LA RISVEGLIA
quadrimestrale di varia umanità
n.6 Gennaio - Aprile 2001
Pagine di poesia
di Rita Baldacchini (1)
Non sarà una brutta giornata
Un po' di musica,
ballare da sole,
farsi venire il fiatone,
improvvisamente
accorgerti che ti scappa
da ridere.
Un mucchietto di note
e un sorriso.
Anche oggi non sarà
una brutta giornata.
Quando ho paura
Quando ho paura prendo una penna.
Scrivo frasi e pensieri.
Scrivo pianti.
Scrivo sorrisi.
Scrivo sempre quando ho paura.
In questo momento ho paura.
Paura di solitudine.
Cara vecchia, atavica paura.
Sei così vecchia e presente
che non dovrei aver più temerti.
E forse dovrei imparare a spegnere la luce
e a dormire senza sperare
che qualcuno venga a stringermi la mano.
Donne...
Donne in confusione.
Donne allegre e subito tristi.
Donne con due uomini
a cui dire: Ti voglio bene.
Donne insicure.
Donne forti e decise.
Donne sole,
con la voglia di un figlio
e di una vita diversa...
1)Rita Baldacchini ha scritto numerose poesie e vari racconti.
di Corrado Barontini (1)
Il sorriso negli occhi
Il suono delle sei
fa rigirare il corpo
femminile.
Primaverile nell'aria
è tempo di cantare:
Il cuore della donna
è un libro strano...
Riascolto il tic-tac della sveglia
che un po' somiglia al cuore.
Impazzivo di gioia
ora non batte, galoppa.
Aria di festa
e il segno di una strada:
un segno rinnovato
femminile di curve e rettifili.
Cerco la mia compagna
da abbracciare nel cammino
e oggi la trovo
libera, donna
e ascolto sulla sinistra
il battito del cuore
a Morena
8 marzo
Il sorriso negli occhi
Quel parlare lento
riporta gli affanni
della cura:
è il primo incontro
di una ricerca
che s'avvia. La storia
inizia e non conclude,
s'intreccia
coi mille motivi
del sedere accovacciati.
Il gomitolo
qualcuno dice.
Il gomitolo
come l'eco che dipana
sveglia
senza far chiasso
colorando il percorso
con l'esperienza del vissuto.
Poi il filo si tende
nell'immagine parallela
sulla nube cerchiata
del fumo che sale.
Chi aspettava la sorpresa
può restare sorpreso:
il dubbio del sogno
piano piano si scioglie
nella possibilità di un rapporto
che non sorprende più.
19 ottobre 1985
La sedia rossa
Questa nuova tribù
s'incontra con l'antica
ma non confonde i ruoli;
i dubbi e le certezze
rifuggono l'inganno della posa.
Persuasi che nulla
consolidi e chiarisca l'assoluto,
si rimane seduti
a fare paragoni.
La sedia nuova
accoglie i nostri culi
con sfacciato rossore.
Non è vergogna
la scelta di un colore
e il pudore composto
sul volto silenzioso
di chi vorrebbe dire
produce l'incertezza.
L'interno, per intendersi,
rifiuta il privilegio
della pelle
dove il corpo si adagia.
Evitare parole
senza significati
non vuol dire non dirle;
per questo si scopre con sorpresa
di parlare una lingua comune
ancora sconosciuta.
Il racconto contiene
la nascita, il valore degli affetti,
le paure e tutte le parole
non dette per ritegno.
Allora questo calcolo si allarga
e non ha più il limite
di un numero concluso:
quattro tre sette e due nove.
Gli incontri che verranno
del primo conterranno la memoria
ma il risultato già scontato
dello stare insieme
sarà vissuto sempre più
come l'avventura del tempo che vale.
2 novembre 1985
Evoluzioni I
Il movimento inizia
e cambia l'immobilità delle parole.
Di sopra, un po' più in là
il ponte da finire:
evoluzione di un tempo
necessario a cogliere
il sorriso - segno impercettibile -
di chi ascolta e guarda
questa oscillazione. L'occhio
sorprende l'uomo disattento
e dalla bocca muove l'urlo
che ferma l'attenzione
sull'ascolto di un sogno.
Fa prevedere il lieto fine
l'imprevedibile storia
iniziata col grido della donna
distesa sul lettino.
In fondo, nel giardino
avviano le fontane
che annaffiano l'erba
e incantano la sera.
Luglio 1986
Libero di sognare
Consecutiva analogia
della seconda porta.
Dalle macerie
nascono le immagini
che piano costruiscono
l'evento.
Ha un tempo la memoria
e ancora non è storia
del passato.
Per nascere son nato
in questo tempo...
col sorriso negli occhi
e senza somiglianze.
A Claudio
23 ottobre 1985
Il fiore
Cogliere un fiore
dalla forma inconsueta
e sfogliare il colore
dei petali leggeri:
al primo soffio di vento
sfarina in mille semi
la carezza. Dal timido sguardo
ci coglie un'ebrezza
sottile sulla pelle delicata
e arrossa come il sole
colorando di rosa
la carne profumata.
Abbiamo parlato
di storie personali
e di follie.
Piano si scioglie
la neve alle colline.
A Milvia
Febbraio 1987
Evoluzioni II
E' nei versi non scritti la verità
è nel futuro, come la fantasia,
è in quello che resta ancora da fare.
Claudio Badii
Il viaggio ha significato di andare
di tentare un percorso da sempre sconosciuto
eppure già sognato e visto con il cuore.
Così inizia la parte di una storia.
L'impossibile uscita era forse racchiusa
nel facile accesso in discesa.
Ma la strada ora sale
e non vale la pena fermarsi a ricordare.
Qualcosa si muove, qualcosa si è giù mosso
per cercare un'immagine del tempo che cresce.
Senza sapere cosa, inizia ad oscillare
dalla parte del ponte la primitiva nave.
E' possibile amare, è possibile scoprire
che la storia infinita contiene altre storie.
Evoluzioni di un male che piano scompare:
la para dell'ignoto e la speranza d'incontrare
quanto ancora è sconosciuto al cuore.
Somigliarci come maschere di carnevale
è una plastica invenzione
che potrebbe annullare l'attimo vitale.
Sognare un suono, cantare una canzone.
Si pensa un altro viaggio, si coglie un'illusione.
7 luglio 1986
Il viaggio
Mi appartiene questo viaggio.
E il paesaggio immaginario
si fa immagine concreta
come concreto è il ricordo
di una corriera che arranca
per le strade tortuose
di un paese.
Ora forte, ora piano
il rumore lontano cambia
la musica incantata del colore
nell'immagine immediata.
E la luce dissolve
la nebbia che copriva le colline.
Si fa chiaro nel mattino
il filo rosso del cammino
che congiunge il viaggio
all'incerta giornata.
La donna che dormiva
si è svegliata
stropicciandosi gli occhi.
A Maria
Il fiore nel vento
L'immagine di un fiore
dalla forma inconsueta
che cambia al primo movimento.
Cresce fra le mani
cresce senza tempo.
I petali hanno colori da sfogliare
e la carezza è dolce come l'acqua
sui capelli, delicata
come il profumo del fiore.
Poi l'immagine sfuma e si trasforma.
Al primo soffio di vento
sfarina in mille semi:
si libera nell'aria, come un volo
e prende forma la vita che rinnova.
Agosto 1986
Incanta come un sogno
magica immagine senza forma.
Tutto è come se l'avessi già pensato
e visto con il cuore
(abbiamo parlato di donne
ma non dell'amore).
Un segno familiare
il balocco della macchia rossa
che sovrappone l'intenso blu
del mare. Cavalca un cavallone
e sulla spumeggiante onda si distrae.
L'attento cercatore della forma
non sa leggere gli spazi
e le paure
confondono le gioie del colore.
Oscillante come un'altalena
il quadro si dimena
e la scia la madre e il padre
per avere una storia
per avere un'avventura.
A Toti Scialoja
27 novembre 1984
Disegno e fantasia
Lo squarcio rosso: un taglio
di colore, un forte segno
sopra la collina.
E' l'erba che si china
e lo raccoglie.
Riluce
nella notte l'avventura:
s'inventa il sogno
l'immagine incantata,
si scopre la natura.
In questo spazio
si rivela il silenzio
col fascino dipinto della luna.
a Bruno Caponi
Tutte le parole portano un pianto
soffocato, un lamento musicale
che ricorda la voce del passato.
Un nodo alla gola
stringe e fa male.
C'è chi canta il Maggio
fuori d'ogni rituale.
Tutto era cominciato con la fiaba
della bocca che assume la doppia funzione
di mangiare e parlare.
Disponibile sempre a lavorare
in continuo scambio di ruoli
questa tensione interiore
era l'immagine cara dell'amico
che appena traspariva nel sorriso.
Roberto sei partito:
un viaggio come sempre
per terre lontane,
un briciolo di mondo da scoprire.
E alla tua terra sei tornato per restare.
La tua leggenda parla di un volo,
parla dell'araba fenice.
Come le fiabe che amavi raccogliere
come tante fiabe che i vecchi
ti hanno narrato nelle sere invernali
rimarrà nel cuore l'averti conosciuto.
In ricordo di Roberto Ferretti
5 gennaio 1985
Il compagno comunista
Ogni morte fa il punto.
La fragile figura del compagno
forte dell'impegno militante
riaffiora e si consuma. Walter,
l'attivista costante del partito,
il compagno comunista.
Da dietro lo sguardo ascolta
le parole e prende appunti
fissando un suo pensiero
più volte soppesato.
- Il lavoro di ogni giorno
ci rende la presenza puntuale
e sviluppa i legami col passato. -
L'attività politica,
il richiamo alla lotta, l'organizzazione,
il volantino, la lettera spedita,
la diffusione stampa.
- Ci sono nuovi iscritti? -
I vecchi se ne vanno
è sempre più difficile il lavoro.
Meticoloso e attento alle parole
prepara l'intervento per la sera;
riflette sugli eventi nazionali,
sulla lotta di classe, sul partito.
Insiste sul concetto di presenza
sull'impegno di ognuno
per ogni attività della sezione.
- Il tesseramento da riorganizzare
e la campagna elettorale di quest'anno:
dobbiamo dare indicazioni, segnali, orientamenti. -
I problemi dibattuti con passione
racchiudono il segreto di una vita
vissuta per dare una risposta
a questo incerto tempo.
In ricordo di Walter Bonora
Il poeta che dice
il poeta che vive
L'inganno della posa
riprende dalle frasi sussurrate
dalla verità non detta per intero
riprende dal rapporto
con l'altro che non dice.
L'inganno è nascosto
nella posa del verso.
L'inganno è la posa del bel verso
che narra il brutto della vita:
le mezze verità.
La poesia più bella
ancora non l'ho scritta;
la poesia più bella
è quella contenuta
nel racconto dell'altro
che scrive per intero:
Vedi che alla fine
ho parlato di me!
questo modo di fare è poesia.
E' questo un volantino
che descrive a parole
il segno della mano rovesciato.
E tutto è dettagliato
dipinto alla maniera d'un buon quadro.
Ti saluto mio caro,
incompreso ascoltatore di una nicchia
dove dentro è racchiusa
tutta l'armonia
di un suono improvvisato.
Posato sopra al tavolo di sala
l'osservo e mi sorprende
- il ritmo del verso -
più del silenzio
più dell'allegria.
Imprime un suono
a questa voce
lo scorrere del tempo.
E non è forte il vento.
Nota a margine
La provocazione del poeta spesso non segue alcuna direzione, non è fatta per. Nasce invece dall'esigenza interna all'uomo di fare - avere rapporti, di comunicare agli altri - con gli altri le proprie avventure che sono sogni, pensieri, fantasia che spinge a fare.
Così è stato per le poesie raccolte in Disorientamento *; così è successo nella scelta di un titolo stridente che rendeva conto (apparentemente conto) delle stonature musicali di quella ricerca non formale che pure alla forma faceva riferimento.
Questi anni sono passati fra mille incertezze e difficoltà. E i rapporti sono diventati più difficili, ma anche più veri. Le storie, altre storie si sono intrecciate con il mio vissuto e la sfida contenuta nella provocazione non è stata fatta cadere.
Il poeta a volte non è poeta / per fortuna sua e di chi legge.
Si riparte dalla frase scritta a margine per non fermarsi alla forma (provocazione), ma per cercare la frase ulteriore che non conclude più il discorso concentricamente.
Mi viene in mente l'immagine del cielo azzurro che a volte si vede oltre le nubi; e quando quel cielo sembra completamente coperto, mi piace immaginare l'azzurro che sta oltre.
E' questo che mi ha permesso di scrivere ancora. E' questo che mi ha spinto a fare le cose conservando poi una traccia (che è anche scrittura, un'immagine da raccontare di quel cielo azzurro nascosto nel quotidiano.
Così, senza avere la pretesa di essere poeta, ma essendo anche un po' poeta, ho provato a scrivere versi necessari legati a questo tempo e a questa storia.
L'amarezza per la scomparsa di un amico, la bellezza di un incontro, il suono armonioso di un canto popolare, l'immagine di un quadro immaginario, e le parole dette per dire cose a cui tenevo: è questa la storia raccolta nei versi che presento e che riuniscono gran parte della ricerca poetica di questi anni.
Alla base di ogni poesia c'è l'esigenza umana di comunicare. Ma questa necessità è anche fuori della poesia, è nell'uomo, sta nei rapporti affettivi che ci rendono la fantasia di un suono che a volte si lega alla bellezza di un colore.
L'Autore
9 giugno 1988
*Ed. Collana Semi, Arci - Grosseto 1983.
1)Corrado Barontini è nato a Grosseto nel 1948, è uno degli ideatori - animatori degli Incontri di poesia estemporanea di Ribolla (giunti, quest'anno, alla nona edizione), collabora alla rivista Toscana folk ed è autore di vari saggi e pubblicazioni, fra cui ricordiamo Canti popolari in Maremma, Comunicazione orale e poesia popolare nel mondo contadino e La befana nell'immaginario infantile: usanze e comportamenti nella famiglia contadina.
di Camilla Mari (1)
Cuore d'inverno
Sempre dorate
............ allora
anche le nubi nere
quando fole di vento
annunciavano l'alba
né pioggia
né tuono
né pomeriggi cupi
rubavano colori
............ e le luci
Ora ladri di vita
sono grigi
e nell'ombra
Eppure
è bella la sera
ne velluta l'incanto
un micio sonnacchioso
mi ridono
a mulinello
danzando
fogli di giornale
e una canzone
che sento
cantare dalla sabbia
che il vento porta dal mare.
Favola della sera
La sera si raccontano
il cuore e la vita
perplessi talvolta
e scontrosi
C'era una volta
..........c'era
la vita e gli anni
..........pochi
e come di seta petali
raggio vestiti
giocavano di bagliori
(così cangiavano i giorni)
Come vele sul mare
baluginavano a scomparire
all'orizzonte i sogni
..........ma sempre
..........per tornare
Canzone di Maremma
Di castelli e regine
principi e trovatori
di cavalieri erranti
e fanti rubacuori
di poeti e corsari
di torri
e di briganti
castelli solitari
e di viandanti
Canzone di Maremma
che alle lucciole
canta
un vecchio minatore
come una ninna nanna.
Mattino d'inverno
Il respiro di Dio si è fermato
il mio cuore non batte.
Io sono di pietra.
E voi?
Voi per carità!
Ma non c'è più nessuno
nessuno che venda un giornale
e fa freddo.
Nessuno.
Se almeno scendesse la neve!
Ora il cielo è più bianco
la strada più vuota
e il silenzio.
Nessuno - né un grido.
Anche tu Dio
sei troppo lontano,
non mi riconosci.
Se almeno scendesse la neve!
La bella signora
Ha il cuore di seta
la bella signora
anellini dorati
cornici d'argento
il bagno rosa di marmo.
Aspetta i fiori
la bella signora
al suo compleanno.
Figlie piacenti
generi intenti
a scalare
rampanti
i nipoti più alti
i più intelligenti
ha, la bella signora
e le labbra tirate
tovaglie ricamate
stirate
profumate,
il servizio da venti
da cento
e la nuora che adora
il cugino dottore
l'ortensia viola
porta i doni alle suore
invita monsignore.
Che cuore
ha la bella signora
che va ai funerali
negli ospedali.
Si spoglia la sera
la bella signora
di sorrisi
di anelli
di orpelli
i gelidi occhi nel vuoto.
Nella notte
come di vento
un sibilo soffocato e spento.
Sull'albero
(Fronde d'oro)
Sinuosa
si snoda
la bambina serpente,
lei è stata scelta
(occhi di smeraldo)
Bianca ha la mano
ricamata la pelle
e di magia contornati gli occhi
di piume azzurre.
Nella danza
e nel vento
brillano i capelli
Non sorride la bambina serpente
né brilla il cuore
di prezioso rubino,
così la incantarono
sì che il sole e la luna,
quando vide la luce,
le insegnarono la danza
e le stelle adamantine
le insegnarono
a raccogliere la pioggia.
Quando la notte si allontana
si ode il canto dell'usignolo
tenero come un pianto.
1)Camilla Mari è autrice di numerosi racconti e poesie, apparsi in varie riviste e raccolte.
di Maria Luisa Orlandini (1)
News from a foreing Country came,
As if my Treasure and my Joys lay there.
Thomas Traherne
Il tributo
I
A tutti Dio gettò
il tributo di monete;
intatto passò il ruscello,
libero, unito in sé.
Noi, inerti, una moneta
senza potere d'acquisto
teniamo in mano, pagati
e più poveri ancora.
II
Vita che graffi nel ventre,
volpe del fanciullo spartano,
ti abbiamo rubata, e a tenerti
stretta, insanguini.
Se non sei dolce a serbare,
vendicativa energia,
ti lasceremo fuggire
rapida ai boschi nativi
in un lampo e una fiamma.
III
Dormono le acquattate pantere,
energie degli dei sospese
nell'aria: basta
un grido d'uomo, a catturarle.
Alle mani, sfere leggere,
balzano come a un limpido fiume
all'orlo della fusione viscerale:
ma il salto ci sorpassa, ricade in mare.
IV
Una colonna di fumo
vedono i primi, non noi
che seguiamo, certi solo
del nostro passo, avanzando
nel tempo come in un paese.
Camminiamo da sempre, nati
in una delle innumeri soste.
E sopra noi il ricordo di una nube
conosciuta di Dio, che nella vampa
della sabbia si scioglie.
V
A noi vagabondi dette il Caso
ricchezza di sostare
nella piazza serena, rivelata
certa da durevole luna.
S'imbarcarono i poveri carretti,
i tendoni, le vele; noi restammo,
aggrappati a una trave della notte.
VI
La luna assegna gli alberi
folti, silenziosi, a condurci
alle Viscere:
in esse ci abbandona.
VII
Addormentati sotto il muschio, senza
aspetto umano, ci trasse
la Parola; ci sferza, già spenti
nel mondo vegetale, trascina
a un consesso punitore. Evade
la mente in farfalla o un vento.
Nemmeno Dio afferra più
quel che ha deciso
di appartenere alla terra.
VIII
Un attimo, la ragnatela strappa
con urto di silenzio: è quello
alto e muto, che il Cavo trasforma.
Spettri mai visti, seguiamo i fili
che ci hanno scosso
a una porta schiarita, dove
si ricompone la trama,
e al centro s'incastella il ragno.
IX
Dalla carcassa azzurra
una farfalla vola via,
dalla porta di terracotta
s'incammina un guerriero.
Fermo nel pomeriggio
l'uomo legge il giornale,
attende come una mosca,
in uno spazio intermedio,
di sostituire una vita caduta.
Peregrinatio
I
Orto di San Michele
a cui s'approssima la barca:
nella città vestita di zendado,
dolce come la molla scardinata,
un racemo d'antiquato cortile,
una memoria di scomparso
avvolge l'odore di pergolato.
Ora è mia quella riva
di barche, di pazienze cancellate.
S'aggrappa la memoria
come un ormeggio, al muro
rampicato di zucche,
isola remota
in un oriente del passato.
II
Le dissi: dal buio della notte
ti tragga la mia mano, e bianco latte
come il cielo dei vivi dolce, avrai.
Ma quando giunse all'ultimo prato,
verde dell'erba che cresce nel cuore,
sotto cieli di chiarore assonnato,
la prese il sonno, come la stanchezza
dei morti, tenuissima, spenta brezza.
Voltò il passo
dolcemente nel sonno,
ed io le acque dell'attesa
lentamente, ripassai in esilio.
III
Pellegrinaggio del fiore giallo,
melo raccolto umilmente,
oleandro prosternato, filo
di siepe tagliato dal carnefice:
sospesero paziente
lo spazio al tuo passo, seguito
da re favoloso, attraverso
terre del sogno con falconi e cani.
I mantelli, ora, del vento
affastellano quel popolo, vuotando
la reggia d'ogni guizzo contenuto.
Medicante sotto i cipressi
che sovrastano cielo e aria,
riparti a cercare
una bocca alta sospesa.
IV
Soccorse il mio mantello fiammeggiante
ore funebri al monaco
alluminante in fioca luce;
brillò per lui, albero
santo, la lancia in cui credette;
e vivo, coi piedi scattanti
per lui presso la grotta
fiorita avventandomi, il drago schiantai.
Ne sorse un limpidissimo mattino,
ove posasse il suo
paradiso sospeso.
Io pago mi ritrassi. A lui lasciai
l'aspetto in pegno.
V
Forse, lontano, mentre
combattevo tra queste arcaiche rocce,
un evento si compì che non conosco:
disse un dio la parola decisiva,
ed io fui escluso dal comandamento.
Da allora, in squallide rive, i velieri
dentro un cristallo irreali
hanno d'eterno i confini,
né sopraggiunse il richiamo
che dall'asciutta riva
mi conduca al vascello pavesato,
ai dolci canti, alla città di gemme.
Colpevole di avere
cinto di braccia il Drago.
VI
Se scappi, t'inerpichi tra i venti,
in te cade con fusa passione
il castello, la chiesa, la caverna,
la gobba preumana del monte.
Un cunicolo sprofonda,
incavandoti come la terra
che si scosta dal cammino dell'Averno,
all'angoscia precipitante
di uomini e demoni che si sotterrano.
VII
Come bandiere contenuti nel vento
giungono da oriente Animali,
ai limiti del vero coi campi
dove pascolino bacche
da invisibili rami sollevate.
Vengono in branco a trarti
dalla spelonca del tuo rifugio,
che tu ne lasci lo scalino umano,
e l'ombra nel cavo ai demoni.
Disseminando smarriti i campi,
esistenze tralasciate per sempre,
lo stuolo volando ti trascina
nelle vene del monte, a estinguere
ogni passato: ti dissolvi
in nera pioggia, sui tronchi sospesa.
VIII
I quattro Re delle Carte
siedono al tavolo di consiglio
per giudicarti. Ogni vetro è murato,
ronzano incorruttibili le mosche,
testimone è il vaso impolverato.
Mentre sei al chiuso serrato,
un orrido torrente scava
fuori la consistenza alle facciate,
le macina, le spoglia, furiosamente
l'alveo aguzzo prepara
per quando, aperto il vetro, sui cespugli
nel gelido fiato contorti,
ti getteranno i Quattro, condannato.
Chiodi, hanno i parapetti,
come Cristo impotenti;
già accumula passato
e violette il torrente, suona
smemorata la campana d'un Medioevo
che tu raccatti, spettro, le tue ossa.
IX
Scuoto appena, nel sonno,
gli embrici delle case,
fermo nel cielo il respiro
sulle mura che vanno
in polvere come il mio calzare.
Vessillo portato a memoria nei giorni rituali,
percorro le vene in un'ampia
narrazione di morte.
Prima terra abiit
I
Nella rete all'ascella del canale,
gli ammucchiati secondi di pesci
fanno urto come un'ora.
Il cielo è una grande meridiana
arcuata, silenziosamente
l'inombra un indice che scatta
come un fiotto di sangue.
Senza rumore cancella l'era.
II
L'uccello che attraversa
i cieli di mezzogiorno,
esalato da montagne
aquilone d'amore,
per noi nelle sere
ricorda dolce
precipitare i muri,
scomparire i mondi,
in una polvere invisibile
che fra me e te aleggia.
III
Mani e voci dei mali,
il pietoso trifoglio,
dalla memoria si cancellano
come amore dal giovane;
secco è il Melo,
in bilico sulla terra
che s'apre e soffia morte,
in aria
sono già nuvole, i prati.
Gusci sparsi, forme
spente nel Vacuo.
Lacera lo spazio
l'ultimo uccello che attraversa il mare.
IV
Occhi del cimitero, stretti in mazzo
con un brivido posato,
sui muri spenti vacillano:
un mondo affiorato
si schiera quieto, fatto vero.
Simili a noi, i Simili le terre
invadono e le vigne,
si drizzano i Monarchi,
gli Irati si slanciano
con i flagelli alzati.
Le scimmie gridano sui tetti,
suonano sconosciute le campane
ad appelli di voci mai sentite.
La dolcezza tutta a te si serra
di un passero e un rametto ancora vivi;
radi i chicchi di giorni a noi serbati;
già nel Regno
i carri immani, celesti e terreni,
coi venti non volgono che i morti
leggeri intorno alle terre.
V
Dai pali, le nuvole montanti
come popoli di uccelli,
risalgono al declino
d'una loro civiltà.
Elementi mai visti
corrono sugli sconvolti
campi dell'io,
che l'uomo umilmente
ha spogliato di alberi e pietre
per abitarvi un vento
despota, che fruga
oltre le anime dei sassi.
Fermo agli inutili
lineamenti terrestri,
si raccoglie il volo dei migratori.
VI
Invade un esercito le rocce,
rispondono dal basso
le precipitazioni dell'ombra.
Salgono cerchi vegetali
alle vesti di città turrite
sospese in uno specchio
raggiante, nel fulgore
che precede l'incenerire;
un altro Sole,
fatto sostanza ferma,
continua a irradiare la sua follia.
Dal cielo che si conclude
si depongono piume
a ombelichi di altre epoche.
Cancella un messaggero di vittoria
il disarmato crepuscolo,
sotto le lance opposte
dell'andirivieni lunare.
VII
Gli angeli con lividi capelli
e dita di carezze morse via,
tolgono i chiodi dal battente
che il mondo chiuse in un'epoca caldea:
con gesti sbandati
strappano i fili del loro costrutto,
in fuga per la scala planetaria,
travolgendo i fiumi fra le dita,
sradicando i puntelli
infitti nelle gole di quaggiù.
VIII
I nibbi sorvolano la serpe,
e dalle porta arcuate
esce un popolo a saggiare
la terra profanata
dalla dolce infermità degli angeli.
Oltre la città fiammeggiata
lo dardeggia un furore
e dal deserto
schierati angeli roventi
scortano un espanso,
rarefatto signore.
IX
Precipita a volo l'araldo
della venuta celeste.
Al suo raggio feroce,
ogni penna come una lama,
la terra si fa deserta.
Spinto dalle pietre a oracolare,
percuote col timone la roccia
nel suono prolungato delle montagne,
sulle colpe ammutolite
di cui non ha memoria.
Un dio, rimasto solo,
si volge a punire sé stesso.
Interregnum
I
Alto muro, porte pazienti
di una cittadella del passato
contro il petto
del gigante che preme.
Sull'arca, deserto
scudo, una spada
di solitudine taglia
eventi accumulati
su pianure di cause vane.
Il corpo arreso, di fieni arso,
ricade sino ai limiti del mare.
II
Dall'arco ardente caduto
come una cicala nell'estate,
sui monti nudi
al clamore crescente
del giorno solo e ultimo;
la potenza d'un calore - raggio
viene come il coltello
dai forti della pianura
sullo sconfitto che giace:
su lui l'oro faldato
accatastato, crolla,
senza la mano armata
del sole che lo sostiene.
Si prolunga lo strazio
sino ai lenti confini della luna.
III
Una testa mozzata si dissangua
sul più alto pilastro del mondo,
e il sangue cade sull'altra faccia
più bassa, di un tempo lunare.
L'occhio guarda oscuramente
sulla pietra l'impressa vena
dove goccia l'essenza del pianeta:
sul segno riposa l'ascia,
cifra sacra
d'una fuga d'esistenza.
IV
Un grifone di segni uncinati,
crescente come nuvola
in un'aria metallica,
proietta le sue ellissi sulla pietra.
Più disumano del mare,
scandaglia le corti di psiche
con la petrosità di un occhio
che sui muri non si attenua.
Le forme, come uno specchio,
le sue membra sinuosamente seguono,
e senti la sua bocca, al di là
delle nostre orecchie cadute
in qualche cimitero,
che penetra lenta a cercare
nei petti un'erba
che bruca con leggerezza
dileguando lungo le verticali.
V
Il piumaggio dissemina foreste,
il vento delle ali
fa archi di mare
e il suo sangue dorato
scivola come un gonfalone
nelle arterie di pianeta.
Dal suo buio antico
circonda i piedi della vergine
sul dorso d'elefante,
risale alle groppe
dell'Anatolia interiore,
raggiunge, azzurro - verde, una palude
pensosa di piume cadute
quando lucevano altre lune:
ombra cui la ragione non fa più scala.
Dai voli lasciati in alto, ricade impigliata
una morta parvenza,
intorno alle isole del mondo inverso.
1)Nativa di Roma, Maria Luisa Orlandini risiede da molti anni a Firenze, dove è docente di storia dell'arte e redattrice di un periodico letterario. Ha pubblicato una raccolta di poesie per le Edizioni di storia e letteratura di Roma, ha scritto molte monografie e saggi storici e artistici e ha tradotto varie opere di autori francesi e inglesi.
LA RISVEGLIA nuova serie on-line del giornale fondato nel 1872