Come abbiamo visto, Sampierdarena a metà del 1800 era diventato un fiorentissimo centro industriale non solo grazie all’Ansaldo e alle altre industrie metallurgiche e metalmeccaniche, ma anche per tante altre piccole e grandi fabbriche che spaziavano in tutti i settori del lavoro.
Grazie al fiorire di queste iniziative imprenditoriali cominciò ad intensificarsi l’attività commerciale e, con lo sviluppo economico, arrivò di conseguenza lo sviluppo demografico e topografico.
Tutti questi fattori di crescita ponevano il problema di aumentare le possibilità produttive del Comune di Sampierdarena. Arrivò allora il momento di studiare qualcosa di nuovo (che di nuovo aveva ben poco visto che l’economia genovese si era basata per secoli su questa attività), sfruttando la lunga spiaggia che partendo dal Capo di faro arrivava fino alla riva del Polcevera: un nuovo bacino portuale.
Il Municipio di Sampierdarena affidò l’incarico all’Ingegnere Pietro Giaccone di studiare le possibilità di costruire un “porto succursale” nel 1874 e l’anno successivo arrivò la concessione dall’amministrazione del Regno per la costruzione del bacino. Purtroppo, questioni politiche e d’interesse ritardarono per decine di anni i lavori di costruzione del porto industriale sampierdarenese.
Questo avvenne dopo la
costituzione del “Consorzio Autonomo del Porto di Genova” che nel 1927
approvò in un’assemblea l’allargamento del porto di Genova con la
costruzione di “cinque sporgenti, della
lunghezza di 400 metri e larghezza variante tra i 130 e i 150 metri, nello
specchio acqueo di Sampierdarena, protetto mediante un prolungamento verso
ponente della diga già esistente a difesa del bacino della Lanterna e la
costruzione di un molo alla foce del Polcevera”.
I lavori terminarono nel 1936; la lunghezza delle banchine del porto di Genova salì a 16.000 metri lineari.