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Il saggio
Crisi della stampa: e se la smettessimo di imitare la tv?
di Alberto Sensini

Alberto Sensini, giornalista e scrittore, ha iniziato la sua carriera al ‘Resto del Carlino’ di Giovanni Spadolini. E’ stato editorialista e capo della redazione romana del Corriere della Sera, direttore de ‘La Nazione’ e, nominato direttore al TG2, rifiutò l’incarico. Oggi è editorialista politico de ‘Il Gazzettino’ e ‘La gazzetta del Sud’.  Sensini, ordinario di tecniche della comunicazione pubblica all’Università di Macerata, sarà relatore della mia tesi di laurea (prossimamente su Terzapagina).
P.S.

Come va la stampa in Italia? Male, grazie. Da qualche mese, quello che era un argomento per addetti ai lavori è diventato finalmente un tema di dibattito ad ampio raggio. E. cosa assai rara nel nostro paese, tutti sono d' accordo nella diagnosi e quasi nessuno è d' accordo sulla terapia. Si lamentano tutti. Gli editori ad ogni relazione annuale lanciano il grido di dolore che ultimamente ha toccato accenti di disperazione: il costo della cellulosa è arrivato alle stelle. la distribuzione soffre di mali antichi. la politica dei gadget ha assunto proporzioni colossali, le tirature diminuiscono con rarissime eccezioni, il rapporto popolazione-lettori va sempre più giù e ormai in Europa siamo davanti solo a Spagna e Portogallo. Rapportate a mille abitanti le copie vendute, in Giappone sono 580, in Finlandia 536, in Svezia 535, in Gran Bretagna 398, 345 in Germania. 269 negli Stati Uniti, 176 in Francia e l 16 in Italia. Il che significa che, detratte le copie dei quotidiani sportivi e del Sole 24 Ore, in Italia vendiamo poco meno di 5.000.000 copie al giorno di quotidiani, per 56.000.000di abitanti. Se gli editori piangono. i giornalisti non ridono. Federazione della Stampa e Ordine, quasi mai concordi, dicono quasi all'unisono le stesse cose. quando si tratta di analizzare la stampa dell'editoria quotidiana in Italia. I pubblicitari non sono da meno, nel coro degli alti lai. Su 8.480.000 miliardi di pubblicità (dati del 1991, ultimi disponibili) la TV ha registrato il 50 per cento e i quotidiani meno della metà, il 23 per cento. La crisi economica dunque c'è ed è chiarissima. Ma ad essa va aggiunta una crisi deontologica non meno grave. Scrivono Paolo Murialdi e Nicola Tranfaglia nella introduzione al loro "La stampa italiana nell'era della TV". "Le diagnosi su quel che non va sul piano deontologico nella stampa italiana in un momento critico come l'attuale sono numerose ed allarmate. Un'editorialista come Rossana Rossanda ha detto "abbiamo un’informazione che è semplicemente agitazione. Siamo di fronte ad una caduta molto forte". E Umberto Eco, nel corso del l 992, aveva già chiesto esplicitamente ai giornalisti: perchè scrivete notizie false? Giornali, siete diventati schiavi della televisione'". Conta poco che l'indice di credibilità dei giornalisti sia in calo in tutto il mondo, come risulta da tutte le ricerche degli ultimi anni. Se mai c'è solo da sorprendersi dello scarto crescente fra sviluppo dell'informazione nell’era cibernetica e arretramento della credibilità degli operatori della comunicazione. Al potere di diffusione non corrisponde più il potere di persuasione e probabilmente vicende come l'impeachment di Nixon ad opera di due cronisti del Washington Post resteranno come un episodio irripetibile per chissà quanti decenni ancora. Per Umberto Eco che, in qualità di maestro dei semiologi ha tutto il diritto di fare lezione in materia (e la fece quella lezione addirittura in Senato ospite del presidente Carlo Scognamiglio. qualche tempo fa), "la stampa italiana è ormai succube della televisione.


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