4. Scandriglia (Rieti) marzo 1944 - Uno scontro a fuoco

   Una camionetta con quattro soldati tedeschi, agli ordini del capitano Guenther Stahl, arrivò con molta circospezione davanti al cascinale apparentemente deserto, adagiato sulle pendici del monte Sisto.
   Stahl era a capo dell'Unità Operativa Speciale che si occupava della sicurezza delle forze tedesche nel reatino. Occupava quella posizione semplicemente perché era il migliore. Sapeva fiutare il vento e preparava con precisione maniacale le sue operazioni militari, riuscendo spesso a venire a capo di situazioni impossibili.
   Per una leggera miopia indossava gli occhiali e questi gli conferivano un'aria da intellettuale. Invece era un soldato. Autentico. Spietato. Fanatico. Devoto come pochi alla causa della sua Germania. Convinto di essere una pedina fondamentale per la realizzazione di quel grande stato pangermanico da lui e da molti altri vagheggiato.
   Il suo corpo, magro e sottile come un giunco, sprizzava energia da tutti i pori; il suo volto affilato, il suo sguardo gelido e minaccioso, la sua voce metallica incutevano rispetto e soggezione a chiunque.

   A bordo della camionetta, i cinque uomini, scrutarono attentamente le persiane del casolare abbandonato per cogliere dietro di esse il segno della presenza dei tre partigiani segnalati. Ad un cenno del capitano, due soldati scesero a terra e si portarono sul retro dell'abitazione. Gli altri due, con mosse furtive, si avvicinarono al portone d'accesso.
   Il soldato più grosso valutò ad occhio la consistenza dell'uscio. Dopo una breve rincorsa, si buttò a peso morto contro di esso facendolo cadere di schianto. Il giovane, sbilanciato dalla poca resistenza incontrata, rotolò pesantemente a terra. Recuperò in fretta la posizione eretta, ma non ebbe fortuna. Un lampo accecante come la luce del sole gli bruciò gli occhi, un sibilo acuto lacerò le sue orecchie. Un proiettile di mitra fuoriuscì dall'orecchio sinistro, strappando la vita al giovane, che crollò al suolo come un pupazzo senza fili.  Morì così, in terra straniera, senza nemmeno avere avuto modo di realizzare che cosa fosse accaduto.
   Il soldato dietro di lui si era subito buttato sul pavimento dopo l'irruzione. Aveva reagito all'eccitazione dell'adrenalina che circolava nel suo corpo, urlando con quanto fiato aveva nei polmoni e sparando all'impazzata contro la balaustra del primo piano da cui piovevano numerosi colpi di mitra. Esaurito il suo caricatore, aveva cercato disperatamente di prenderne un altro, ma la sua mano, bloccata da una forza superiore, non riuscì neppure a sfiorare la giberna che aveva sul petto. Il giovane si interrogò stupito del perché. Poi un fiotto di sangue caldo, colando dalla sua bocca, gli tolse ogni dubbio riguardo al suo destino. Si rovesciò sulla schiena per cercare una posizione più comoda e trovò conforto nell'invocare sua madre: "Mein Lehrer" disse con un soffio di voce.
   Ritornò col pensiero al suo amato parco di Monaco, dove tante volte da bambino aveva giocato. Morì dondolando sull'altalena.
 
 

 

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