LA RISVEGLIA
quadrimestrale di varia umanità
n.6 Gennaio - Aprile 2001
Parigi 1977, un' intervista
“Il giorno che mi avventai su De Bono...”
Cecchino Fortini sembrava un gladiatore: un piccolo gladiatore, di quelli descritti da Arthur Koestler nel libro su Spartaco, un combattente sempre pronto a colpire. O un pugile di quelli che amava ricordare Giuseppe Signori negli articoli suggestivi, che pubblicava sul “Campione” e sull'“Unità”: tipo La Motta, il “toro del Bronx”, o Bummy Al Davis (1), l'ebreo che abbatté nel '39 il celebre Tony Canzoneri.
Era stato Pierino Corradi (2) a suggerirmi, nel novembre del '76, in Rue Monge, di recarmi da lui. “Devi vederlo, era in Aragona insieme a Zanchini. Il vecchio Zanchini, - aveva ribadito Piero, in modo didattico e imperioso -, non il giovane Zanchini, cerca di non sbagliare”.
E di fronte ai miei dubbi - pochi giorni prima, Maurice Loeuillet (3), l'antico amico di Pino Guarneri, si era rifiutato seccamente di incontrarmi - aveva insistito: “Ti riceverà, ti riceverà, ti ci troverai bene...”
Ma Piero sbagliava. Parlare con Cecchino Fortini non è stato facile, non è stato per niente facile. Perché Cecchino dubitava, sospettava, si domandava chi mai fossero quei giovani, sconosciuti, quei giovani senza storia, spuntati dal nulla, che pretendevano di razzolare nella sua vita. E poi, cosa avrebbero fatto dei suoi racconti? Ne avrebbero colto il senso più profondo e più doloroso? Li avrebbero rispettati? O li avrebbero invece manipolati, piegandoli a questa o a quella tesi preconfezionata?
Ormai settantenne, Cecchino Fortini - l'“Egidio Cavallini” o il “Giacinto Verzani” delle carte di polizia - abitava in una traversa (un “Passage”) di Rue Diderot, in una casa modestissima, arrotondando la mediocre pensione con dei lavori di falegnameria. Diceva di fare il restauratore e l'ebanista, ma tra i suoi manufatti e quelli, splendidi, di Emilio Gervasini (4) - due li ho davanti mentre scrivo queste righe - non c'è confronto possibile.
Da parte sua, Piero mi aveva assicurato che avrebbe cercato di agevolare il mio incontro con Cecchino, perché esercitava su di lui un forte ascendente... Ma, quando Fortini, quel pomeriggio nebbioso, venne ad aprire la porta del suo appartamento, che dava su un pianerottolo buio, mi accorsi subito che l'interessamento di Piero non era servito a nulla, perché l'uomo, che mi fronteggiava, mi scrutava, no, mi squadrava con malcelata diffidenza. Una diffidenza quasi palpabile, che trapelava dai gesti e dalle parole...
“Cosa vuole?” mi chiese - o forse mi ringhiò. Poi, appreso che mi mandava Corradi, mi fece entrare poco volentieri.
L'arredamento delle stanzette era minimo. Pochi mobili, una cucina economica, un letto a una piazza. Su un paio di scaffali spiccavano alcune opere di Trotsky in francese, l'autobiografico libro di Mika, “Ma guerre d'Espagne à moi”, un volume di Gérard Rosenthal (5), “Avocat de Trotsky”, e qualche esemplare di “Prometeo” e di “Quatrième Internationale”.
Mi siedo e gli racconto che mi occupo dei rivoluzionari, che erano in Spagna, nella Colonna “Lenin”. “Ma io stavo con gli anarchici”, fa lui, di rimando. Come inizio, non c'era male. “Però Piero - insisto - mi ha detto che lei è andato in Spagna con Zecchini, Pace, Bramati, Mengoni...” “Sì, è vero, sono partito in treno da Parigi, con alcuni comunisti dissidenti, aderenti o simpatizzanti della Frazione bordighista, abbiamo passato i Pirenei di notte e a Barcellona siamo andati in una caserma anarchica. Ma Pace, Mengoni, “Giacchetta” e gli altri non si trovavano bene con i libertari. Troppo diversi dalla loro mentalità, hanno deciso di unirsi al P.O.U.M. e si sono trasferiti dopo qualche giorno nella Caserma Lenin, arruolandosi nella Colonna internazionale, comandata da Enrico Russo. Io no, io sono rimasto con gli anarchici, in qualità di miliziano nella Colonna italiana di Mario Angeloni, Rosselli e Bifolchi. La maggioranza della Colonna era composta da anarchici italiani, esuli in Francia e in Belgio da molti anni. Compagni di trenta, quaranta, cinquant'anni ed anche di più. Parecchi li avevo conosciuti a Parigi, altri li ho incontrati per la prima volta a Barcellona”.
“Chi ricorda?”, mi azzardo a chiedere.
Mi guarda, poi va avanti nel racconto: “Chi ricordo? Pio Turroni, un solido muratore, che è ancora vivo a Cesena, Renato Castagnoli (6), che era di Porretta, un bel tipo, amava la musica, ex ferroviere, era stato licenziato dopo lo sciopero “legalitario” antifascista dell'agosto del '22; c'era uno dei fratelli Gialluca, Renato (7), e poi un anarchico anziano arrivato da Marsiglia, il Gambetti, un altro anarchico che faceva il calzolaio, ed era privo di una gamba, e infine Umberto Marzocchi, il professor Berneri, Antonio Cieri - giorni fa uno studioso di Modena mi ha chiesto sue notizie. C'erano diversi giellisti - l'anziano Angelo Monti, i due Biso, padre e figlio, il sardo Zuddas - e qualche comunista, come Raimondi. E poi c'era Zanchini, amico e compagno di tante battaglie. Anarchico in gioventù, e poi comunista, era emigrato in Francia, dopo la marcia su Roma, aveva simpatizzato per i trotskisti, aveva deciso di dare una mano in Spagna, ad onta degli acciacchi e degli anni, ne aveva già più di cinquanta, e sparava, sparava...”
“Com'era Barcellona, quando c'è arrivato?”
“ In quei giorni? Un altro mondo! Tutto era stato collettivizzato, tutto era socializzato, non c'era più la proprietà privata, persino le botteghe dei calzolai erano state espropriate, dappertutto sventolavano le bandiere rosse e nere della F.A.I. e della C.N.T., accanto a quelle (molto meno numerose) del P.O.U.M., dei comunisti, dei socialisti, degli autonomisti catalani di Companys. Per la città restavano le tracce dei combattimenti del diciannove, del venti luglio, la lotta contro i rivoltosi era stata cruenta, molti operai erano caduti gettandosi sui nidi delle mitragliatrici, negli scontri aveva perso la vita uno dei più famosi anarchici spagnoli, Francisco Ascaso, il compagno di Durruti.
Io sono partito per l'Aragona dopo pochi giorni di addestramento, con la Colonna italiana, e ho combattuto a Monte Pelato e a Almudévar. A Monte Pelato è caduto il nostro comandante, il repubblicano Mario Angeloni, ed è stato ucciso anche Zuddas. Il comando è passato a Carlo Rosselli, il principale esponente di “Giustizia e Libertà”, e all'anarchico abruzzese Giuseppe Bifolchi. Bifolchi aveva una certa esperienza militare - maturata nella prima guerra mondiale - e aveva pubblicato più di un giornale nell'emigrazione. Era anche - e questo non guastava - un uomo di grande coraggio. Quando i franchisti ci tartassavano a colpi di cannone, lui ci ordinava di rispondere al fuoco, scrutando le linee nemiche, senza preoccuparsi della propria incolumità... Ancora più calmo di Bifolchi era “Mutello” (Costante Mengoni), che dopo essere stato nella “Lenin”, si era unito a noi della Colonna Italiana. Sul fronte ebbi modo di apprezzarlo meglio ancora di quanto non avessi potuto fare negli anni precedenti. Era un tipo straordinario: aveva una freddezza incredibile, tutto il contrario di me. Ricordo che una volta al fronte, nel corso di un combattimento, si inceppò il mitragliatore. Non sapevo veramente cosa fare. Tanto più che i fascisti si avvicinavano minacciosamente e le pallottole fioccavano. Con la sua calma “Mutello”, sotto la pioggia delle pallottole, si dette da fare per disincagliare la mitragliatrice e ci riuscì. Dopo di che riprese con la medesima tranquillità a sparare sugli attaccanti fascisti”.
“Quanto tempo è rimasto in Spagna?”
“Mah, qualche mese, sono tornato in Francia alla fine del '36, ero contrario alla militarizzazione delle milizie... Al fronte ho avuto paura soltanto quando un gruppo di anarchici mi ha invitato a seguirli di notte per compiere un'incursione nelle linee franchiste, sono andato con loro soltanto una volta, la guerra è una cosa terribile...”
“Ha conservato qualche foto?”
“No, ne avevo una scattata a Barcellona, dove mi trovavo con Giuseppe Morini, ma non ce l'ho più...”
Gli chiedo: “Ma lei aveva una lunga militanza antifascista alle spalle quando ha valicato i Pirenei...”
“Eh, sì, mi sono iscritto al partito comunista nel 1921, e ho fatto parte di una sezione di Milano. Nel '28 sono espatriato perché temevo di essere arrestato per l'attività clandestina che svolgevo in Italia. A Basilea ho avuto il mio primo contatto con un esponente del partito comunista all'estero, si trattava di Romano Cocchi, “Adami”; è stato lui a scrivere - come si faceva allora - la mia biografia per il partito.
In Svizzera non ho trovato un'occupazione, che mi permettesse di tirare avanti, e mi sono diretto in Francia. Stabilitomi a Saint - Denis, mi sono iscritto alla cellula comunista locale, due giorni dopo Renato Riccioni (8), un compagno conosciuto con il nome di battaglia di “Calzolari”, che è morto sull'Ebro, nel '38. Ed è stato lì che ho incontrato Riccardo Molina (9), che poi si è arruolato in Spagna, nelle Brigate Internazionali. Nel '30 io mi sono rifiutato di rientrare in Italia con gli “svoltisti” per riprendere l'attività clandestina, come proponeva il partito, e ho fatto in Francia ogni genere di lavori, dal manovale al falegname, quasi sempre in posizione irregolare, cioè senza essere assicurato. A Saint - Denis sono stato aiutato - come tanti altri compagni - dall'amministrazione, di cui era sindaco Doriot, allora membro importante del partito comunista francese. Spesso ricevevamo delle zuppe, più raramente dei “buoni”, che ci aiutavano a superare le ristrettezze, da cui eravamo assillati”.
Mi scruta di nuovo - mi sento molto a disagio - e riprende il filo della narrazione: “Il quattro settembre 1931, quando il quadrumviro fascista Emilio De Bono arrivò alla gare de Lyon, io andai alla stazione, convinto che vi si dovesse svolgere una manifestazione contro quello che consideravo, ed era, uno dei più tristi figuri del regime di Mussolini. La protesta ebbe luogo invece al Bois de Boulogne, gli antifascisti penetrarono nei padiglioni dell'esposizione coloniale italiana e ne danneggiarono molti. Io, invece, ero alla gare de Lyon, allorché De Bono mise piede sul suolo francese. Non so che cosa mi prese. Vedere quell'ometto, pensare alle minacce fasciste, alla vita di stenti che ero costretto a fare, fu tutt'uno. Qualcosa mi salì alla testa, non ci vidi più. Gridando: “Vigliacco, assassino, infame!”, mi lanciai verso la vettura, per afferrarlo. Furono istanti terribili: cercai di aprire la porta della vettura, ma non riuscii a prenderlo per il collo e potei afferrargli soltanto i pantaloni. Ero dominato da un freddo furore, ma nonostante tutti i miei tentativi non riuscivo a mettere le mani addosso a quell'individuo, che aveva contribuito a trasformare l'Italia in un inferno. Nel frattempo numerosi gendarmi francesi si erano gettati su di me e mi prendevano a manganellate, ferendomi dappertutto. Uno di essi, visto che ancora non avevo mollato De Bono, cominciò a picchiarmi con la sua bicicletta, fracassandomi un polmone. A quel punto caddi a terra e loro continuarono ad infierire. Soltanto l'intervento di una giornalista inglese, che si mise in mezzo, sdegnata per tutte le botte che mi davano, mi salvò da morte sicura”.
“Che successe dopo?”, gli chiedo.
“Fui portato alla Prefettura e messo in una gabbia, dove continuai a vomitare sangue per la grave lesione interna, mentre le guardie dicevano: “Il est en train de crever, ce con. Il ne faut pas qu'il crève ici”. Fu chiamato un medico, questo si dette da fare per soccorrermi, mentre nella stessa gabbia venivano introdotti gli antifascisti italiani, arrestati al Bois de Vincennes perché avevano devastato i padiglioni fascisti. Il medico continuava a muoversi intorno a me e di tanto in tanto diceva: “Ils lui ont crevé un poumon”. Forse, proprio per nascondere la brutalità della polizia, ricevetti per tutta la settimana seguente delle cure decenti e soprattutto del cibo buono e abbondante. Poi, dopo una serie di controlli, venni accompagnato in catene alla frontiera franco - belga con molti degli altri arrestati ed espulso. Fu così che arrivai a Charleroi, dove venni aiutato dal socialista Luigi Lazzarelli, un bravissimo ragazzo, che si interessava dei casi simili al mio e che fu poi assassinato dai soldati francesi nel maggio del '40, dopo che aveva lasciato il Belgio per sfuggire ai nazisti: una cosa criminale, uno strazio orribile, i militari francesi ammazzarono, insieme a lui, altri antifascisti italiani e stranieri”.
Parliamo ancora un po', quindi restiamo d'accordo di rivederci in un'altra occasione per registrare, lavorandoci parecchi giorni, la sua storia allo scopo di pubblicarla. Lo ringrazio e me ne vado. “E' andata abbastanza bene”, mi dico, sollevato.
Sette mesi dopo, dimentico della sua diffidenza, compio un errore imperdonabile, chiedendogli, in una lettera, di cercarmi nella capitale francese un massimalista italiano, che ha combattuto nella Colonna Lenin. Non ricevo risposta e qualche mese dopo gli annuncio, in un'altra lettera, che sarò a Parigi di lì a dieci giorni per registrare la sua testimonianza.
Quando mi presento a casa sua mi aspetta però una sorpresa poco simpatica. Fortini, infatti, mi investe con queste parole: “Ma lei cosa crede? Che io mi presti alle sue equivoche ricerche? Per chi lavora lei? La sua posizione non è affatto chiara, lei è un agente di qualcuno”. Dopo di che mi sbatte letteralmente fuori dall'abitazione. Dopo quello sgradevole epilogo, evito in seguito ogni tentativo di riallacciare i rapporti con lui, malgrado gli inviti insistenti del - sempre ottimista - Piero, che si prodiga per convincerlo che in fondo potrebbe anche fidarsi di me...
Appendice:
Sarà certamente espulso
Informazioni su Fortini ed altri antifascisti
Ha partecipato a una manifestazione contro il Consolato di Parigi
Note
1)Già avversario di Canzoneri e di Rocky Graziano, Bummy Al Davis morì così: una sera, a New York, era nel bar di un suo amico, quando entrarono nel locale quattro rapinatori armati. “Su le mani!”, intimarono agli astanti. Al Davis non si mosse e lasciò che passasse qualche minuto, poi, spinto da un impulso generoso e irrefrenabile, si precipitò sui banditi, mulinando le braccia, come faceva tra le corde, dopo il suono del gong, ma i rapinatori lo crivellarono di pallottole e uscirono precipitosamente dal bar, dandosi alla fuga, mentre lui si spegneva su quel lurido pavimento.
2)Piero - che ricordo con affetto e gratitudine - è morto a Parigi il sei agosto 1995, a 89 anni.
3)Maurice Loeuillet era un trotskista francese, che era stato miliziano nella Lenin ed era stato condannato da un Tribunale francese per la sua partecipazione alla guerra civile spagnola.
4)Il “vecchio” ebanista anarchico Emilio Gervasini (aveva 48 anni nel 1936) andò in bicicletta da Parigi a Barcellona, insieme a un trotskista francese, scavalcando i Pirenei. Nella capitale catalana i due si separarono, il trotskista si unì alla “Lenin” e il babbo di Virginia si aggregò ad una colonna di anarchici spagnoli, combattendo a lungo contro i franchisti sul fronte aragonese. Tornato in Francia, si collegò ai partigiani francesi e partecipò alla guerra di liberazione nelle zone di Lyon e di Dijon. Nella corrispondenza di Virginia si conserva una bellissima lettera al babbo.
5)Gérard Rosenthal aveva difeso Fortini durante un processo, intentatogli per violazione di decreto di espulsione dal territorio transalpino.
6)Nato a Porretta Terme (Bologna) il 29 marzo 1897, iscritto al Psi dal 1920, Renato Castagnoli fece parte della sezione bolognese del sindacato ferrovieri e, dopo la marcia su Roma, dell'organizzazione “Italia libera”. Licenziato nel 1923 per rappresaglia (aveva avuto un ruolo importante nello sciopero generale antifascista del due - tre agosto 1922), emigrò in Francia nel 1925, stabilendosi a Parigi, dove svolse un'energica attività antifascista. Giunto in Spagna alla fine di luglio 1936, si arruolò nella Colonna italiana e combatté a Monte Pelato, poi si occupò, a Barcellona, di intercettazioni radiofoniche e prestò servizio di frontiera a Port-Bou. Tornato in Francia nel dicembre 1937, venne arrestato a Marsiglia nell'ottobre 1940 e rinchiuso per otto giorni in un cinematografo, insieme a centinaia di antifascisti, fermati dalla polizia francese. Portato nel campo del Vernet, venne consegnato alla polizia fascista e assegnato al confino per 5 anni dalla Commissione provinciale di Bologna il ventinove aprile 1941. Tradotto a Ventotene, solidarizzò, nel mese di giugno, con l'Unione Sovietica, che era stata invasa dai nazisti. “Lo stesso fatto - ha scritto Arturo Colombi - si riprodusse a Ventotene. Avevo dei rapporti con degli anarchici bolognesi che avevo conosciuto in altri tempi o in carcere; fra questi vi erano Renato Castagnoli, Trigari ed altri; il giorno della aggressione all'URSS, essi vennero a trovarmi, e a nome di un folto gruppo di loro compagni di fede, espressero la loro piena solidarietà con l'URSS e con l'azione del nostro partito; nella lotta di liberazione aderirono al partito comunista nel quale hanno militato fino alla morte”. Dopo la caduta del fascismo venne internato a Renicci d'Anghiari fino al sei settembre 1943, poi partecipò alla lotta di liberazione.
7)Renato Gialluca era un anarchico abruzzese, emigrato clandestinamente in Francia nel '26. Per molti anni aveva dimorato nei dintorni di Marsiglia, intrattenendo intensi rapporti con Boccardi, con Bacconi, con Belli, con Giannini, con Bendinelli, con Martelli, con Squadrani e con gli altri anarchici italiani dei gruppi di Marsiglia, Toulon, La Seyne e La Ciotat. Uno dei fratelli di Renato, Giuseppe, combatté anch'egli in Spagna, nelle colonne libertarie. Un altro fratello, Mario, fu anch'egli esule in Francia.
8)Calzolaio marchigiano, Renato Riccioni aveva simpatizzato per qualche tempo con la frazione bordighista, e nel '33 era stato fermato, una sera, dalla polizia francese, all'uscita da una riunione, insieme a Verdaro (il “Gatto Mammone”), a Zadra, a Pace e a Romanelli. Poi era tornato nel partito comunista.
9)Comunista fra i più risoluti, molto apprezzato nell'emigrazione per le sue azioni, il milanese Riccardo Molina passò, dopo la guerra di Spagna, attraverso i campi di internamento “della fame e della miseria” della Francia meridionale, poi fu catturato dai nazisti e venne deportato in Germania. Infine prese parte, in una formazione di partigiani, alla guerra di liberazione nell'Italia settentrionale. Giuseppe Fusero ed altri suoi amici sostenevano che avesse operato nei dintorni di Dongo nei giorni, che avevano preceduto la liquidazione di Mussolini.
Appendice
Sarà certamente espulso
Ministero dell'Interno
Copia
Bruxelles 15 settembre 1931
Egidio Cavallini il comunista che a Parigi riuscì a saltare sul predellino dell'automobile di S.E. De Bono e gridare assassino!! È stato espulso dalla Francia; è arrivato qui venerdì e sabato 12 corrente è stato subito arrestato. Sarà certamente espulso.
Informazioni su Fortini ed altri antifascisti
Ministero dell'Interno
Direzione generale della pubblica sicurezza
Divisione affari generali e riservati
Sezione prima
All'on. Casellario politico centrale per competenza
Copia del telegramma - posta Nº 10453 S.I. in data 13 settembre 1932, anno Xº, pervenuto dalla Regia Ambasciata d'Italia in Parigi.
Oggetto: Molina Riccardo - Silvestrini Umberto - Fortini Francesco - Dal Pozzo Manfredi e certo Boris Ulisse non identificato, comunisti.
Da riservate informazioni assunte in linea confidenziale è risultato che effettivamente i noti comunisti Molina Riccardo e Silvestrini Umberto facenti parte della “squadra della leggera”, si troverebbero attualmente a Zurigo al seguente recapito “Ristorante Mino - III Militarstrass”.
Il Dal Pozzo Manfredi ed il sedicente Boris Ulisse, alias Sozzi Marino, sarebbero tuttora in questa capitale e svolgerebbero attività in mezzo ai C.P.A.
Il noto Fortini Francesco (alias Cavallini) sarebbe invece stato tratto in arresto dalla autorità di polizia francese perché sorpreso in ferrovia sprovvisto di regolare biglietto mentre tentava di recarsi a Zurigo.
Si fa presente infine che i sopraccennati individui sarebbero tutti espulsi dal territorio della Repubblica per la loro violenta attività comunista.
f.to Manzoni
Per copia conforme, Roma li 1 novembre 1932 anno X.
Il capo della sezione prima
Ha partecipato a una manifestazione contro il Consolato di Parigi
Regia Ambasciata d'Italia
Telegramma - posta Nº 10453 S.-I.
Parigi, li 27 gennaio 1933
On.le Ministero dell'Interno (Casellario Pol. Centr.)
Oggetto: Versini Giacomo fu Francesco
Riferimento al foglio nº 72700 / 98454 in data 30 novembre u.s.
Quest'Ufficio ritiene che il sedicente “Verzani Giacinto”, segnalato come uno dei partecipanti alla manifestazione di violenza avvenuta nella sede del locale Regio Consolato il giorno primo aprile 1932, debba identificarsi nella persona del noto comunista Fortini Francesco fu Francesco e di Varina Matilde, nato a Milano il 30.5.1905.
Quanto sopra è avvalorato dal fatto che il Fortini, secondo notizia confidenziale, parlando con alcuni “compagni” del gruppo di Crimée, si vantava di essere l'autore dei fatti di violenza sopraccennati nonché dell'insulto a S.E. De Bono alla Gare de Lyon in occasione del suo viaggio a Parigi per inaugurare l'Esposizione Coloniale. Come è noto, in tale occasione, il Fortini dette le false generalità di Cavallini Egidio.
Ad ogni buon fine si acclude una fotografia del sedicente Verzani Giacinto riprodotta dai giornali locali in occasione del suo arresto in cui, per quanto mal riuscita, si ravviserebbe appunto il cennato Fortini Francesco.
Sarà gradito conoscere quanto risulta in Patria a carico del nominato in oggetto il quale non ha precedenti negli atti di quest'Ufficio.
LA RISVEGLIA nuova serie on-line del giornale fondato nel 1872