7 o 8 monosaccaridi esosi, solitamente) che stanno sulla superficie dei globuli rossi. Questi oligosaccaridi hanno una forma a "Y". Le estremità (che indicheremo con il simbolo V) variano da gruppo a gruppo, mentre la parte rimanente (che indicheremo con il simbolo I) è comune ai gruppi A,B,0, ed è costituita da zuccheri.

Chi ha sangue del gruppo A possiede dei geni che contengono le informazioni per produrre particolari enzimi che riconoscono e legano, alle estremità delle V, zuccheri con conformazione N-acetil-galattosammina . Chi è gruppo A possiede anticorpi Anti B.

Chi ha sangue del gruppo B possiede dei geni che hanno le informazioni per produrre particolari enzimi che riconoscono e legano alle estremità delle V zuccheri con conformazione glucos-ammina . Chi appartiene al gruppo B possedere anticorpi Anti A.

Chi è del gruppo AB possiede due geni, A e B codominanti, ossia diversi tra loro ed entrambi attivi. Accade quindi che essi riconoscono ed attaccano alle forcelle molecole distinte di zucchero. Il 50% delle forcelle risultano come quelle del sangue A, e l'altro 50% come quelle del sangue B. Chi è del gruppo AB non ha anticorpi, nè anti A nè anti B.

Chi appartiene al gruppo 0 ha dei geni che non possiedono le informazioni per produrre particolari enzimi; quindi non viene nè riconosciuta nè legata alle estremità delle V alcuna molecola di zucchero. L'oligosaccaride si riduce alla parte comune ad A,B e 0: I. Chi è gruppo 0 possiede anticorpi anti A ed anti B.

Il funzionamento degli anticorpi

Quando dei globuli rossi di un individuo del gruppo A, per esempio, vengono a contatto con il sangue di un individuo del gruppo B, questo fà entrare in azione i propri anticorpi che assalgono i globuli rossi A, distruggendoli e liberando così l'emoglobina che sta al loro interno. Le complicazioni o la morte derivanti all'individuo in seguito a questi fatti sono dovuti ad avvelenamento da emoglobina. NB: il fatto che il sangue di gruppo Zero sia costituito da globuli rossi con zuccheri presenti anche nei gruppi A e B lo rende compatibile con il sangue A, B, o AB.

Il fenotipo A potrà avere il genotipo AA oppure A0 Il fenotipo B potrà avere il genotipo BB oppure B0 Il fenotipo 0 potrà avere solo il genotipo 00 A,B = geni codominanti, 0 = gene recessivo

Il Pleiotropismo

Il pleiotropismo: geni che agiscono su più di un carattere.

La probabilità di avere degli individui di gruppo 0, essendo 0 recessivo, dovrebbe essere molto minore in confronto alla probabilità di avere individui di altri gruppi (ciò si può vedere attraverso il quadrato di Punnett). Sperimentalmente si vede, invece, che gli individui 0 sono i più numerosi. La spiegazione di questo fatto va ricercata molto probabilmente nel comportamento degli enzimi codificati dai geni A e B (pleiotropismo). Diremo che due geni sono pleiotropici quando codificano un enzima che è coinvolto in più di un meccanismo biologico.

Gli enzimi codificati da A e B oltre che essere coinvolti nel riconoscimento di certi particolari zuccheri, sono molto probabilmente responsabili di forti alterazioni alla struttura del differenziamento cellulare dell'embrione, cosicché se un embrione è di gruppo A, B, o AB c'è una discreta probabilità che non sopravviva al suo sviluppo. I geni 0 invece codificano enzimi NON dannosi all'embrione, e così gli embrioni di gruppo 0 avranno molte più probabilità di sopravvivere.

Vediamo quindi come si spiega il fatto che la gran parte degli individui (40% circa) siano di gruppo 0. Il restante 60% si divide tra gruppi A, B, AB. E' stato dimostrato poi che gli enzimi dei differenti gruppi sanguigni portano ad un aumento o ad una diminuzione delle probabilità dell'individuo di contrarre varie patologie.

Altro esempio di pleiotropismo: il numero di strisce presenti sul guscio di una lumaca è determinato da vari enzimi. Questi enzimi agiscono in due meccanismi biologici: l'apparato digerente e la pigmentazione (strisce). Ecco poichè possiamo parlare di pleiotropismo.

La pigmentazione delle lumache varia da luogo a luogo poichè le differenti condizioni climatiche e ambientali favoriscono un certo enzima a scapito di altri. Ciò fa si che la maggior parte delle lumache in una data zona possiedano quella pigmentazione determinata dall'enzima superattivato. E' stato dimostrato inoltre, prima che fosse scoperto questo meccanismo, che le varie pigmentazioni esistenti non sono legate al fenomeno del mimetismo.

Il pleiotropismo a cascata

In questo caso non si potrebbe parlare di vero e proprio pleiotropismo poichè il gene in questione lavora in uno ed un solo meccanismo biologico. Un esempio di pleiotropismo a cascata si ha nei polli: nel caso di unione di polli omozigoti, esiste la possibilità che un gene recessivo provochi una malformazione delle piume, in modo che queste non possono tenere caldo all'individuo. Ciò provocherà una serie di reazioni a cascata, da cui il nome p. a cascata (freddo...fame...necessità di molto cibo per le calorie, ipertrofia dello stomaco, delle vene, ecc, morte). Abbiamo visto che un gene può lavorare su più di un meccanismo biologico; è anche vero però che solitamente più geni lavorano sullo stesso meccanismo biologico.

La legge di Hardy-Weinberg

La frequenza di un carattere in una popolazione rimane costante al passare del tempo se:

1) la popolazione è relativamente numerosa 2) gli accoppiamenti sono casuali 3) non avvengono cambiamenti ambientali drastici

1) se la popolazione non è relativamente numerosa (= poche unità di portatori sani) eventi accidentali che portassero alla morte uno o due portatori sani sconvolgerebbero l' equilibrio, che invece resterebbe immutato se il numero dei portatori sani fosse notevole, il che si può avere solo in una popolazione relativamente numerosa.

2) Se gli accoppiamenti non sono casuali (se per esempio gli allevatori favoriscono determinati incroci), non vengono più rispettate le leggi della probabilità

3) Se le condizioni ambientali cambiano drasticamente potrebbe succedere che determinate fasce di popolazione siano avvantaggiate, ed altre svantaggiate. La frequenza di un carattere potrebbe quindi venir meno.

Le sindromi o le patologie ereditarie (es: talassemia o anemia falciforme) sono caratteri che rimangono costanti nel tempo (= che seguono la legge di Hardy-Weinberg) solo se risiedono in geni recessivi mutati, in modo che si possano avere dei portatori sani (eterozigoti: dominante OK + recessivo mutato), che tramandano la malattia ma non ne sono uccisi.

Se infatti la sindrome risiedesse nei geni dominanti la malattia si manifesterebbe quasi sempre (eterozigori e monozigoti dominanti) e i soggetti verrebbero portati alla morte prima di riprodursi. Ciò porterebbe ad una diminuizione dei casi della sindrome e alla sua scomparsa.

La deriva genetica

La deriva genetica è una variazione significativa di un carattere (= variazione della frequenza di un allele) in una piccola popolazione.

Esempio:

Prendiamo in considerazione una specie di animali e una loro malattia ereditaria s . In una popolazione numerosa ovviamente avremo dei portatori sani della malattia s (1/10'000, per esempio). Supponiamo che da questa popolazione si stacchi un gruppo relativamente piccolo, e che questo migri da qualche parte. Se nel nuovo gruppo per caso vengono a trovarsi due o tre portatori sani (la probabilità che ciò accada è molto piccola ma c'è) avremo che la loro presenza ora sarà di 1/50, per esempio. Ciò porterebbe ad un incredibile aumento del numero di animali malati nelle successive generazioni. Questo per l'appunto è un caso di deriva genetica.

In realtà quando un piccolo gruppo si stacca da una popolazione c'è una probabilità molto grande che NON sia presente alcun portatore sano. Ciò significa che nelle successive generazioni non si presenterà più alcun caso della malattia "s". E' bene ricordare però che, sebbene quest'ultimo evento sia molto più frequente del precedente, la definizione di deriva genetica NON è: scomparsa di un allele .

La Mitosi

La divisione cellulare o mitosi è una delle fasi più importanti della vita cellulare. La vita di una cellula è un ciclo senza sosta che può essere così schematizzato:

1) Mitosi fase1 divisione cellulare 2) G1 fase 2 produzione di proteine 3) Sintesi fase 3 duplicazione corredo cromosomico 4) G2 fase 4 produzione di proteine (...1)

Se le cellule sono lasciate in un terreno favorevole, esse continuano questo loro ciclo senza sosta. Se però si aggiunge dell' AMPc, è possibile bloccare tutte le cellule in una fase inesistente in natura, chiamata G zero. Infatti questa sostanza impedisce alle microfibrille di tornare ai loro poli d'origine, e ciò ferma il processo di mitosi. Altre cellule si bloccano naturalmente dopo G2, (fase stop): ripartono in certe condizioni, e si ri-fermano quando sopraggiungono altre condizioni (si pensi alle cellule della cute, che normalmente in un individuo adulto rimangono costanti e che in particolare condizioni (ferite) invece iniziano una produzione particolare per la cicatrizzazione, fermandosi a cicatrizzazione avvenuta.)

Fase di Sintesi

Durante la fase di Sintesi si duplica il DNA che sta sui cromosomi. Per fare ciò i cromosomi si aprono in due secondo una linea longitudinale, restando uniti in un punto detto centrosoma. Prendiamo in considerazione un cromosoma. Adesso che il cromosoma è aperto, anche la doppia elica del DNA è aperta in due singoli filamenti. Inizia la duplicazione, secondo il procedimento che abbiamo visto.

Fase G2 e Mitosi

Nella cellula, tra i tanti organuli, ce ne sono due, i centrioli, che divengono molto importanti in questa fase. Un centriolo è una struttura dotata di piccole fibre proteiche (fibrille). I centrioli stanno appaiati su uno dei due poli del nucleo. In fase G2 uno dei due centrioli si sposta migrando al polo opposto. Avremo quindi un centriolo su un polo, e l'altro sull'altro.

Durante questa fase, contemporaneamente allo smembramento della membrana nucleare, le fibrille dei centrioli si allungano, creando una sorta di rete di contenimento per il materiale nucleare, rete prima rappresentata dalla membrana nucleare. Queste fibrille sono di due tipi: macrofibrille (più grosse) e microfibrille (più sottili). Le prime si uniscono a vicenda giunte sull' equatore del nucleo, le altre no. Poichè il nucleo verrà ad essere circondato da queste fibre che vanno dal polo nord al polo sud unendosi all'equatore, le chiameremo fusi mitotici.

Nel frattempo, al microscopio, si iniziano a vedere i cromosomi in forma di tetradi, e tutte le coppie di cromosomi incominciano a spostarsi verso la linea equatoriale. Una volta che tutti sono appoggiati sulla piattaforma equatoriale (due cromatidi sopra l'equatore, due sotto, il centrosoma perfettamente sulla linea equatoriale), le micorfibrille che non si erano legate tra loro come le macrofibrille, si legano una a mezzo centrosoma, e l'altra all'altra metà, dividendolo così in due parti. Poi iniziano ad accorciarsi e portano con sè, verso i rispettivi poli,i pezzi di cromosomi.

Una volta che tutti i cromosomi sono divisi tra polo nord e polo sud, le fibrille scompaiono e si formano due membrane nucleari, mentre la membrana cellulare si strozza al centro finendo col dividersi: abbiamo così due cellule, ognuna col corredo cromosomico completo. Naturalmente esse saranno più piccole della cellula madre (infatti passeranno subito in fase G1), ma l'importante è che hanno il corredo cromosomico completo.

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Nota - Il cariogramma

I cromosomi in una cellula sono visibili solo in fase mitosi, poichè nelle altre fasi sono de- spiralizzati (in particolare in fase sintesi, sono de-spiralizzati per poter essere copiati ecc ecc). Una volta prese delle cellule che si duplicano velocemente (es: bulbo di un capello) le si blocca in fase Mitosi mettendo nel terreno di coltura della colchicina. In particolare le si blocca nella META fase, la fase più interessante nella mitosi. In generale la mitosi di divide in quattro fasi: PRO fase, META fase, ANA fase, TELO fase

Nella metafase i cromosomi sono a forma di tetradi con al centro il centrosoma. Una volta che si dispone di cellule bloccate in questa situazione le si mette tra due vetrini. Si premono i vetrini rompendo le cellule, così che al microscopio sono visibili i cromosomi. Si fanno numerose foto a porzioni di visuale,le si ingrandisce tutte dello stesso numero di volte, si ritagliano dalle foto i cromosomi, senza dimenticarne nessuno e senza metterne altri "due volte", e si numerano nel seguente modo:

1) si mettono in fila dal più grande al più piccolo i cromosomi con il centromero al centro (metacentrici)

2) si mettono in fila dal più grande al più piccolo i cromosomi con il centromero spostato in basso o in alto (il che è lo stesso) (terocentrici)

3) si mettono in ordine i cromosomi acentrici (quelli più piccoli); si numera il tutto procedendo dai metacentrici agli acentrici.

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La Meiosi

La meiosi è un procedimento con il quale una cellula produce altre cellule che hanno l'importante caratteristica di possedere metà corredo cromosomico (= cellule aploidi, cellule sessuali). Per avere una meiosi occorrono due divisioni cellulari, e alla fine della meiosi ci saranno 4 cellule. Quando la cellula ha duplicato il suo DNA (ciò è uguale alla fase Sintesi nella mitosi), i cromosomi, sotto forma di tetradi, si dispongono su due piastre equatoriali (la cellula ha un corredo doppio: 2*2n cromosomi).

Poichè tutti i cromosomi stanno nel nucleo e sono molto vicini uno all'altro, è possibile che dei cromatidi si spezzino. Naturalmente gli enzimi ligasi ripareranno il danno, ma è possibile (accade molto spesso) che ri-attacchino i cromatidi ai cromosomi sbagliati. Due cromosomi così possono scambiarsi due cromatidi. Questo processo si chiama crossing over. Ciò non comporta danni, poichè il patrimonio genetico risulta mescolato ma non variato.

Il crossing-over porta anche un vantaggio: permette l'aumento del numero di combinazioni dei cromosomi, date due cellule che si uniscono, e abbiamo detto che una maggiore variabilità porta ad una maggiore possibilità di adattamento della specie e quindi ad una maggiore probabilità di sopravvivenza della stessa.

L'unità di misura Sturtevant

E' più probabile che la frattura del crossing-over separi due geni lontani uno dall'altro che due geni vicini. Diremo quindi che, maggiore è la distanza tra due geni, maggiore è la frequenza di ricombinazione. Se due geni (A e B) su un cromosoma c sono interessati dal fenomeno del crossing-over 10 volte su 100, durante la divisione cellulare, diremo che la frequenza di ricombinazione è del 10% e diremo (per definizione) che la loro distanza sul gene è di 10 unità sturtevant (u.s.). Considerando un altro gene, C, del cromosoma c, e studiando quante volte A e C sono interessati dal crossing-over possiamo stabilire la distanza in u.s. che separa A da C. Supponiamo che la distanza risulti di 15 u.s.. Potremmo avere due casi: o C dista da B 15-10=5 u.s., oppure se A si trova tra B e C, avremo che B e C distano 15+10=25 u.s.

Per stabilire quale sia la misura giusta si prendono in considerazione B e C, e si vede quante volte essi vengono interessati dal crossing-over. Se vengono interessati circa il 5% delle volte la misura giusta sarà la prima; se invece saranno interessati il 25% delle volte, la misura giusta sarà la seconda. Con questo metodo è possibile fare la cosiddetta mappatura del cromosoma. Nel frattempo, mentre la membrana nucleare scompare, i centrioli formano le macrofibrille che costruiranno la rete di contenimento. Le microfibrille provenienti da nord si attaccheranno ai cromosomi della piastra superiore, mentre le microfibrille che provengono dal centriolo sud si attaccheranno ai cromosomi della piastra equatoriale inferiore.

Successivamente le microfibrille si ritirano, portando ai due poli i cromosomi. Si formano quindi due cellule: esse hanno ancòra il corredo cromosomico completo (ogni cellula: 2n). Queste cellule subiscono però un'ulteriore divisione (simile alla mitosi: 1 piastra equatoriale, le microfibrille separano in due il centrosoma di ogni cromosoma) cosicché le cellule alla fine prodotte (4 cell.) avranno n cromosomi (cellule apoidi, ossia con metà corredo cromosomico). Il corredo cromosomico tornerà completo quando si uniranno due cellule sessuali.

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Nota - Microscopio ottico e microscopio elettronico

Il microscopio ottico si basa sui seguenti principi:

- luce visibile e non visibile (600 to 220 nm) - lenti per deviare il fascio di luce - sostanze colorate per vedere la cellula visibile

Quando la luce passa attraverso la cellula messa tra due vetrini possiamo deviarla attraverso dei sistemi di lenti (obiettivo e oculare) in modo da ottenere un ingrandimento dell'immagine. Infatti noi possiamo vedere gli oggetti poichè essi riflettono certe lunghezze d'onda e ne assorbono altre.

Le cellule però prese singolarmente sono pressocchè trasparenti, e così per renderle visibili bisogna metterle a contatto con dei coloranti. E' opportuno scegliere dei coloranti specifici, in modo che immettendo vari coloranti nella cellula uno si attacchi al nucleo, un'altro alla membrana e così via.

Abbiamo detto che le lenti hanno la funzione di deviare il raggio di luce dopo che esso ha colpito la cellula, in modo da ingrandire l'immagine stessa della cellula. E' importante però che le lenti abbiano anche un alto potere di risoluzione, poichè altrimenti si ha una immagine grande ma confusa.

Il potere di risoluzione è la capacità delle lenti di far distinguere due punti come due entità distinte. Esso è legato principalmente alla qualità delle lenti. Se le lenti sono scadenti si possono ingrandire due punti 1000, 1500 o 2000 volte, ma non è possibile distinguerli: si vede una macchia più o meno grande. Se invece le lenti sono di alta qualità e hanno quindi un grande potere di risoluzione, si vedono i due punti ben distinti.

Considerando delle lenti di alta qualità, la capacità di risoluzione aumenta con l'aumentare degli ingrandimenti, fino a 1500x. Se ingrandiamo due punti oltre le 1500x la capacità di risoluzione invece inizia a diminuire. Oltre a ciò il microscopio presenta un limite dettato dalle leggi fisiche.

Infatti è impossibile vedere un oggetto servendosi di una lunghezza d'onda più grande di esso. L'onda luminosa infatti non verrà riflessa o assorbita cosicché noi non potremo capire se c'è un oggetto o no, poichè come abbiamo detto prima, noi vediamo gli oggetti se e solo se essi riflettono o assorbono determinate lunghezze d'onda.

Quindi, se un microscopio ottico sfrutta lunghezze d'onda corte fino a 220 nm, non sarà possibile vedere oggetti a distanza minore di 220 nm.

Il microscopio elettronico si basa sugli stessi principi del microscopi ottico, ma su diversi modi di applicare questi principi:

- al posto della luce visibile o non visibile si usano del fasci di elettroni - al posto delle lenti si usano dei campi elettrici, per deviare gli elettroni - al posto delle sostanze coloranti si usano delle sostanze più o meno capaci di assorbire gli elettroni

I fasci di elettroni che si usano al posto delle onde luminose innanzitutto hanno traiettorie lineari e non ondulatorie, così non è possibile teoricamente vedere oggetti piccoli quanto gli elettroni stessi. Una volta che essi hanno oltrepassato la cellula, trattata con sostanze più o meno capaci di bloccare gli elettroni, vengono deviati da appositi campi elettrici. Poi i fasci andranno ad impressionare uno schermo o una lastra fotografica, dando l'immagine dell'oggetto analizzato.

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La cellula

La membrana cellulare

La cellula è una entità che vive e che reagisce alle sollecitazioni ambientali. E' divisa e protetta dall'ambiente dalla membrana cellulare. La membrana cellulare rappresenta una via selettiva di accesso per le sostanze che devono entrare, e una via di uscita per le sostanze di scarto o per i prodotti della cellula. Sono molto poche le sostanze che possono entrare o uscire dalla cellula senza subire controlli (una di queste è l'acqua), e proprio per questo si può affermare che la membrana cellulare è attiva e dinamica.

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Nota - Le soluzioni fisiologiche

E' importante per la vita della cellula che essa si trovi in un ambiente isotonico (= con la sua stessa concentrazione, circa [NaCl] = 1M). Se infatti mettiamo una cellula in una soluzione acquosa più concentrata (es: [NaCl] > 1M, soluzione ipertonica) l'acqua della cellula tenderà ad uscire, e la cellula apparirà strizzata.

Se invece mettiamo una cellula in una soluzione meno concentrata (es: [NaCl] < 1M, soluzione ipotonica) l'acqua tenderà ad entrare nella cellula, e la cellula apparirà gonfiata. In entrambi i casi la cellula subirà danni o verrà distrutta.

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La struttura della membrana cellulare

La membrana cellulare è costituita da un doppio strato fosfolipidico. I fosfolipidi sono vicini tra loro, ma si possono muovere, infatti la membrana cellulare dev'essere resistente ma anche elastica. Il movimento dei fosfolipidi è simile al movimento che potrebbe avere un doppio strato di sferette tenuto insieme da due superfici. Il giusto compromesso tra coesione ed elasticità si raggiunge grazie al colesterolo e ai radicali saturi. Se c'è troppa abbondanza di colesterolo si verifica una diminuizione della elasticità della membrana (sclèrosi). La stessa cosa accade anche se ci sono troppi radicali liberi.

Il capping

Il capping è il veloce concentrarsi di particolari molecole in una particolare zona della membrana. Nella membrana cellulare oltre ai fosfolipidi esistono anche altre particolari molecole che seguono i movimenti dei fosfolipidi. Quando queste, in particolari condizioni, passano in una determinata zona della cellula possono essere bloccate; in questo modo lì si forma un ammasso di queste molecole.

Le proteine di membrana

Sulla membrana cellulare trovano posto anche delle proteine, che possono essere endocellulari, esocellulari (extracellulari) o proteine di transmembrana. Le proteine (è il caso delle proteine di membrana) oltre alla struttura terziaria o quaternaria possono presentare altre strutture, tra le quali oligosaccaridi o grassi. Infatti i radicali liberi delle proteine possono legarsi (= reagire) con piccole molecole di oligosaccaridi o grassi, formando rispettivamente glicoproteine e lipoproteine. Nel caso che entrambe le sostanze si leghino ad una proteina, essa verrà chiamata glico-lipo proteina.

Le fibre nervose

Per presentare altri tipi di proteine di membrana consideriamo un embrione e al suo interno un gruppetto di cellule che si stanno per differenziare per dare origine al sistema nervoso. Sulle membrane di questo gruppo di cellule che si stanno differenziando ci sono delle particolari proteine di membrana che vengono attratte fuori della membrana, verso altri luoghi dell'embrione. Questa attrazione è dovuta alla struttura chimica delle proteine in questione e dell'ambiente esterno. Esse non si separano dalla membrana della loro cellula, ma allungano delle sottili e lunghe braccia (fibre nervose), con le quali raggiungono ogni punto dell'embrione. Affinchè questo processo avvenga in modo preciso, senza che ci siano concentrazioni inutili di fibre nervose o zone senza alcuna fibra, esistono delle vie precostituite che le fibre nervose saranno indotte a seguire. I trasportatori ed i recettori sono altri tipi di proteine di membrana.

I trasportatori

Alcune proteine di membrana hanno la funzione di trasportare sostanze e composti dentro e fuori dalla cellula. Ci sono due principali metodi di trasporto: quello semi-attivo e quello attivo. NB: una sostanza (escluse rare eccezioni) può entrare nella cellula, a prescindere dalla concentrazione, se e solo se esiste un recettore o un trasportatore specifico per essa.

Il trasporto selettivo o semi-attivo

Le proteine possono trasportare attivamente una sostanza se e solo se il trasporto avviene da una zona dove la sostanza è più concentrata ad una zona dove essa è meno concentrata (trasporto in accordo con la pressione osmotica). Da qui il termine semi-attivo.

Il trasporto attivo

Le proteine possono trasportare attivamente una sostanza anche se il trasporto avviene da una zona dove la sostanza è meno concentrata ad una zona dove essa è più concentrata (= trasposto anche contro la pressione osmotica). Da qui il termine attivo. Il trasporto attivo avviene attraverso delle pompe (ioni) o attraverso vari meccanismi, e necessita di energia, fornita dall'ATP.

Un altro tipo di proteine di membrana sono quelle che si riuniscono sulla superficie interna della membrana stessa formando il citoscheletro.

I recettori

Un recettore è una proteina di transmembrana che sulla sua parte esterna ha un sito capace di riconoscere una determinata molecola. Naturalmente esistono moltissimi recettori, ognuno specializzato nel riconoscere una certa sostanza. Quando un recettore ha rilevato la presenza di una molecola all'esterno della membrana cellulare, ci possono essere due casi:

1) (più frequente): il recettore trasmette con la sua parte endocellulare l'informazione presenza della sostanza x, e a seconda del tipo di sostanza che è stata rilevata, la cellula aziona i meccanismi più appropriati al caso.

2) (meno frequente): il recettore porta all'interno della cellula la sostanza che ha sul sito. Esempio del Recettore - caso 1): Gli ormoni sono delle sostanze prodotte dalle ghiandole. Queste sostanze vagano nel sangue ma agiscono solo su particolari organi (detti organi bersaglio) poichè essi hanno dei recettori specifici per quegli ormoni.

Un trasportatore è una proteina che ha esclusivamente il compito di trasportare da fuori a dentro e viceversa delle molecole.

I recettori ed il differenziamento

I recettori hanno anche un'altra importante funzione, che essi svolgono durante il differenziamento cellulare. La prima fase del differenziamento non è ancòra ben conosciuta, anche se si immagina che il nucleo comandi alla cellula di creare delle molecole sulla membrana.

Nella seconda fase i recettori di una cellula si accorgono della presenza di queste molecole sulla membrana della cellula vicina e viceversa, e mandano l'informazione al nucleo. A questo punto probabilmente nel nucleo avvengono dei meccanismi tali da liberare alcuni geni Promotori dai loro Repressori, e così avremo il differenziamento.

I recettori ed il sistema immunitario

Un esempio dell'importanza dei recettori può essere dato se consideriamo le cellule adibite alla difesa dell'organismo, e in particolare i linfociti. I linfociti sono uno dei tipi di cellule sospese nel plasma. L'insieme di queste cellule e del plasma si chiama sangue. I linfociti hanno sulla loro membrana molti recettori, in grado di riconoscere le molecole estranee al corpo umano.

Quando un determinato batterio x entra nel sangue, poichè esso è ricoperto da molti oligosaccaridi oligo-x, i recettori dei linfociti si accorgono di lui, riconoscendo gli oligo-x come sostanze non-self. Come nel caso (1) i recettori comunicano ai linfociti la presenza del Bat-x, e i linfociti iniziano a moltiplicarsi velocemente e a differenziarsi, iniziando a produrre anticorpi specifici per il Bat-x .

I virus dell'influenza e i virus HIV1

L'influenza solitamente si prende ogni anno poichè il DNA del virus omonimo cambia ogni anno, cosìcchè quando esso penetra nel batterio, vengono create delle sequenze di zuccheri diverse da quelle dell'anno precedente, per le quali quindi gli anticorpi sono inutili. Su un meccanismo simile si basa il virus HIV1 (virus dell'AIDS), con la differenza che egli cambia sequenza ogni generazione (= ogni due o tre ore).

Se solo 1 virus riesce a sfuggire agli anticorpi creati per la sua generazione, quando egli si riproduce sarà diverso, e la cellula dovrà produrre altri anticorpi: se solo uno dei virus della II° generazione sfugge, per la III° generazione bisognerà creare dei nuovi anticorpi e così via. Il fatto grave avviene quando ad un certo punto i linfociti considerano la sequenza di zuccheri di una generazione come self, e smettono di combatterla.

Il Citoplasma

Il citoplasma è una sostanza che riempie tutta la cellula, delimitata dalla membrana cellulare. All'interno del citoplasma si trovano tutti gli organuli indispensabili per la vita della cellula. Nelle cellule eucariote c'è anche il nucleo, mentre nelle cellule procariote esso non c'è. In entrambi i tipi di cellule c'è il DNA, che nelle cellule eucariote sta nel nucleo

Il reticolo endoplasmatico

La membrana cellulare non è regolare, ma forma numerose ed intricate rientranze dette cisterne , che giungono fino al nucleo, dividendo il citoplasma in tante parti. L'insieme di queste rientranze si chiama reticolo endoplasmatico. Il reticolo endoplasmatico si presenta con due diversi aspetti: liscio e rugoso.

Nel reticolo endoplasmatico liscio si verifica la formazione di tutte le sostanze che verranno secrete dalla cellula, a parte le proteine, prodotte nel reticolo rugoso.

Il reticolo endoplasmatico rugoso si chiama così perchè sono presenti delle rugosità (ribosomi) sulla membrana. Questi ribosomi (ribosomi-out) hanno il compito specifico di costruire le proteine che dovranno uscire dalla cellula, mentre i ribosomi che stanno all'interno della cellule (nel citoplasma, ribosomi-in) costruiscono le proteine che rimarranno all'interno delle cellule. E' naturale quindi che l' mRNA contenga anche le informazioni su "dove andare"; esso infatti dovrà avvicinarsi ai ribosomi-in o ai ribosomi-out.

Se devono essere prodotte proteina tutte dei tipo x in parte per restare all'interno della cellula (x -in ) e in parte per uscirne (x -out), avremo due RNA messaggeri diversi. Essi alla fine daranno origine alla stessa sequenza di polipeptidi, ma l' mRNA che contiene le informazioni per la proteina che verrà portata fuori (mRNAx-out) avrà delle basi in più che permetteranno l'unione al ribosoma-out. Una volta avvenuta l'unione mRNAx-out/ribosoma- out, un enzima toglie queste basi in modo che la la proteina x -out sia uguale in tutto e per tutto alla x -in.

L'apparato di Golgi

Quando le proteine x-out sono pronte, nelle cisterne avviene la glicosilazione (unione di oligosaccaridi, con sequenze diverse da specie a specie: una specie di copyright). Quando le proteine giungono alla fine della cisterna, formano delle piccole escrescenze, che poi si staccano e si uniscono tra loro, formando dei palloncini pieni di proteine. Essi, con un fenomeno simile a quello di separazione dalle cisterne, si introducono nell'apparato di Golgi, una sorta di magazzino di proteine.

Nell'apparato di Golgi le proteine ricevono l'ultimo tocco della glicosilazione. Con lo stesso meccanismo con il quale sono entrate, le proteine escono dall'apparato di Golgi, sottoforma di palloncini pieni di proteine (vesciscole) e possono seguire due strade: se devono uscire subito dalla cellula escono, se invece dovranno uscire in un futuro si immettono in serbatoi specifici (vacuoli), che a seconda del tipo di sostanze contenute si chiamano: liposomi (contenitori di grassi), lisosomi (enzimi da taglio), siderosomi (Fe)... .

Il metodo con il quale le vescicole riconoscono il vacuolo giusto dove andare non è ancora ben conosciuto. Si è notato soltanto che le vescicole che vanno verso la membrana cellulare sono ricoperte da una particolare proteina (clatrina), mentre le vescicole che si dirigono verso i vacuoli sono sprovvisti di questa proteina. Non si sa però dove, come, quando e perché la clatrina venga prodotta.

I mitocondri

Il mitocondrio è l'unica struttura cellulare alquanto indipendente. Essa infatti contiene delle molecole di DNA proprio, e la sua attività è indipendente da quella del nucleo.

Se una cellula ha n mitocondri, le due cellule figlie (non importa se per mitosi o meiosi) avranno n/2 mitocondri ciascuna. Ebbene, in ogni cellula i mitocondri procederanno da soli alla loro duplicazione, per ristabilire il loro numero iniziale n.

Data questa notevole indipendenza esiste una teoria secondo la quale il mitocondrio sarebbe ciò che rimane (dopo l'evoluzione) di un organismo vivo che un tempo avrebbe infettato una cellula, e avrebbe instaurato con essa una sorta di cooperazione, rendendo questa cellula più adatta alla sopravvivenza in confronto alle altre. Ciò potrebbe anche spiegare anche come mai il mitocondrio è l'unico organulo ad avere una doppia membrana (infatti derivando da un essere come ad esempio un batterio la membrana più esterna sarebbe la vera membrana dell'essere, e la membrana più interna sarebbe quella del nucleo o di qualche organulo interno, ora l'unico rimasto).

Particolarità del DNA dei mitocondri

Consideriamo una cellula figlia. Il DNA del suo nucleo è formato per metà dal DNA materno e per metà dal DNA paterno. Poiché il DNA del padre è presente solo nel nucleo della cellula, il DNA presente nel citoplasma della cellula figlia (DNA dei mitocondri) deriva solo dal DNA dei mitocondri della madre. Esso quindi può essere sfruttato per chiarire casi di dubbia maternità (rari ma esistenti) o altri problemi come malattie derivanti dalla linea genetica materna.

La funzione dei mitocondri

La funzione del mitocondrio consiste nel fornire energia alla cellula. Nel mitocondrio si chiude il ciclo del carbonio, che inizia nelle piante.

(piante) CO2 + H2O + Energia = C6H12O6 (glucosio) + O2 (mitocondrio) C6H12O6+ O2 = CO2 + H2O + Energia

L'energia liberata nei mitocondri rompendo i legami del glucosio viene immagazzinata nell' ATP (Adenosin Tri Fosfato), che la libererà quando verrà scisso il ADP (Adenosin Di Fosfato) + P. NB: in una cellula ci sono in media 1 miliardo di molecole di ADP. Per ricomporre poi l'ADP+P in ATP ci vorrà naturalmente dell'energia, che si otterrà dalla demolizione di sostanze organiche.

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Nota - L'immunodiffusione

Consideriamo una proteina (antigene) A con 100 determinanti antigenici, e degli anticorpi (anti-A); consideriamo poi una proteina B con 100 determinanti antigenici, di cui 80 in comune con A, e C, con 100 di cui 10 in comune con A.

La reazione antigene A + quantità x di anticorpi A avverrà al 100% antigene B + quantità x di anticorpi A avverrà al 80% antigene C + quantità x di anticorpi A avverrà al 10%

Ponendo in 3 differenti provette quantità uguali di proteine con uguali quantità di anticorpi A, otterremo diverse quantità di precipitati: maggiore nella provetta contenente A + anticorpi A, un po' minore nella provetta contenente B+anticorpi A, molto piccola nella provetta contenente C+anticorpi A. Considerata 100% la quantità della prima provetta, le altre quantità dovrebbero stare in proporzione 80 e 10%.

Lo spettrofotometro

Le quantità di precipitato possono essere analizzate pesandole oppure usando lo spettrofotometro. Lo spettrofotometro è uno strumento che quantifica l'assorbimento di una determinata lunghezza d'onda. Disciogliendo i precipitati delle provette in volumi di liquido uguali otterremo differenti concentrazioni di proteine, e quindi facendo passare della luce attraverso queste soluzioni, avremo diverse quantità di assorbimento. Assegnata la quantità 100% alla luce assorbita passando attraverso la soluzione 1, le altre quantità dovrebbero risultare in rapporto 80 e 10%.

L'immunodiffusione nel gel di Agar

Se immettiamo nel gel degli anticorpi Anti-A, e in un pozzetto mettiamo la proteina A, accade che questa si diluisce nel gel e precipita quando raggiunge un certo rapporto con gli anticorpi anti-A. Il precipitato è visibile come una linea curva intorno al pozzetto. Se la proteina è pura il raggio di questa circonferenza è x. Se usiamo la proteina B che reagisce con 90 dei suoi 100 determinanti antigenici con anti-A, essa precipita ad una distanza t

Mettendo in vari pozzetti vicini diversi antigeni, è possibile ottenere svariate informazioni su di essi. Infatti a seconda del modo in cui reagiscono (precipitando) a contatto con gli anticorpi anti-A, si può capire quanto essi siano affini agli anticorpi e quanto siano simili tra loro. In particolare: considerati 2 antigeni diversi (posizionati in due pozzetti che immaginiamo agli estremi della base di un triangolo) e considerato il pozzetto contenere l'anticorpo anti-A (che immaginiamo sul vertice del triangolo) abbiamo che:

1) se gli antigeni hanno gli stessi determinanti antigenici (= affinità del 100%) la linea di precipitazione sarà una semicirconferenza con centro nel pozzetto degli anti-A.

2) se gli antigeni non hanno alcun determinante antigenico in comune (= affinità 0%) si formeranno due linee rette di precipitazione, che si incrociano.

3) se gli antigeni hanno alcuni determinanti antigenici in comune (es: 30 o 60%) la linea di precipitazione sarà una semicirconferenza con in più un segmento ad essa tangente (detto baffo), originato dai determinanti antigenici presenti in uno solo dei due antigeni. Più è accentuato il baffo, maggiore è la diversità tra i due antigeni (al limite si ritorna al caso 2)

Studio di patologie attraverso la concentrazione di proteine

Ammettiamo che una patologia produca nei soggetti colpiti un aumento della concentrazione di una proteina x. In tal caso, studiando la concentrazione della proteina x, è possibile risalire all' esistenza e allo sviluppo della malattia.

Preparando un gel con degli anticorpi Anti-x, e immettendo in un pozzetto una certa quantità di urina di un individuo sano, accadrà che le proteine x lì sicuramente presenti, precipiteranno con un raggio r. In un individuo malato, la cui urina contiene maggior quantità di proteine, queste precipiteranno con un raggio x>r, e così avanti, più uno è malato, maggiore sarà il raggio di precipitazione.

La immunoelettroforesi ed immunoelettroforesi a due dimensioni

Questi due procedimenti sfruttano contemporaneamente i vantaggi dell'elettroforesi e della immunodiffusione.

Immunoelettroforesi semplice: si stratifica tra due vetrini un gel , nel quale sono stati disciolti degli anticorpi.. Si creano dei pozzetti nei quali si immettono gli antigeni. Successivamente si applica il procedimento della elettroforesi, trattando il gel come si trattava la striscia di poliacrilammide. Gli antigeni, sottoposti al campo elettrico, migrano e si formano chiare linee di precipitazione.

Immunoelettroforesi a due dimensioni: questo procedimento è simile al precedente, ma permette di ottenere una migliore risoluzione. Dopo aver praticato per esempio due pozzetti, si applica l'elettroforesi come prima. Successivamente però si rifà l'elettroforesi avendo cura di ruotare il substrato di gel di 90°. I risultati, che vanno sempre "letti" attraverso le bande di precipitazione, presenteranno una maggiore accuratezza.


L'energia ed i composti organici

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Nota - Simbologia

(E) = energia Il simbolo (E) compare nelle reazioni più importanti dove si libera o c'è bisogno di energia. ox = ossidato red = ridotto Co = pro-enzima proenzima presente nella cellula, molto sensibile al CH3COOH

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1) Una volta che la cellula si è procurata delle sostanze utili (alimenti) prima di tutto li scompone in composti più semplici che potranno venir meglio sfruttati(1), successivamente li trasforma con la glicolisi non ossidativa (2) ed infine nei mitocondri li ossida (3).

a) zuccheri complessi ... glucosio

b) proteine ... AA

c) grassi ... acidi grassi

2) Avviene ora la glicolisi non ossidativa (ossia senza ossigeno, si tratta quindi di un processo anaerobico).

a) glucosio ... acido piruvico

b) AA ... acido piruvico

c) acidi grassi ... acetil Co-A (CoEnzima A)

2a) Glucosio + ATP(E) = Glucosio6P(E) + ADP

Glucosio6P + enzimi = Fruttosio6P Fruttosio6P + ATP(E) = Fruttosio1,6P(E) + ADP Fruttosio1,6P + enzimi = libera 2 elettroni (NAD+ > NADH)

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Passando da NADox a NADred (Nicotin Ammide Adenosin di-Fosfato) sono stati acquistati degli elettroni, che così hanno abbassato il loro livello di energia, ossia hanno liberato energia (E). Questa energia viene sfruttata per rendere possibile la reazione ADP + P = ATP(E).

La stessa operazione può essere resa possibile dalla riduzione di una sostanza simile al NAD, il FAD: FADox + H+ = FADred + (E)

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Fruttosio + enzimi = 2 * 3PGliceraldeide 3PGliceraldeide = Acido Piruvico + P P + ADP + (E) = ADP

3) A questo punto l'acido piruvico può seguire tre strade: la fermentazione alcoolica, la fermentazione lattica (meccanismi anaerobici, molto "antichi") o la forsforilazione ossidativa (meccanismo più moderno).

3a) La fermentazione alcoolica Acido piruvico = etanolo + CO2 + (E)

3b) La fermentazione lattica Acido piruvico + 2e- = acido lattico + (E)

3c) La fosforilazione ossidativa

Acido piruvico + O2 + enzimi = Acetil-CoA + CO2 2 elettr (NAD+ > NADH)

(NB: l' Acetil-CoA derivava anche dagli acidi grassi) L' Acetil-CoA entra nel mitocondrio, e lì inizia il Ciclo di Krebs

Quando si chiede all'organismo di compiere lavoro esso attinge alle riserve di energia possiede e che si trova sottoforma di energia chimica. Innanzitutto consuma del glucosio, e per fare ciò avrà bisogno anche dell'ATP e di ossigeno. Il glucosio viene prelevato dal sangue, che è una riserva immediata di zucchero; successivamente, se lo sforzo è più prolungato, dal fegato, nel quale il glucosio si trova sottoforma di glicogeno; come ultima risorsa il corpo passa allo sfruttamento dei grassi. L'ossigeno nel frattempo è procurato dalla respirazione, che infatti durante uno sforzo fisico si fa più veloce, poiché il corpo ha bisogno di maggiori quantità di ossigeno. Sappiamo che la demolizione del glucosio dà origine all'acido piruvico. Se l'ossigeno non è sufficiente per rendere possibile la reazione (*), i muscoli, nei quali avviene la reazione, hanno la possibilità di dirottare l'acido piruvico nel meccanismo anaerobico della fermentazione lattica, che porta ad un accumulo di acido lattico. A questo punto se la concentrazione dell'acido lattico sale troppo, essa blocca il meccanismo di attività dell'organismo che va in riposo forzato. Durante questo riposo le cellule devono trasformare l'acido lattico, consumando energia, in acido piruvico, per rimetterlo in circolo.

Il Ciclo di Krebs

(**)Acetil-CoA + acido ossalacetico(4C)= acido citrico(6C) + CoA

Acido citrico + enzimi = acido alfa-chetoglutarico(5C) + CO2 + elettroni (NAD+ > NADH)

acido alfa-chetoglutarico = acido succinico + elettroni (NAD+ > NADH) acido succinico = acido fumarico + elettroni (NAD+ > NADH) acido fumarico = acido malico + elettroni (NAD+ > NADH) acido ... = acido ossalacetico + elettroni (NAD+ > NADH)

acido ossalacetico = continua... (**)

I trasportatori di elettroni nella fosforilazione ossidativa

Quando dalle varie reazioni che abbiamo precedentemente esaminato vengono eliminati degli elettroni, essi vengono subito catturati dal NAD+ (ogni NAD+ cattura 2 elettroni), che diventa NAD-, e unendosi subito ad un H+, diventando NADH. L' NADH poi cede i due elettroni che vengono presi dai trasportatori e contemporaneamente libera l' H+.

Nelle cellule eucariotiche, che hanno i mitocondri, i trasportatori di elettroni sono presenti sulla membrana interna del mitocondrio, insieme a vari enzimi del ciclo di Krebs. Ci sono vari tipi di trasportatori che agiscono insieme. Tra questi trasportatori ci sono i citocromi. I citocromi sono delle proteine unite a gruppi capaci di ricevere e donare elettroni. Essi si passano gli elettroni, formando una catena di trasporto: ogni trasportatore, dopo essere stato ridotto, si ri-ossida donando l'elettrone al trasportatore successivo.

Il trasferimento di un elettrone da un trasportatore all'altro avviene con la liberazione di una piccola quantità di energia misurabile in eV (elettronVolt). Il trasferimento di due elettroni da NADH > attraverso i trasportatori > a Ossigeno dà una differenza di potenziale totale finale di 1.1 V, pari a 52 kcal/mol. Quando gli elettroni giungono all' O2, lo trasformano in O=, O=, e con 4H+ si ottengono due molecole di acqua.

I plastidi

I plastidi per certi loro aspetti sono simili ai mitocondri: hanno una doppia membrana e contengono DNA al loro interno; hanno però una struttura più semplice, generalmente ovoidale.

I plastidi sono di tre tipi: leucoplasti (senza pigmenti) eritroplasti (con pigmenti rossi) cloroplasti (con pigmenti verdi)

Tutti i plastidi possiedono dei ribosomi, dei grassi, e dei granuli verdi. Questi granuli verdi sono delle strutture simili alle cisterne del golgi, e sono paragonabili a tanti sacchetti larghi e bassi (tilacoidi) comunicanti tra loro. I tilacoidi al loro interno possiedono una cavità tilacoidea. I tilacoidi sono pieni di molecole di clorofilla (**) capace di assorbire le lunghezze d'onda di 600 nm (clorofilla A) e 700 nm (clorofilla b). Oltre a queste ci sono anche dei pigmenti detti carotenoidi, che assorbono le lunghezze d'onda tralasciate dalla clorofilla. Questi ultimi pigmenti sono costituiti da 2 vitamine A unite tra loro. L'energia solare che questi pigmenti assorbono sottoforma di radiazioni luminose, viene sfruttata per aumentare il livello energetico di alcuni elettroni (il contrario di ciò che avviene quando si rompono i legami dello zucchero e si libera energia).

L'energia permette di scindere l'acqua in ioni H e ossigeno:

2H2O + (E) = 4H+ + O2 + 4e- H+ + 2e- + NADP+ = NADPH

Gli elettroni portati dal NADH e la catena di trasportatori di elettroni rendono possibile la reazione ADP + P = ATP.

(**) La clorofilla è un pigmento formato da quattro anelli pentagonali uniti ad un atomo di magnesio mediante uno dei vertici che possiede un atomo di azoto al posto del carbonio. Uno dei quattro anelli ha una catena idrocarburica attaccata ad un atomo di carbonio.

Il ciclo di Calvin (fase che non ha bisogno della luce)

La via per fissare la CO2 è detta ciclo di Calvin, in onore del biochimico che più contribuì alla comprensione di questo processo. L' ATP (precedentemente formato (vedi pag. precedente) dona al Ribulosio 5-fosfato (5C) un atomo di fosforo (P), trasformandolo in Ribulosio 1,5- fosfato.

Ribulosio 1,5-fosfato (5C) + CO2 = Acido 3-fosfoglicerico Acido 3-fosfoglicerico + 2 ATP = Acido 1,3-fosfoglicerico Acido 1,3-fosfoglicerico + 2NADH + 2H+ = Gliceraldeide 3-fosfato

NB: Su sei molecole di Gliceraldeide 3-fostato, cinque vengono trasformate in Ribulosio 5- fosfato, per far proseguire il ciclo, mentre una molecola viene trasformata in Fruttosio 6- fosfato

Gliceraldeide 3-fosfato + Gliceraldeide 3-fosfato = Fruttosio 6-fosfato Fruttosio 6-fosfato = Glucosio 6-fosfato (6C) Glucosio 6-fosfato = .... saccarosio polisaccaridi (amido o cellulosa)

Il completamento del ciclo di Calvin per 6 volte porta alla sintesi di una molecola di zucchero 6C avendo iniziato da 6 CO2. Ad ogni ciclo viene fissata 1 molecola. La spesa per la sintesi dei carboidrati è:

3 molecole di ATP > ADP + 3P 2 molecole NADPH > NADP+ (per ogni CO2) ossia 18 ATP e 12 NADPH per ogni glucosio formato. Sia l' ATP che NADPH provengono dalle reazioni della fase luminosa.


La gametogenesi

Se consideriamo un embrione, esso è geneticamente maschio (M) o geneticamente femmina (F), poiché possiede dei geni XY o XX. Esso però fisicamente è ancora indifferenziato..In questa fase esistono soltanto delle creste genitali, "organi" primordiali comuni a maschi e femmine.

Successivamente se l'embrione ha DNA XY verrà prodotto l'ormone maschile (androgeno), che agirà sulle cellule delle creste, ed esse si trasformeranno in testicoli; se l'embrione ha DNA XX verrà prodotto l'ormone femminile (estrogeno) che agirà sulle creste e le trasformerà in ovaie.

I goni sono delle cellule primordiali (bivalenti) che daranno origine ai gameti (spermatozoi o uova). Se essi si trovano in un individuo maschio (spermatogoni) daranno origine agli spermatozoi, se si trovano in un individuo femmina (oogoni) daranno origine alle uova.

Il fatto che i goni siano influenzati dall'ambiente esterno è una prova che il differenziamento è determinato dalla de-repressione di certi geni, dovuta a cause esterne. Se infatti immettiamo un oogone in un individuo maschio otterremo comunque degli spermatozoi, e se immettiamo uno spermatogone in un individuo femmina otterremo delle uova. Ciò vale anche per le creste genitali: se immettiamo in un embrione femmina degli ormoni androgeni, prima che siano prodotti quelli estrogeni, accadrà che le creste si svilupperanno come se si trovassero in un individuo geneticamente maschio (naturalmente vale anche il vice-versa).

Ciò significa che nelle cellule di individui maschi e femmine esistono dei geni repressi che non si attiveranno mai naturalmente poiché non esistono i de-repressori adatti, ma potranno essere attivati se sussistono delle condizioni particolari (es: esperimento che immette ormoni inesistenti in un organismo).

Un altro esempio è il fatto che il fegato sia della trota F sia della trota M è capace di produrre vitellogenine (vedi più avanti), ma il fegato della trota M non le produce mai poiché non esiste nella trota M l'ormone femminile che induca il fegato a produrle. Se quest'ormone viene immesso artificialmente nella trota M, si avrà la produzione di vitellogenine.

Lo sviluppo degli spermatozoi

1) Gli spermatogoni si dividono per meiosi (corredo: 2n) 2) Gli spermatogoni si dividono per mitosi, diventano molto numerosi (corredo: n)

Differenziamento

3) Vengono attivati dei geni che fabbricano l'enzima acrosina in grandi quantità 4) L'acrosina va nei lisosomi 5) I lisosomi si uniscono in un unico grande lisosoma (acrosoma) che va a sovrastare il nucleo. 6) Il centriolo, diametralmente opposto all'acrosoma, sviluppa 9 microfilamenti e 2 macrofilamenti 7) Essi si trasformano gradualmente nella coda 8) I mitocondri si mettono intorno al centriolo (dovranno fornire l'energia per far oscillare la coda) 9) Tutti gli altri organuli che si trovano in una normale cellula si raccolgono in una sacca 10) Essi vengono eliminati, poiché divenuti inutili, e lo spermatozoo è sviluppato completamente.

Lo sviluppo delle uova

1) Gli oogoni si dividono per meiosi (cooredo: 2n)

2) Gli oogoni si dividono per mitosi (corredo: n) Da 1 oogone 2n otteniamo 1 oogone n e 3 cellule degeneri (ovuli polari) che verranno eliminati.

Differenziamento

3) La cellula uovo produce delle proteine di transmembrana (recettori) per le vitellogenine

4) La cellula uovo produce glicoproteine (recettori) per gli spermatozoi della stessa specie.

Maturazione

5) Le cellule follicolari circondano l'uovo, producono estrogeni

6) Tra le altre cose gli estrogeni inducono nel fegato la produzione di lipo e fosfo glico proteine

7) Poi gli estrogeni inducono la liberazione di Ca++ dalle ossa.

8) Il Ca++ fa si che le glico e fosfo-lipo proteine rimangano staccate nel sangue e non si uniscano a formare le vitellogenine.

9) Le cellule follicolari catturano le glico e fosfo-lipoproteine, e le immettono nell'uovo, dove esse si uniscono e assumono la forma di vitellogenine, mentre il Ca++ non supera la barriera delle cellule follicolari e rientra nel sangue.

10) L'uovo ha tutto ciò che gli serve (amminoacidi, lipidi, zuccheri, fosforo).


Cenni di sistematica

Gli organismi dei regni vegetale e animale, e i costituenti del regno minerale, sono stati divisi dall'uomo in molti insiemi e sottoinsiemi. Ognuno di questi sottoinsiemi contiene un gruppo di organismi che presentano un piano organizzativo comune (che presentano almeno una caratteristica comune).

Le suddivisioni sono arbitrarie: ad esempio posso dividere i vertebrati in: mammiferi, anfibi, rettili, uccelli, pesci; ma nulla vieta di dividere i vertebrati in eterotermi (= a sangue freddo) e omoeotermi (= a sangue caldo).

La scala discendente delle suddivisioni è la seguente:

REGNO es: animali, (vegetali, minerali) PHYLUM es: cordati CLASSE es mammiferi ORDINE es: carnivori, (primati, insettivori...) FAMIGLIA es canidi, felidi GENERE SPECIE ...

Tra un livello e l' altro esistono dei sottolivelli, che assumono vari nomi: ad esempio tra famiglia e genere si ha un sottolivello che può essere indifferentemente chiamato sotto-famiglia o super-genere.

NB: mentre tutti i livelli (genere, famiglia... phylum) possono avere una interpretazione soggettiva (non esiste per esempio una definizione di ordine), il livello SPECIE è oggettivamente definito.

Definizione moderna (concetto popolazionistico) di specie:

Una specie è un insieme di individui che: - sono interfecondi - danno prole feconda - hanno un patrimonio genetico comune

Le prime due condizioni sono necessarie ma non sufficienti, poiché esistono casi di animali di specie diverse che si possono accoppiare e dare prole feconda; la terza è la condizione basilare (necessaria e sufficiente), poiché praticamente "include" anche le altre due.

Definizione antiquata (concetto tipologico) di specie:

Precedentemente la definizione di specie era diversa (concetto tipologico): gli studiosi di sistematica esaminavano gli animali dal vivo, oppure imbalsamati nei musei e dalla "media" delle caratteristiche dei vari animali definivano i caratteri del rappresentante ideale di una data specie.

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Per più informazioni: 03389 347519

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