Willy ir Peyote nasce sulle pagine del Vernacoliere nel dicembre del 1997 dalla penna di Gabriele Becchere, e ne diventa subito un appuntamento fisso. All'inizio disegnato in due strisce al tratto nero, ora ha accolto un po' di colore, ed appare solitamente sia su due sia su tre strisce. I testi sono in vernacolo Livornese, vale a dire in un Italiano un po' colorito!
Il personaggio-fungo spicca dall'inizio per una feroce autoironia contro di sé e il proprio mondo, quello della tossicodipendenza pesante. L'ambientazione nel deserto Messicano e la malinconia dei testi rispecchiano la solitudine del drogato; Willy ir Peyote è conscio della propria condizione, e come drogato non fa nulla per uscirne, pur essendone fondamentalmente inappagato. Le sue non sono battute, ma sono risposte ciniche a chi fa finta di non vedere (rappresentato dalla voce fuori campo), oppure crudeli scherzi verso chi è, anche solo temporaneamente, messo peggio di lui. Ne emerge un personaggio che non è un eroe, che non ispira tenerezza, ma che ha il pregio di rappresentare non solo metaforicamente e senza falsi idealismi il mondo cinico e disgustoso della droga; in più, l'ironia delle situazioni rappresentate ne invogliano la lettura, fanno riflettere ma nel modo più piacevole, quello di un sorriso seppure amaro.
Dopo le prime tavole di presentazione, accanto all'intento più o meno evidentemente informativo, il fumetto ha fatto proprio anche quello della satira di costume, probabilmente assorbendolo dal Vernacoliere su cui è pubblicato. Ne stanno facendo le spese diverse potenziali "fabbriche" di drogati, tutte riconducibili ad uno "star system" di tipo "usa fino in fondo e poi getta".
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La prima tavola di Willy ir Peyote appare sul Vernacoliere di dicembre 1997, nel formato in due strisce al tratto nero. Oltre a Willy, vengono presentati la spalla "voce fuori campo" e i due cactus.
©1997 Gabriele Becchere e Mario Cardinali Editore S.r.l.