La radiofonia per i ragazzi negli Anni Trenta

Mastro Remoe il cantuccio dei Balilla di Radio Trieste

a cura di Chiara Meriani, per il corso di Storia del giornalismo e delle comunicazioni sociali, per il Diploma Universitario in Giornalismo, A.A. 1996-1997. Versione ipertestuale a cura di Francesco Meriani.



1. Introduzione

"Unione Radiofonica Italiana - Stazione di Roma 1 RO, trasmissione del concerto inaugurale..." : con queste parole, alle ore 21 del 6 ottobre 1924 viene ufficialmente diffusa per la prima volta in Italia la voce della radio. Inizia così anche per gli italiani il "miracolo radiofonico", accolto con emozione, incredulità ed entusiasmo. Quattro anni dopo in Italia si contano sei stazioni trasmittenti: Roma, Napoli, Milano, Genova, Bolzano, Torino. All'Uri (Unione Radiofonica Italiana) si è sostituito l'Eiar (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) e gli abbonati sono circa settantamila. Per tutte le stazioni settentrionali l'orario è dalle 16.40 alle 17.10 del pomeriggio; alle 17.05 cominciano invece quelle di Roma e Napoli.

Un anno dopo, nel 1929, anche a Trieste si sta parlando della nascita di una stazione radio, ormai ritenuta imminente: e se ne parla con un po' d'orgoglio, perchè l'emittente radiofonica è un privilegio da grande città. Ma i duecentocinquantamila abitanti di Trieste non sono l'unica ragione per dotare la città di un'emittente propria: motivi di strategia politica infatti richiedono la presenza di una voce italiana nelle città di confine, come Trieste e Bolzano appunto. Ufficialmente la radio arriva nel capoluogo giuliano nel 1931, il 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma: Palazzo Telve (la prima sede di Radio Trieste, in piazza Oberdan) si sta già preparando da tempo, e al momento dell'inaugurazione è già tutto ben che funzionante.

2. Le trasmissioni per i ragazzi

Fin dall'inizio, alla radiofonia italiana vengono assegnati tre compiti: informare, educare e divertire, e alla funzione educativa viene dedicata particolare attenzione. Nella rubrica della Stampa dedicata alla radio, Santi Savarino scrive: "non c'è mezzo più popolare e più potente della radio per elevare il livello della cultura generale dei popoli, e per costruire metodicamente un popolo" . L'impegno educativo della radio, dunque, si rivolge a tutti gli ascoltatori ma in particolare alle generazioni più giovani. Il pubblico in età scolare infatti (tra i sette e i dodoci anni) rappresenta l'audience più adatta per programmi semplici e diretti, comprensibili sia ai bambini che, potenzialmente, a larghe fasce di analfbeti. In quei primi anni di radiofonia però, la radio è ancora un lusso.

La rigida educazione borghese delle famiglie benestanti che se la possono permettere, spinge i genitori a limitare ai figli l'uso della radio. Sistemata nel salotto, spesso inaccessibile ai giochi dei bambini, la radio può essere manovrata solo dal capofamiglia. In questa situazione l'ascolto radiofonico dei ragazzi è rubato e dipendente, possibile in genere solo fino alle otto di sera, quando i bambini vengono mandati a dormire. Nonostante ciò, e nella prospettiva di un allargamento dell'ascolto radiofonico sia tra i ragazzi della borghesia che tra operai e contadini, l'Uri dedica al pubblico dei giovanissimi, fin dai primi anni, una parte importante della programmazione quotidiana. Già nel 1928 le trasmissioni per ragazzi coprono, da sole, il 5% della programmazione totale. Nel referendum indetto nel 1930, "il programma ideale per le giornate festive", il cantuccio dei bambini ottiene 2.186 preferenze, corrispondenti alla percentuale del 27.78%, piazzandosi così al dodicesimo posto. Sono invece più difficili da interpretare i risultati del referendum del 1940, nel quale gli ascoltatori devono assegnare ad ogni programma un sì od un no, senza tuttavia poter motivare la risposta: le trasmissioni per i bambini, reintitolate Camerata dei Balilla e delle Piccole Italiane, ottengono il 51% dei consensi, ma il 27% di voti contrari.

La prima trasmissione per ragazzi parte da Radio Milano nel 1925: l'Angolo dei Bambini, un programma-contenitore con brani musicali. E' però Cesare Ferri, un insegnante romano, l'ideatore della prima serie di trasmissioni scritte appositamente per i bambini; con l'approvazione e l'incitamento diretto di Mussolini, mette in onda Il giornale radiofonico del fanciullo da Radio Roma. I vari racconti del programma si rifanno quasi tutti al culto dell'eroe e delle glorie della patria, passate e presenti: sono spesso raccontini ingenui, che hanno lo scopo di instillare nella mente degli ascoltatori le virtù civiche e guerriere della nuova Italia costruita dal fascismo. Caratteristico dei programmi per bambini è l'uso spropositato di fantasiosi pseudonimi: il professor Ferri, o meglio Nonno Radio, viene affiancato da Zia Radio, la prima annunciatrice Uri, Maria Luisa Boncompagni. A Radio Milano prende in mano il cantuccio dei bambini lo scrittore e programmista Eiar Ettore Margadonna, il Mago Blù. A questi primi programmi ne seguono tanti altri: con il moltiplicarsi delle stazioni trasmittenti infatti, aumentano anche i vari cantucci per i bambini.

Particolarmente riuscita è la trasmissione di Angelo Nizza e Riccardo Morbelli, una delle più celebri coppie della radiofonia fra le due guerre: essi, insieme ad Egidio Storaci e Riccardo Massucci, danno vita nel '33 ad un programma per bambini centrato sulla figura di Topolino, su licenza della Walt Disney. Il successo è clamoroso, tanto che dall'orario pomeridiano la trasmissione viene trasferita in prima serata e, dal gennaio '34, nell'ascoltatissima fascia oraria dalle 13.10 alle 13.45. Principale motivo di questo successo è l'uso dei rumori accanto a quello della musica, e l'invenzione di una serie di personaggi accuratamente personalizzati e definiti da voci particolari e facimente riconoscibili. Proprio nel bel mezzo del successo del loro Topolino, Nizza e Morbelli preparano una nuova trasmissione, sempre indirizzata ai ragazzi: I Quattro Moschettieri, parodia del romanzo di Dumas. Nel 1936 a questa trasmissione viene abbinato un concorso a premi, attraverso la raccolta di 100 figurine, tra le quali l'introvabile Feroce Saladino: l'iniziativa ottiene un successo enorme, tanto da divenire fenomeno di costume. Le trasmissioni per i più giovani non si limitano allo stretto ambito radiofonico: con il loro carattere assistenziale e sociale tendono ad invadere, almeno in parte, il tempo libero dei ragazzi.

A questo scopo si organizzano incontri tra gli ascoltatori, gite culturali, visite organizzate ad impianti tecnici e militari e manifestazioni collettive, come l'invio di cartoline d'auguri per il compleanno di Vittorio Emanuele III. Ben presto il seguito di queste manifestazioni diviene così numeroso che si organizzano feste pubbliche, scampagnate ed intrattenimenti vari in cui i bambini vengono chiamati ad esibirsi. Le lettere entusiaste giunte nelle redazioni, convincono i dirigenti Eiar a non interrompere l'appuntamento con gli ascoltatori durante le vacanze estive: con grandi sforzi tecnici vengono realizzati collegamenti quotidiani con le colonie al mare ed in montagna dell'Opera Nazionale Balilla, per trasmettere i piccoli spettacoli organizzati con la partecipazione degli stessi bambini. Fino alla creazione nel 1933 dell'Ente Radio Rurale, il regime lascia ad ogni sede radiofonica una larga autonomia, pur esercitando un controllo costante sulle trasmissioni. Queste, comunque, non hanno mai carattere rigidamente locale, dato che gli apparecchi hanno di solito potenza e ricettività tali da cogliere le stazioni più lontane, anche perché in Italia le stazioni radio sono ancora pochissime e la ricezione di conseguenza è molto nitida; i piccoli ascoltatori quindi possono scegliere tra i programmi pomeridiani irradiati dalle stazioni radiofoniche delle varie regioni d'Italia.

L'inizio delle trasmissioni dell' Ente Radio Rurale, organo diretto dal presidente dell'Eiar Enrico Marchesi, incomincia invece a dare ordine e sistematicità agli spazi per bambini, rendendo le trasmissioni un po' più omologate ed un po' meno originali. In occasioni particolari comunque non mancano trasmissioni speciali, come quella di Granbassi e Ridenti per il Natale 1934, intitolata Il radioviaggio con l'Amico Lucio e Mastro Remo a Betlemme ai luoghi santi. L'Eiar ormai si rende conto della necessità di fornire programmi centralizzati ed unificati per le scuole e si prefigge di raggiungere con essi diversi obiettivi: promuovere lo sviluppo della radiofonia nel paese, rinnovare le forme e i contenuti dell'insegnamento, ma anche - e soprattutto - propagandare gli ideali e la politica del regime. L'avvento della radio nelle scuole livella ulteriormente le trasmissioni e limita ancora l'autonomia, anche creativa, delle emittenti locali. Scrive un segretario politico del fascio di Torino, pioniere della radio: "Ho iniziato la mia opera di pioniere tra i fanciulli delle scuole, il cui sogno più fervido è quello di possedere una radio... Come segretario politico ho nella radio un fattore magnifico e instancabile di propaganda patriottica." Sono soprattutto i radioamatori, i parroci e gli insegnanti a farsi in quattro per mettere a disposizione delle scuole i loro apparecchi privati.

Ma i radioprogrammi scolastici, che si svolgono regolarmente tre volte alla settimana, non raggiungono tutte le scuole d'Italia, perchè molte non riescono a dotarsi di un'apparecchio radiofonico: ostacoli sono il costo elevato, la difficoltà di reperire le radio sul mercato, lo scarso appoggio fornito dalle organizzazioni del regime ed anche la resistenza di alcuni insegnanti. La radio infatti, come mezzo di propaganda, tende ad orientare l'insegnamento molto più del sussidiario unico di Stato. Con il passare degli anni e l'avvicinarsi al clima di guerra, il palinsesto diviene sempre più conformista e fascistizzato, fino a diventare ossessionante, con la crescente serie di collegamenti a caserme ed accademie militari. Pur avendo ormai ulteriormente trasformato la funzione educativa in funzione propagandistica, Mussolini in persona interviene soltanto di rado dai microfoni dei programmi per ragazzi, nonostante le pressanti richieste avanzate da molti bambini in diverse occasioni. Infine, con lo scoppio del conflitto, il tema della guerra si impone in tutte le trasmissioni: anche radio GIL, riservata ai ragazzi, e Radio Scolastica, dedicata a tutte le scuole di ordine e grado, partecipano "a questo coro martellante e retorico che contrassegna l'ascolto radiofonico dell'Italia in guerra" .

L'Ente Radio Rurale chiude la sua attività il 4 aprile 1940 e le sue funzioni vengono assorbite dall'EIAR. Quest'ultimo si ripropone di mettere in onda una serie di trasmissioni, per permettere agli scolari di continuare i loro studi direttamente a casa. Richiamandosi alla solidarietà di fronte al pericolo comune, l'Eiar invita i bambini più ricchi ad accogliere quelli più poveri nelle proprie case, per permettere anche a loro di seguire i corsi radiofonici. Oramai però le interruzioni, i disturbi, i rinvii impediscono di proseguire regolarmante le trasmissioni scolastiche.

3. Mastro Remo e "Balilla, a noi!"

Il primo ottobre 1931, quasi un mese prima dell'inaugurazione ufficiale di Radio Trieste, va in onda delle 17 alle 17.20, fra le prove tecniche, una nuova trasmissione, annunciata dall'Inno dei Balilla: la prima puntata di Mastro Remo, i giuochetti alla radio, poi ribattezzata Balilla a noi! La trasmissione è realizzata da un giornalista del Piccolo che, appena ventiquattrenne, ricopre già il ruolo di capocronista: Mario Granbassi.

L'invito gli è rivolto da Renato Mori, il reggente della nuova emittente: "Giovedì primo ottobre -dice il dott. Mori a Granbassi- ho intenzione di iniziare il cantuccio dei bambini a Radio Trieste. Ho bisogno della tua collaborazione. E' una cosa che dà molte soddisfazioni e alla quale ci si affeziona. Si tratta di questo: ogni giovedì trasmetteremo il disegno radiofonico a premio e formeremo così la grande famiglia dei piccoli intorno alla nostra stazione. Ti chiamerai Mastro Remo. E' il nome che mi ero scelto io quando facevo il cantuccio a Genova e a Bolzano: è composto dalle prime sillabe del mio nome e cognome. Te lo cedo volentieri. Mercoledì mi porti il copione della prima conversazione per i piccoli e il disegnino da vistare. Ti aspetto" . E rassicura Granbassi: "Il meccanismo è elementare: carta a quadretti e matita e un po' di fantasia. E' una cosa per bambini e ragazzi, ed è necessario che il disegno sia semplice, semplicissimo e rapido da dettare" .

Un giovane illustratore, Paride Nicolini, gli prepara lo schema su carta quadrettata di una semplice figura: la faccia sorridente di un balilla, alla quale nelle trasmissioni successive sarebbero seguite immagini raffiguranti la bandiera italiana, il fascio, un cappello da alpino, il profilo del duce e così via. Nel giro di pochissimi giorni a Radio Trieste succede quello che nessuno aveva previsto: arrivano 2375 fogli di carta a quadretti con la soluzione del disegno radiofonico. Un anno dopo, nel suo libro Mastro Remo si confessa, pubblicato sulla scia del grande successo, Mario Granbassi scriverà: "Il primo radiodisegno fu una rivelazione meravigliosa e una gioia indescrivibile per i piccoli radioascoltatori. (...) Cominciò dunque, la sera stessa della trasmissione, una prima pioggia di buste d'ogni grandezza e d'ogni colore. (...) Mastro Remo - Radio Trieste... Quell'indirizzo telegrafico, ripetuto da cento scritture poco diverse, quasi tutte grosse e bislacche, coi letteroni traballanti che si rincorrevano come ubriachi in una grottesca maratona, passava sotto gli occhi stupefatti di Mastro Remo. (...) Da quelle buste sgorgavano senza posa fogli e fogli di carta a quadretti e su essi balilla e balilla e balilla sorridenti, tutti col loro bravo fez sulle ventitrè e quell'aria sbarazzina da tirare i baci. La mattina dopo, alla prima posta, altra valanga: nel pomeriggio una montagna.

Il povero Mastro Remo, che sperava di sbrigarsi il concorso (...) tra una chiacchierata e l'altra, o di portarsi via la corrispondenza nelle tasche del pastrano, si vide obbligato a prendersi una gran borsa di pelle per stiparvi dentro quell'esercito di balilla sorridenti; e il giorno dopo a rimorchirsi dietro un fattorino carico di grandi pacchi ben rilegati con spago robusto. Cominciò allora, in quella prima settimana di passione mastroremiana, il dolce calvario di tutti i concorsi radiofonici.

Mastro Remo non sapeva se disperarsi o gioire. Era affondato tra quelle centinaia e centinaia di foglietti e gli pareva di avere intorno a sè, vivi e parlanti, tutti i manipoli dei suoi primi radioamici: giusto, sbagliato, giusto, sbagliato, sbagliato, sbagliato... Ad ogni disegnino che passava alla sinistra del giudice attento, un sospiro: peccato, (...) solo per un puntino! (...) I disegnini però potevano dirsi il meno. Bisognava vedere le letterine che accompagnavano quei primi saggi quadrettati: presentazioni, saluti entusiastici, auguri, proposte e domande (Dici che non hai la barba, ma è proprio vero? - domandava Giorgio Cuppini di Croce di Piave - E porti gli occhiali? Sei forse un professore? Saresti però di quelli che hanno tanta pazienza, come la mia signorina, mi pare. Parli così bene che io vorrei conoscerti. Vorrei avere almeno una tua fotografia. Sarebbe un pretender troppo? Scusa se mi prendo tanta confidenza, ma col tuo fare scherzoso e colle tue belle parole mi hai ispirato coraggio)." Nel libro Granbassi, oltre a raccontare le vicende di Mastro Remo, "stampa i nomi innumerevoli dei suoi combriccolini, e le loro lettere più candide e più argute e i loro schizzi e disegni e commenta tutto con vispezza affettuosa" , rendendo i combriccolini, con'egli stesso scrive, "collaboratori involontari".

Granbassi spiega: "Le combriccole sono quei gruppi di piccoli radioamici raccolti in una scuola, in una Casa Balilla o in una famiglia ospitale, intorno all'altoparlante che diffonde i canti e i giochetti della nostra rubrica. E combriccolini sono di conseguenza, tutti i bimbi che seguono il cantuccio triestino; e combriccoloni gli amici nostri, fuori quadro per... limiti di età" . Dopo la morte di Granbassi, Silvio Benco avrebbe scritto a proposito dell'amico: "Non perdeva mai la sua lucidità, il suo equilibrio; leggeva tutto, ordinava quell'enorme materiale avventizio, vi coglieva idee da sviluppare, rispondeva a combriccolini esigenti di risposta, pareva vederci più chiaro quanto più fitta si faceva la nebbia. Meraviglioso lavoratore, senza alti e bassi nervosi: esaminava in brev'ora quello che ad altri sarebbe costato un giorno; poi si passava la mano sulla fronte, e scattava a qualche sua incombenza di giornalista. Da un mondo di lavoro passava ad un altro" .

Se dunque moltissimi conoscevano il personaggio Mastro Remo, davvero pochi sapevano chi egli fosse in relatà: solo con l'uscita del libro Mastro Remo si confessa, il personaggio esce dal mistero; come dice Silvio Benco, "il mago della radio si svela" . Pochi giorni dopo l'uscita del libro, l'autore raccoglie a Monte Radio cinquemila suoi combriccolini per la distribuzione delle medaglie guadagnate nei vari concorsi. Nel gennaio 1933 il Comune di Trieste, per gratitudine alla sua opera di educatore dell'infanzia italiana, gli decreta una grande medaglia di bronzo. Già l'anno prima, scrivendo la prefazione al libro, Renato Ricci, sottosegretario di Stato per l'educazione nazionale e presidente dell'Opera Nazionale Balilla, aveva riconosciuto ed elogiato l'attività di Granbassi, mettendone in evidenza "le benemerenze per aver saputo convertire la sua cattedra radioparlata in missione di italianità".

L'appuntamento radiofonico è frattanto diventato da settimanale, bisettimanale, e Granbassi è affiancato al microfono da altri personaggi: l'Amico Lucio (Lucio Basilisco), la Zia dei Perchè (Edvige Levi), Zio Bombarda (Giulio Rolli). Il programma è articolato su due appuntamenti fissi: il lunedì per i giochetti alla radio e la radionovella per i piccoli, e il giovedì per il disegno radiofonico. La popolarità della trasmissione continua a crescere: arrivano lettere e offerte di collaborazione da tutta Italia (ma anche dalle colonie italiane del Mediterraneo e da numerosi paesi europei) con la semplice indicazione "Mastro Remo, Trieste": proprio a questa trasmissione infatti spetta il primato italiano, per quanto riguarda il coinvolgimento epistolare degli ascoltatori. L'Eiar però non può mettere a disposizione nemmeno una stanza per preparare le trasmissioni e sbrigare la corrispondenza, e così la casa di Mario Granbassi diventa ufficio e centro di smistamento, e vede intenti i suoi familiari - specialmente la moglie Fernanda e il fratello minore Manlio - a fargli da segretari e a fornirgli il supporto necessario alla gestione di tanto successo, ma anche di tanta fatica.

Il programma viene trasmesso anche da Radio Rurale nelle scuole, durante il secondo anno di attività dei programmi radio scolastici ('34-'35). La tabella oraria dei programmi dell'Ente Radio Rurale per quell'anno scolastico dedica al disegno radiofonico tre ore settimanali, che rappresentano circa il 6% della programmazione radiofonica scolastica totale. Ancora nell'anno scolastico '38-'39 il disegno radiofonico continua a far parte del palinsesto, che nel frattempo ed in prospettiva della guerra si è notevolmente modificato. In una lettera una scolaresca racconta: "Siamo stati attenti alla lezione ed abbiamo eseguito il disegno di Pinocchio che cosa bella che cosa grande e non abbiamo potuto frenarci ed abbiamo gridato con tutto il fiato: viva il Duce! Viva Marconi!" In molte scuole di ogni regione dunque si organizzano gruppi di ascolto che seguono le trasmissioni e partecipano ai concorsi di Mastro Remo. Fra i premi distribuiti "un superbo moschetto Balilla modello 91, fornito di cartucce, con baionetta tipo arma a cavallo: un premio degno di un futuro soldato della Patria, simbolo di fedeltà al Re e al Duce" .

La figura di Mussolini viene spesso richiamata nei racconti e nei concorsi, tanto che la direzione Eiar di Trieste chiede, attraverso il segretario Chiavolini, l'autorizzazione alla lettura pubblica di alcune pagine del Mio diario di guerra del duce, che però viene negata per "ragioni di principio" . Sempre riguardante Mussolini è il lancio del grande "tema-concorso": in una pagina di quaderno gli ascoltatori sono chiamati a rispondere alla domanda "Perchè amo il Duce". Le migliaia di risposte pervenute vengono accuratamente ordinate: quelle pubblicate sul libro di Mastro Remo costituiscono un curioso documento sulla diffusione fra i bambini del mito mussoliniano agli inizi degli anni Trenta. Nelle risposte vengono esaltate soprattutto la figura del duce-padre ed il mito della ruralità. Particolarmente simpatico è il temino di Alberto Nani di San Vito Chietino, vincitore del premio originalità: "Amo il duce per parecchi motivi: prima perchè ha creato i Balilla, ed io ogni volta che mi vesto da Balilla con la camicia nera, la gravatta azzurra e il fez, mi sento di essere già un soldato. Poi perchè quasi sempre ho visto il suo ritratto in mezzo ai bambini e ho pensato che il nostro Duce ama molto i bambini. Lo amo perchè Egli notte e giorno lavora per la Patria come sento nei discorsi di famiglia. Lo amo perchè ha fatto la bonifica nell'Agro Romano, e papà ogni volta che è sconfortato per la crisi, dice che vuole andare anche lui a lavorare quella terra. E l'amo ancora più di tutto perché la mamma mia, che è grassa, e sempre pensava come dimagrire, poi l'altro giorno ha letto nel giornale il discorso che il Duce ha fatto ai medici, che la donna grassa non è brutta, ma è una buona cosa per la razza, così ora la mamma mangia ed è tranquilla".

Nel corso degli anni vengono prese diverse iniziative per animare la trasmissione e rinnovare il rapporto con gli ascoltatori: tra di esse spicca lo stretto legame di collaborazione con l'Istituto per ciechi Rittmeyer di Trieste: viene infatti ideato un sistema che consente ai piccoli ospiti di seguire i disegni e partecipare alle gare. Nel maggio del 1934 nelle edicole appare "un'attesa novità per i bambini, i genitori, i nonni", come annota Cesare Pagnini nell sua Storia dei giornali triestini . E' un settimanale illustrato a colori e stampato nello stabilimento dell' Editoriale Libraria di Trieste. Il giornalino si intitola Mastro Remo e direttore ne è Mario Granbassi, che riesce ad aggregare intorno a sè uno stuolo di giornalisti, scrittori, poeti, illustratori triestini e non solo; Granbassi riesce così a dar vita ad un giornalino nuovo ed originale, con giochi, storielle, fumetti ed addirittura una sorta di Totocalcio, chiamato Concorso Pronostici; il settimanale rimarrà il primo ed unico esempio nella storia del giornalismo triestino e regionale, di periodico illustrato per ragazzi. Anche il giornalino viene gestito con grande entusiasmo. Non esiste una redazione vera e propria e Granbassi coordina i collaboratori per telefono, in rapidi incontri a casa, alla radio, al giornale.

Basilisco e la Levi, che già lavorano alla trasmissione radiofonica, collaborano anche al settimanale, così come altri colleghi della redazione del Piccolo, in particolare Carlo Tigoli ed Umberto Di Bin. Quest'ultimo è autore con Mario Granbassi delle strofe rimate che accompagnano le illustrazioni delle storielle: "si tratta per lo più di situazioni buffe e divertenti, ma sono sorprendenti ancor oggi l'eleganza e l'humor di quei versetti buttati giù quasi per scherzo. E' soprattutto questo che traspare ancora sfogliando la collezione dei 59 numeri di Mastro Remo: gioia e divertimento probabilmente facevano sentir meno la fatica" . Nel frattempo a Granbassi, che era stato fin dall'inizio convinto sostenitore del giornalismo parlato, l'Eiar affida altri compiti: diventa così uno dei primi radiocronisti italiani. Egli deve dunque alternarsi fra molteplici ruoli: capocronista al Piccolo, radiocronista all'Eiar, personaggio radiofonico di Mastro Remo ed infine direttore e coordinatore del giornalino illustrato per ragazzi. "Sarebbe bastato esso a riempire la vita di un uomo laborioso - scriverà nel 1939 Silvio Benco -; ed è naturale che dopo un anno dovesse desistere dalla fatica." E infatti, nonostante l'ottima accoglienza e le quasi 5000 copie distribuite in Italia, "le pubblicazioni del giornalino vengono sospese dopo 59 numeri, usciti dal maggio 1934 al giugno 1935: che rimangono comunque onorevole testimonianza di un esperimento difficile, ma unico e di eccezionale qualità" .

4. Mario Granbassi: radiocronista, giornalista e volontario in Spagna

Come radiocronista Granbassi si occupa di numerosi eventi, ad esempio di manifestazioni sportive, tra cui quella organizzata nel febbraio 1933 da Radio Trieste, assieme alla sezione provinciale dell'Opera Nazionale Dopolavoro del capoluogo giuliano: "una marcia radio-sciatoria per pattuglie composte di tre uomini su diciotto chilometri, da percorrere in un'ora e cinquanta" . Per la cronaca ci si serve di uno dei rari radiomobili, costosi furgoni attrezzati per poter realizzare un ponte radio. Sempre da Radio Trieste viene organizzata a Gorizia, nel maggio dello stesso anno, una marcia radiomotociclistica per giovani fascisti, con la partecipazione di 48 motociclisti . A Granbassi vengono anche assegnate le radiocronache di alcuni avvenimenti di rilevanza nazionale, fra i quali diversi vari di navi. "L'Eiar si valeva di lui come di uno dei migliori, più agili e perspicaci radiocronisti: talchè solenni cerimonie, visite di Sovrani, avvenimenti cospicui in presenza di Principi e di gerarchi avevano sempre più spesso in lui il loro narratore immediato, e lo si voleva radiocronista ufficiale per l'inaugurazione del monumento a Nazario Sauro" . "Le sue cronache in diretta di grandi avvenimenti sono rimaste autentiche lezioni di corretta gestione dei mass media, quando questi erano ancora assai lontani dall'essere chiamati così" .

Durante questi anni di attività radiofonica, la sua principale occupazione rimane comunque quella di giornalista al Piccolo, dove continua ad essere impegnato come capocronista. Nell'estate del 1938 però Granbassi "lascia la penna ed imbraccia il moschetto" e parte alla volta della Spagna, per combattervi come volontario nelle formazioni delle Frecce azzurre, che sostengono l'esercito del generale Franco. Dalle trincee, pur essendo partito per la guerra come militare e non come corrispondente, Granbassi manda molti articoli al proprio giornale, non volendo rinunciare del tutto al "mestieraccio", come lui ironicamente lo definiva. Ma a testimonianza di quell'esperienza di guerra a noi non restano soltanto i suoi articoli e le sue lettere alla famiglia, ma un diario, nel quale Granbassi descrive eventi, battaglie, ideali. Quel diario di guerra, ancora oggi inedito, rimane una testimonianza ricca, entusiasta e sincera di una generazione.

Proprio in quel diario Granbassi annota un giorno l'emozione procuratagli dall'ascolto inaspettato di una radio:

"Al Comando di Raggruppamento, in una casetta bianca e pulita che mi pare una villetta dopo le stamberghe di Monleon, mi aspetta un'emozione dolcissima: c'è un apparecchio radio alimentato da condensatori d'auto. Una voce che mi pare tanto cara e gentile, perchè è la voce d'Italia. Forse la mia Fernanda e la mia Cici stanno ascoltando in questo momento questa stessa voce e questa stessa musica e il mio Gianfranchino le fa ridere con i suoi balletti davanti all'apparecchio..."

In Spagna la sua esperienza di giornalista viene messa a frutto sia come corrispondente di guerra, che come esperto di mass media e di propaganda: una sua trasmissione propagandistica ad esempio "(viene) elargita... gratuitamente ai rossi dalle trincee nazionali" . Il testo della trasmissione viene poi pubblicato con grande rilievo e con la foto in divisa dell'autore sul Radiocorriere. Granbassi muore in combattimento il 3 gennaio del 1939, alle pendici del Monte Fosca in Catalogna. La notizia della sua morte giunge a Trieste appena il 17 gennaio. Il 18 gennaio Il Piccolo dedica alla memoria del giovane collaboratore scomparso un'intera pagina.

"Oggi - scrive Silvio Benco - noi piangiamo questo nostro virile compagno; e centomila Balilla della Venezia Giulia e d'ogni parte d'Italia, centomila giovinetti che furono ieri ragazzi, apprendono attoniti, con sacro turbamento, che il loro Mastro Remo, di cui da lungo tempo non sentivano più la voce alla Radio, ha combattuto con ostinato valore ed è morto in battaglia".

Alla memoria gli vengono conferite le massime ricompense al valor militare dallo Stato italiano e da quello spagnolo.

5. Osservazioni conclusive sulla radio

Tra gli studi riguardanti il periodo fascista, ben pochi si occupano della radio, che pure è un fattore determinante per il cambiamento culturale negli anni del regime . Anche le trasmissioni per i ragazzi -visto il successo generalmente riscosso- svolgono un ruolo importante in quella che poi sarebbe stata sarà definita "la fabbrica del consenso". Inoltre l'abitudine all'ascolto radiofonico getta le basi, tra le generazioni più giovani, per una prima unificazione linguistica e per la creazione di un immaginario collettivo comune. Con l'avvento della radio infine, cominciano anche a modificarsi alcune tradizioni: una canzonetta popolare recita infatti nel suo ritornello:

"Signorina che canti alla radio/vuoi cantare un pochino per me?/Signorina raccontami piano/una fiaba di principi e re..." e le favole della nonna cominciano a finire in soffitta .

Già in quegli anni la gente si rende conto delle grandi trasformazioni portate dalla radio; un cronista anonimo scrive su La Domenica del Corriere: "Abbiamo mai riflettuto quale enorme somma di idee e sensazioni aggiunge la radio alla nostra esistenza? (...) C'è chi vive in luoghi dove non arriva neppure il giornale, dove non era mai echeggiata neppure la voce del podestà del capoluogo, (lì) sono udite ora le voci del Pontefice e del Duce."

Forse sono proprio i bambini che per primi, a scuola, comprendono l'importanza della radio; interessante a riguardo è la lettera di un alunno di un piccolo comune trentino: "Il Duce vuole che in ogni scuola ci sia la radio ed ha ragione. Anche a noi ci è riuscito di prenderla. L'abbiamo comperata noi e la signora maestra, perchè puliamo la scuola e con i soldi guadagnati abbiamo comperato la Radio Rurale. Poi caro Radio Rurale, voglio dirti che la nostra radio ha portato un po' di vita nella nostra frazione che è lontana dal capoluogo e che non ha nemmeno la Chiesa.

La mattina della domenica i nostri babbi, bravi agricoltori, ascoltano l'ora dell'agricoltore. Le nostre nonne vengono sempre a sentire la Messa, e il sabato sera la nostra scuola accoglie tutta la popolazione che viene a divertirsi perchè qui non c'è il Dopolavoro." La radio dunque dà vita ai piccoli paesi della provincia, priva di divertimenti e di ritrovi culturali. E diviene lentamente il simbolo della modernità, della nascente società di massa e dei suoi consumi. L'abilità del fascismo forse non è stata tanto quella di propagandare la propria ideologia attraverso il mezzo radiofonico, ma piuttosto quella di proporlo come prodotto del genio italico (Marconi è italiano!), delle facoltà rigeneratrici del regime, dei tempi nuovi e dell'uomo nuovo.

Patria, radiofonia e fascismo tendono così a fondersi ed identificarsi nell'immaginario collettivo degli ascoltatori. Si può allora capire con quale entusiasmo i bambini di una scuola in un piccolo paesino di campagna abbiano gridato:

"Viva il Duce! Viva Marconi!"


Bibliografia


il Diario di Guerra di Mario Granbassi - homepage di F. Meriani