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Maternità (opera di Raffaello)

    Dott. Giovanni Pomili  

Specialista in Ginecologia ed Ostetricia
Perugia

 

Diagnosi prenatale:
l'amniocentesi diagnostica
pag. 1 ( di 3 ).

 

Sommario


1. Introduzione 5. L'attendibilità Un embrione al 2° mese
2. Le indicazioni 6. Le complicazioni
3. Il prelievo 7. Notizie tecniche
4. Il laboratorio 8. Un diffuso pregiudizio


 

Introduzione

Ogni anno nascono nel mondo molti bambini affetti da rilevanti anomalie congenite (circa il 2% di tutti i nati vivi). Solo in Italia nel 1995 sono nati complessivamente circa 526.000 bambini. Di questi circa 10.500 erano affetti da anomalie congenite di vario tipo.

Rispetto al totale dei bambini affetti da anomalie congenite circa 3.150 avevano anomalie cromosomiche che pertanto affliggono circa lo 0,6% di tutti i nati vivi. Ciò equivale a dire che ogni 1.000 bambini nati vivi 6 sono affetti da disordini cromosomici. Se invece il computo viene effettuato su tutti i nati affetti da anomalie congenite, le cromosomopatie rappresentano circa il 30% .

Uno dei compiti principali della Medicina moderna - nel campo della ostetricia e ginecologia - è quello di diagnosticare sempre più precocemente e con precisione le diverse patologie fetali utilizzando le tecniche della diagnosi prenatale .

Una delle più note ed oramai consolidate è certamente l'amniocentesi (dal greco amnion = [liquido] amniotico e kentesis = prelievo) che consiste in un prelievo di liquido amniotico attraverso la parete addominale ed uterina. L'amniocentesi è una metodica diagnostica fondamentale utilizzata oramai da circa trenta anni per cercare di identificare - fin dal periodo prenatale - i feti portatori di anomalie cromosomiche e somatiche.

La conoscenza di anomalie fetali può modificare in maniera determinante il trattamento della gravidanza. Infatti possono essere stabilite con maggior precisione il personale sanitario, la sede, l'epoca e le modalità del parto.

Cenni storici
  • La prima descrizione di cui si ha notizia sicura di una amniocentesi risale alla fine del secolo XIX.
    In quella occasione venne usata però a scopo terapeutico , per ridurre un polidramnios (quantità eccessiva di liquido amniotico nella cavità uterina). [Schatz, 1882]

  • Dall'inizio degli anni '50 l'amniocentesi viene impiegata normalmente a scopi diagnostici , per il controllo delle gravidanze con isoimmunizzazione materno-fetale. [Bevis, 1952]

  • All'inizio degli anni '60 fu scoperto che le cellule presenti nel liquido amniotico (amniociti) permettono la determinazione del sesso fetale attraverso la ricerca della cromatina sessuale , con conseguenze di rilievo nello studio delle malattie ereditarie legate al cromosoma X ( emofilia, distrofie muscolari ...). [Riis e Fuchs, 1960]

  • Sei anni più tardi venne scoperto che le cellule contenute nel liquido amniotico non solo erano vitali ma potevano essere coltivate con successo offrendo la possibilità di ottenere un cariotipo fetale completo ed aprendo la strada alla capacità di diagnosticare in utero le anomalie cromosomiche fetali. [Steele e Breg, 1966]

  • La prima diagnosi di sindrome di Down - effettuata in utero - risale al 1968, per merito del Prof. C. Valenti .

  • Nel 1972 infine venne introdotta la determinazione dei livelli di alfa-feto-proteina nel liquido amniotico per la diagnosi dei difetti di chiusura del tubo neurale fetale.

In quegli anni il prelievo veniva effettuato "alla cieca" dal ginecologo, dal momento che l'ecografia non era ancora disponibile. Per questo motivo sussisteva un rischio piuttosto elevato di andare incontro a complicazioni fetali e materne.

Le indicazioni

Oggi sarebbe teoricamente possibile individuare tutti i feti affetti da anomalie cromosomiche sottoponendo ad amniocentesi tutta la popolazione di donne in gravidanza. Questa politica è però attualmente impraticabile per la natura invasiva del test e per i costi eccessivamente elevati. Per tali ragioni l'amniocentesi viene effettuata sulla base di una indicazione.
Le principali indicazioni per eseguire una amniocentesi diagnostica sono le seguenti:

  1. L'età materna: l'indicazione prevalente è certamente l'età materna avanzata (superiore ai 35 anni al momento del concepimento) dal momento che il rischio di anomalie cromosomiche fetali aumenta con la crescita dell'età materna.
    A questo proposito bisogna però ricordare che l'esperienza ha dimostrato che se anche tutte le donne di età uguale o superiore ai 35 anni - che rappresentano tra il 5% ed il 10% di tutte le donne gravide - si sottoponessero ad amniocentesi si individuerebbero - al massimo - soltanto il 20% od il 30% di tutti i feti affetti dalla sindrome di Down.
    Nella tabella n. 1 viene riportata l'età materna (1° colonna) correlata con il rischio della presenza della sindrome di Down nel feto al 4° mese (2° colonna) e con il rischio di tutte le anomalie cromosomiche fetali attualmente diagnosticabili (3° colonna).

  2. L'età paterna: meno importante - in rapporto alla frequenza delle anomalie cromosomiche - è invece l'età paterna avanzata.
    Secondo uno studio dell'American College of Medical Genetics (ACMG) pubblicato nel 1996 non sembra che l'incremento dell'età paterna costituisca un rischio per le anormalità cromosomiche nella prole.
    Attualmente vi sono dati non completamente chiari ed insufficienti per stabilire - come per l'età materna - una tabella di rischio fetale per ogni età paterna.
    Esiste invece un parere unanime sul fatto che l'età paterna avanzata possa essere correlata con alcune patologie, anche se piuttosto rare (dell'ordine di grandezza di un nuovo caso ogni 5.000 o 10.000 nati), come l'acondroplasia, la neurofibromatosi, la displasia tanatofora, la sindrome di Apert e la sindrome di Marfan, malattie genetiche autosomiche dominanti, dovute cioè non ad anomalie cromosomiche ma a mutazioni monogeniche avvenute - in questo caso - "de novo".
    Secondo la ricerca dell'ACMG l'aumento dell'età paterna può anche essere associato a mutazioni spontanee di alcuni geni localizzati sul cromosoma X, responsabili di malattie come l'emofilia A o la distrofia muscolare di Duchenne.
    In questo caso si verificherebbe quello che è stato chiamato "effetto nonno" e cioè la malattia sarebbe trasmessa attraverso le figlie femmine, sane ma portatrici, a nipoti maschi realmente affetti.
    Per tutti questi problemi genetici il rischio aumenta non in maniera lineare ma esponenziale con l'accrescersi dell'età paterna.

  3. Le malformazioni fetali ecografiche: una indicazione attualmente piuttosto frequente è legata alla presenza di anomalie o malformazioni del feto rilevate attraverso l'ecografia (tabella n. 2).

  4. Il difetto di crescita intrauterina: anche il riscontro ecografico di un feto con un difetto di crescita intrauterina (IUGR) cioè che cresce di meno rispetto a quanto atteso oppure la presenza di una quantità particolarmente ridotta di liquido amniotico (oligo-idramnios) può rappresentare una indicazione a determinare il cariotipo (tabella n. 3).

  5. Un precedente figlio affetto: una ulteriore indicazione è rappresentata dalla precedente nascita di un bambino affetto da anomalie cromosomiche o genetiche.

  6. Un genitore affetto: vi sono poi i casi nei quali uno dei genitori è portatore di qualche anomalia cromosomica o genetica che potrebbe essere trasmessa al feto.

  7. Il Tri-test: di recente è stato introdotto nella pratica clinica il tri-test. Una positività di questo esame (rischio stimato per la sindrome di Down maggiore di 1/250) viene considerata una indicazione per l'esecuzione dell'amniocentesi.

  8. L'ansia materna: infine viene riconosciuta una indicazione psicologica per quelle donne nelle quali l'ansia di partorire un feto affetto da malattie cromosomiche sia particolarmente elevata.

 
Ulteriori informazioni sulla amniocentesi diagnostica a pag. 2 ed a pag. 3

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